Tutti i condòmini tranne uno si distaccano dall’impianto comune di distribuzione dell’acqua, e installano una linea privata con contatore privato. Alla condomina dissenziente viene chiesto, dal condominio, di farsi carico per intero delle spese di manutenzione dell’impianto. Una richiesta che Corte d’Appello e Cassazione ritengono illegittima, poiché, analogamente a quanto previsto in materia di riscaldamento, l’impianto centralizzato (in questo caso, di distribuzione dell’acqua potabile) costituisce “un accessorio di proprietà comune”, circostanza che obbliga i condòmini a pagarne le spese di manutenzione e conservazione, salvo che il contrario risulti dal regolamento condominiale.
—————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI-2 civ., ord. 29.11.2017,
n. 28616
—————-
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, permanendo contrasto sul solo capo della pronuncia relativo alla compensazione delle spese processuali, accertato l’intervenuto giudicato quanto alla cessazione della materia del contendere, condannava – in applicazione del principio della soccombenza virtuale – il Condominio …, alla rifusione delle spese di primo grado in favore della condomina C.L., la quale aveva impugnato, avanti al Tribunale di Lodi, ai sensi dell’art. 1137 c.c., la delibera condominiale assunta in data 11.05.2011, che al punto n.6 prevedeva di “richiedere nuovamente alla C.L. di provvedere all’installazione di una linea privata con contatore privato per la fornitura del servizio idrico esattamente come eseguito da tutte le restanti unità immobiliari; confermando altresì l’utilizzo esclusivo dell’ex impianto condominiale a carico della C.L., l’assemblea dichiara che la linea è da intendersi di proprietà privata della C.L. e ad essa dovrà essere riconducibile ogni eventuale necessaria manutenzione”, trattandosi di delibera invalida in quanto non avrebbe potuto sottrarre alla destinazione originaria l’impianto centralizzato di proprietà comune di distribuzione dell’acqua potabile e di scarico, né deliberarne la soppressione per far luogo all’attivazione da parte dei singoli condòmini di propri contatori ed autonomi contratti con l’ente gestore del servizio idrico, configurando una definitiva alterazione della cosa comune nella sua originaria destinazione, tale da integrare la fattispecie dell’art.1120, ultimo comma, c.c..
Avverso la suddetta sentenza il Condominio … proponeva ricorso per cassazione formulando due motivi, cui resisteva la C.L. con controricorso.
(omissis)
Atteso che:
– il primo motivo di ricorso (formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.3 e n.5 c.p.c., con il quale viene dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt.1120 – 1135 c.c., nonché l’omesso esame del punto 5 dell’impugnata delibera) è privo di pregio.
Con la censura di violazione delle norme citate il ricorrente sostiene che non vi sarebbe alcun impianto idrico condominiale, come ritenuto dalla Corte di appello, ma piuttosto un sistema di tubazioni principali dell’acqua potabile di proprietà comune, per cui l’assemblea condominiale aveva deliberato la soppressione del servizio in comune di approvvigionamento idrico, fattispecie non riconducibile all’art. 1120 c.c., non avendo la delibera de qua alcuna portata innovativa. In altri termini sarebbe stata dall’assemblea deliberata, a maggioranza, la soppressione di un servizio divenuto oneroso, senza però incidere in alcun modo sui beni comuni, individuati appunto nelle tubature.
Osserva il Collegio che la corte territoriale ha fatto buon governo del principio consolidato nella giurisprudenza di merito e di legittimità secondo cui l’impianto centralizzato (in questo caso, di distribuzione dell’acqua potabile) costituisce “un accessorio di proprietà comune”, circostanza che obbliga i condòmini a pagare le spese di manutenzione e conservazione dell’impianto idrico condominiale, salvo che il contrario risulti dal regolamento condominiale, ipotesi quest’ultima che non ricorre nella caso in esame ( si veda Cass. n.7708 del 2007; Cass. n. 19893 del 2011). Infatti, anche a ritenere ammissibile il distacco degli appartamenti dall’impianto idrico centralizzato, laddove non comporti squilibrio nel suo funzionamento, né maggiori consumi, alla legittimità del distacco consegue al più il solo esonero dei condòmini dal pagamento delle spese per il consumo ordinario, non certo i costi di manutenzione. In tal senso, sebbene anche in relazione ad altri servizi condominiali, si è affermato che (così Cass. n. 28679 del 2011) è legittima la rinuncia di un condomino all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento – anche senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condòmini – purché l’impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell’art. 1123, secondo comma, c.c., dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell’impianto stesso.
Ne consegue che la critica mossa alla sentenza impugnata è fuori quadro, ritenendo apoditticamente che oggetto di giudizio sia diverso rispetto a quello su cui sarebbe intervenuto il pronunciamento.
È infondata anche la censura di omessa pronuncia quanto al punto 5) dell’impugnata delibera, giacché dal testuale tenore delle conclusioni riportate in sentenza (in particolare, nel foglio di precisazione delle conclusioni in appello della C.L. allegate) nel motivo di impugnazione è fatto riferimento esclusivamente ai criteri di ripartizione delle spese di manutenzione e conservazione dell’impianto idrico condominiale, questione che la corte territoriale ha affermato riguardare il punto n. 6) della delibera; né il ricorrente nel suo atto ha riportato le parti dell’atto di appello da cui si ricaverebbe che l’impugnazione della C.L. riguardava anche altro punto (il n. 5) della delibera;
– anche il secondo motivo di ricorso (con cui si prospetta ex art. 360, n.3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.1118 – 1123 c.c.), è infondato, in quanto viene ribadita – sotto altro profilo – la questione del venir meno per gli altri condòmini dell’interesse a contribuire alle spese di conservazione e manutenzione dell’impianto comune di distribuzione dell’acqua che invece permarrebbe solo per la C.L., senza considerare invece che gli altri condòmini ben potrebbero in futuro tornare a riutilizzare l’impianto condominiale, ragione per la quale essi sono comunque tenuti a contribuire alla sua conservazione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso;
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 1.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.