Un amministratore incarica l’azienda di cui è egli stesso socio di smaltire materiali di risulta dell’edificazione del condominio, al quale è condannato a risarcire il danno, pari all’ammontare dei lavori. Di seguito un estratto della sentenza di Cassazione numero 24484 dello scorso 17 ottobre.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 17.10.2017,
n. 24484
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Con atto di citazione del 2004 il Condominio …, conveniva davanti al tribunale di Milano il suo ex amministratore, dott. L.R., rappresentando quanto segue:
Sulla scorta di tali premesse, il Condominio chiedeva – previa declaratoria che esso nulla doveva alla società C. srl e che il L.R. si era reso inadempiente al mandato di amministratore – che il medesimo L.R. fosse condannato a “restituire al Condominio la spesa illecitamente e infondatamente sostenuta pari alla somma di euro 50.908,80 o di quell’altra che sarà ritenuta di legge e provata” (così le conclusioni di primo grado del Condominio, come trascritte nel ricorso per cassazione, pag. 3, primo cpv.).
Nel contraddittorio del L.R. – che resisteva alla domanda del Condominio e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna del medesimo a versargli la somma euro 30.661,41 a titolo di spettanze dovutegli al momento della passaggio delle consegne al nuovo amministratore – il tribunale rigettava la domanda dell’attore e accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto.
La corte d’appello di Milano, adita dal Condominio, ha riformato la sentenza di primo grado in relazione alla statuizione sulla domanda principale (la statuizione sulla riconvenzionale non era stata appellata) ed ha dichiarato che il Condominio nulla doveva alla società C. srl e che il L.R., versando a tale società la somma non dovuta di euro 50.908,80, si era reso inadempiente agli obblighi del suo mandato; la corte distrettuale ha, conseguentemente, condannato il L.R. a restituire detta somma al Condominio. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che il R. si fosse reso inadempiente alle obbligazioni su di lui gravanti quale amministratore condominiale concludendo con la società C. srl un contratto (poi eseguito con il pagamento delle fatture in contestazione) qualificabile come contratto con se stesso (essendo egli contemporaneamente amministratore tanto del Condominio quanto della società C. srl), senza preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini ed avente ad oggetto l’esecuzione di un’attività di smaltimento il cui onere economico doveva gravare sull’impresa costruttrice del fabbricato condominiale.
Il dott. L.R. ha proposto ricorso per cassazione, su quattro motivi, nei confronti della sentenza d’appello.
Il Condominio ha resistito con controricorso.
All’udienza del 23.9.2016, a cui la causa era stata chiamata per la discussione, questa Corte rilevava come dagli atti non risultasse che l’amministratrice del Condominio, arch. C., fosse stata autorizzata dall’assemblea condominiale a costituirsi nel presente giudizio di legittimità e, pertanto, in applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18331/10, assegnava allo stesso Condominio termine per depositare l’autorizzazione a contraddire al ricorso. All’esito del deposito di tale autorizzazione, rilasciata con delibera assembleare del 9.2.17, la causa è stata nuovamente chiamata all’ udienza del 27.4.17, per la quale non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
(omissis)
Con il secondo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all’articolo 360, n. 5, c.p.c., si denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della statuizione della sentenza gravata che ha dichiarato che il Condominio nulla doveva alla società C. srl. Secondo il ricorrente, la motivazione di tale statuizione sarebbe contraddittoria là dove la corte distrettuale, da un lato, dà atto che la società C. srl aveva effettivamente svolto l’attività di smaltimento per cui è causa e, d’altro lato, assume che a tale società nulla sarebbe dovuto per l’attività da lei prestata in favore del Condominio.
Il motivo è inammissibile perché il ricorrente non ha interesse alla cassazione della statuizione che dichiara che il Condominio nulla deve alla C. srl, trattandosi di affermazione priva di portata decisoria. Si tratta di un accertamento incidentale concernente un rapporto tra il Condominio ed un terzo non presente in causa (al quale non è quindi opponibile), che non è in relazione di pregiudizialità con rapporto dedotto in giudizio (tra il Condominio e l’amministratore). Infatti, la ratio decidendi della sentenza consiste nell’affermazione dell’inadempimento dell’amministratore ai suoi doveri di mandatario e nel diritto del Condominio di essere risarcito del danno derivante da tale adempimento, pari alla somma versata alla C. srl; somma che il Condominio non avrebbe versato se l’amministratore non avesse affidato alla C. srl un incarico che egli non poteva né doveva affidarle. In questa prospettiva è irrilevante se, essendo comunque tale incarico stato affidato, la C. srl avesse diritto di ricevere il compenso della propria opera. Quel che rileva è che tale opera non doveva esserle commissionata dal L.R..
Pertanto l’accertamento negativo del credito della C. srl nei confronti del Condominio, contenuto nella sentenza gravata, è irrilevante ai fini della statuizione di accoglimento della domanda giudiziale proposta dal Condominio nei confronti del L.R., con conseguente inammissibilità del mezzo di gravame per carenza di interesse.
Con il terzo motivo si deduce la violazione falsa applicazione degli articoli 1218 seguenti c.c., dei rimedi esperibili ex articolo 1453 seguenti c.c. nonché degli articoli 1703 seguenti c.c. in relazione alla condanna del L.R. a restituire al condominio la somma da lui versata alla società a C. srl. Secondo il ricorrente il preteso inadempimento del L.R. alle sue obbligazioni di amministratore condominiale poteva portare ad una condanna del medesimo L.R. al risarcimento del danno da lui provocato al condominio stipulando il contratto con la C. srl ma non poteva portare a condannare il L.R. a restituire al Condominio una somma che il Condominio aveva versato non a lui ma alla C. srl..
Il motivo è inammissibile, perché travisa il senso della sentenza gravata.
Questa ultima, infatti, non ha interpretato la domanda del Condominio come un’azione di ripetizione dell’indebito e non ha condannato il L.R. a pagare euro 50.908,80 a titolo di restituzione dell’indebito, ma ha correttamente interpretato la domanda del Condominio come una domanda di risarcimento danni e ha determinato l’ammontare del danno nella somma che l’amministratore ha prelevato dalle casse condominiali per pagare alla C. s.r.l. una prestazione che, secondo la corte distrettuale, l’amministratore, se avesse adempiuto diligentemente al proprio mandato, avrebbe dovuto non affidare alla C. s.r.l. ma esigere dalla società costruttrice dello stabile condominiale.
Indipendentemente dall’uso della parola “restituire” è dunque evidente che la pronuncia condannatoria emessa dalla corte distrettuale nei confronti del L.R. è una pronuncia di condanna al risarcimento del danno. Da qui l’infondatezza della doglianza.
(omissis)
In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000, oltre euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge per ciascuna parte contro ricorrente.