[A cura di: Martino Verrengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] L’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 28437 del 28 novembre scorso, ha rimesso al primo presidente, per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, la risoluzione della questione circa la validità o meno di una clausola, inserita in un contratto di locazione non abitativo, che trasli sul conduttore le tasse, le imposte e gli oneri gravanti sul bene, restando a carico del locatore le imposte sul reddito.
In un contratto di locazione non abitativa, avente a oggetto un centro commerciale, stipulato tra due società toscane, veniva inserita la seguente clausola:
“Tasse. Nel corso dell’intera durata del presente contratto:
La parte conduttrice ricorreva presso il tribunale di Prato per chiedere la restituzione di quanto corrisposto alla locatrice, in forza di tale clausola, ritenendola nulla, in quanto contraria, tra l’altro, al disposto costituzionale, in particolare degli articoli 2 e 53.
Il tribunale pratese rigettava la domanda.
Investita della controversia, la Corte d’appello di Firenze respingeva il gravame della conduttrice, sul rilievo che non vi fosse traslazione di imposta, attesa la non previsione di un obbligo diretto verso il Fisco della conduttrice, la quale doveva solo farsi carico dei relativi oneri.
In sintesi, la restituzione degli oneri fiscali collegati all’immobile veniva assimilata a una quota parte del canone locativo.
Ricorreva per la cassazione della sentenza la parte conduttrice, ribadendo la nullità della pattuizione contrattuale, sulla scorta di giurisprudenza delle stesse sezioni unite della metà degli anni ’80 del secolo scorso, che riguardava l’ipotesi delle imposte dovute (e traslate) su un contratto di mutuo.
In proposito, infatti, la Cassazione aveva affermato il seguente principio: “nel vigente sistema tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il Fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli artt. 53 e 2 Cost. pongono un dovere ribadito dall’art. 1 della legge sull’accertamento tributario; la prestazione imposta di carattere tributario postula che una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto che la legge individua come soggetto passivo del tributo con il correlato effettivo sacrificio personale”.
In questo senso, secondo la conduttrice, la clausola in oggetto sarebbe stata nulla per violazione dei richiamati articoli della Costituzione, non solo se diretta a sottrarre il debitore al suo obbligo tributario, ma altresì qualora non risultasse inclusa nel corrispettivo negoziale, ponendosi invece a fianco di un sinallagma già perfetto e avendo a oggetto il tributo in quanto tale, anziché una quota del corrispettivo contrattuale.
Secondo la parte locatrice, invece, l’articolo 53 della Costituzione non osterebbe al fondamentale criterio, immanente nell’ordinamento, della tendenziale irrilevanza giuridica della traslazione dell’imposta, discendente da legge economica e tipicamente attuabile con la traslazione “occulta”, ossia l’aumento del corrispettivo. Inoltre, secondo la controricorrente, sarebbe lecita anche la traslazione palese dell’imposta, che si risolve nell’autonoma individuazione dell’equivalente pecuniario del carico tributario, che diviene una componente a sé stante del corrispettivo. Ciò sulla scorta anche dell’articolo 8 della legge 212/2000, che esplicitamente ammetterebbe la negoziabilità del debito di imposta, con l’unico limite posto alla autonomia privata consistente nell’impossibilità di liberare, tramite accollo, l’originario contribuente.
Nell’esaminare il ricorso, la Cassazione premette che la traslazione “occulta” di imposta giuridicamente non esiste, sussistendo solo la concordata determinazione del sinallagma contrattuale; di contro, l’unica traslazione rilevante è quella tradizionalmente definita “palese”, vietata, invero, espressamente dalla legge per alcune fattispecie.
In proposito, continua la Corte, il nucleo della questione può identificarsi nel quesito se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva sia da intendersi, in sintesi:
Anche la dottrina, osserva la Corte, appare divisa tra i due orientamenti sintetizzati.
In particolare, l’opinione maggioritaria è apparsa orientata nel senso di escludere che a livello costituzionale vi sia compromissione alcuna dell’autonomia negoziale dei privati sulle modalità di reperimento dei mezzi finanziari per adempiere all’obbligo di solidarietà, ex articolo 2 della Costituzione: da qui, la validità della clausola traslativa dell’imposta.
Altra opinione, però, ha dissentito da tale tesi, che ridimensionerebbe la portata applicativa dell’articolo 53 della Costituzione e rimetterebbe all’autonomia negoziale e alle regole del mercato l’individuazione del sacrificio economico effettivo dei singoli contribuenti.
In definitiva, conclude la Corte, valutata la notevole valenza nomofilattica della questione, sono stati rimessi gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.
Qualora il Collegio nella sua più autorevole composizione interverrà, avrà occasione anche di scrutinare il più generale tema – di forte eco dottrinario – della nullità contrattuale per contrasto con norme costituzionali, con ciò ampliando (o meno) il campo di applicazione delle nullità cosiddette testuali (per contrasto con norme di legge, ex articolo 1418 c.c.).