[A cura di: Andrea Cartosio, Istituto nazionale tributaristi]
Nel corso dell’esercizio finanziario condominiale è possibile si verifichino situazioni di spesa per le quali l’amministratore provvede ad effettuare l’addebito personale al singolo condomino.
Da sempre, l’accollo diretto posto esclusivamente sul singolo condomino è stato fonte di contrasto tra inquilini e amministratore: basti pensare all’addebito relativo alla spesa di sollecito delle quote condominiali inoltrate al condomino moroso. Le due interpretazioni principali, contrastanti tra loro, fanno riferimento: l’una al fatto che l’operato dell’amministratore sia a tutela degli altri proprietari, pertanto la spesa debba essere sostenuta dalla collettività; l’altra, al fatto che la spesa venga addebitata al singolo condomino non in regola con i pagamenti, poiché non ha adempiuto agli obblighi di corresponsione delle quote.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 21965/2017 ha definito in maniera chiara alcuni aspetti di codesto annoso problema.
Riassumendo brevemente, l’oggetto della causa si riferiva a un condominio avente regolamento condominiale nel quale veniva previsto che tutte le spese per solleciti di pagamento o vertenze legali fossero addebitate ai condòmini che cagionavano tali “danni”. A suffragio del regolamento vi erano due assemblee condominiali. La prima, del 1999, stabiliva, a maggioranza, che anche le spese di «fotocopie, fax e telefoniche, se non di interesse comune e non dirette simultaneamente a tutti i condòmini» dovessero considerarsi come personali.
Successivamente, una nuova assemblea, nel 2003, con delibera a maggioranza, specificò che restano personali le spese «richieste o indotte dai singoli, le lettere inviate a tutti dall’amministratore, sia per conoscenza sia per consulenza, ma indotte dal singolo per suo personale interesse, come pure le spese per la convocazione di assemblee straordinarie non dovute a termini di legge e di interesse privato» dovevano essere ripartite «secondo un criterio di interesse e responsabilità» previa verifica da parte dell’amministratore di possibili reiterazioni delle richieste.
L’addebito effettuato dall’amministratore al condomino, pari a 748 euro, aveva fatto scattare l’impugnazione della delibera di approvazione del rendiconto 2004-2005, reclamando anche la nullità della delibera assembleare del 2003.
Il Tribunale bocciò la richiesta del condomino e fu la Corte d’Appello ad accogliere parzialmente la sua domanda limitatamente all’aspetto in cui «attribuiva al condominio il potere di condannare il singolo condomino al risarcimento di un danno liquidato in favore del condominio stesso», violando di fatto il principio di ripartizione delle spese espresso dall’articolo 1123 c.c..
La Corte di Cassazione riconobbe anch’essa la parziale nullità della delibera assembleare del 2003, secondo cui risultava ininfluente il comportamento concludente dei condòmini per la modificazione del regolamento contrattuale e della validità della delibera assembleare, poiché non avente forma scritta ad substantiam di tutti i partecipanti alla comunione, confermando quanto previsto dal regolamento condominiale, respingendo di fatto il ricorso del condomino.