[A cura di: Consiglio nazionale Ingegneri] Il Rapporto sulla Promozione della sicurezza dai Rischi naturali del Patrimonio abitativo, elaborato nel mese di giugno 2017 dalla Struttura di Missione Casa Italia per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, configura interventi e strumenti diversi in materia di mitigazione del rischio sismico e idrogeologico in Italia. Per la prima volta sono state analizzate in modo sistematico le differenti possibili modalità di intervento sul territorio al fine di affrontare il complesso tema della messa in sicurezza del patrimonio edilizio.
Il Rapporto parte dal presupposto che occorre disporre di un quadro informativo dettagliato sullo stato del patrimonio edilizio e sui diversi livelli di rischio cui esso è sottoposto. Di conseguenza, contempla tre modalità principali per assolvere a tale fase preliminare:
Lo stesso Rapporto di Casa Italia, tuttavia, fa rilevare come, sia il fascicolo di fabbricato che il Repository unico, siano caratterizzati da alcune criticità che li rendono in parte inefficaci. In particolare, il fascicolo di fabbricato prevede costi a carico dei proprietari, tali da renderlo non facile da utilizzare in modo esteso. Senza contare il fatto che la Pubblica Amministrazione non sarebbe in grado di rielaborare ed utilizzare in modo mirato le informazioni tecniche dettagliate raccolte attraverso il fascicolo.
Anche sul Repository unico degli edifici, le obiezioni sono diverse. Il Rapporto, infatti, sottolinea che la realizzazione di un archivio realmente efficace ed utile ad indirizzare con esattezza le modalità di intervento per la mitigazione del rischio ad oggi si rivela impossibile, in quanto i dati sul patrimonio edilizio sono largamente incompleti. Per questo il Rapporto sembra considerare la diagnostica speditiva come lo strumento più opportuno.
“Non condividiamo un orientamento così netto – commenta Armando Zambrano, presidente del CNI –. Intanto si potrebbe obiettare che gli stanziamenti che il Governo intenderebbe mettere a disposizione per effettuare la diagnostica speditiva potrebbero non essere sufficienti a svolgere in modo appropriato un’analisi complessa sullo stato degli edifici. Le attuali stime parlano di uno stanziamento di 120 milioni di euro per l’attività diagnostica sugli oltre 550.000 edifici citati dal Rapporto di Casa Italia. Questo significherebbe un costo per singola attività diagnostica di poco più di 200 euro ad edificio, valore lontano dal compenso più basso (pari a 470 euro) per la redazione della scheda AEDES. La diagnostica speditiva necessita di risorse che tengano conto della complessità dell’attività di rilevazione, realizzabile solo da personale tecnico esperto. Altrimenti meglio sarebbe non investire affatto in questo tipo di attività”.
Quindi, Zambrano illustra la posizione degli ingegneri nei confronti dei diversi strumenti prospettati dal Rapporto Casa Italia. “Il nostro Centro Studi ha effettuato un’indagine a fine 2017 su un campione di oltre 4mila ingegneri. Ebbene, i risultati ci dicono che le opinioni degli professionisti in parte divergono da quelle cui giunge il Governo”.
Dalla lettura dell’indagine del Centro Studi CNI, infatti, emerge come poco più del 40% degli ingegneri ritenga efficace la diagnostica speditiva. Tra questi, la maggior parte (33,8%) lo considera abbastanza efficace. In sostanza, sembra prevalere un atteggiamento poco convinto tra gli ingegneri e sarebbe necessario capire se ciò sia dovuto ad un contenuto livello di conoscenza della diagnostica speditiva (aspetto certamente presente) o al convincimento che essa possa generare solo in modo limitato un reale innalzamento del livello di attenzione verso la prevenzione dal rischio sismico.
D’altra parte, la percentuale di chi esprime un giudizio convinto sull’efficacia della diagnostica speditiva non cambia in modo eclatante neanche tra gli ingegneri che operano nelle aree a maggior rischio sismico, ovvero nel Centro Italia e nelle regioni del Nord Est. Qui, addirittura, la percentuale di ingegneri convinti dell’efficacia dello strumento è leggermente più bassa di quella registrata nelle regioni meridionali.
Ma significativo è anche il fatto che sia ancora limitato il livello di conoscenza da parte degli ingegneri della diagnostica speditiva. L’indagine del Centro Studi CNI, in effetti, mette in evidenza come una quota abbastanza ampia del campione, pari al 38,3%, non sappia con esattezza di cosa si tratti. Il fatto che un numero abbastanza consistente di figure tecniche non conosca lo strumento della diagnostica speditiva sembra rispecchiare la scarsa attenzione che la gran parte della popolazione ha nei confronti del rischio sismico e soprattutto delle più opportune misure di prevenzione ad esso connesse. Volendo estremizzare, si potrebbe dire che date queste premesse, la diagnostica speditiva rischia di iniziare il proprio cammino su basi poco solide.
Diversa, invece, è l’opinione sul fascicolo di Fabbricato, la cui introduzione, proposta dalla Rete delle Professioni Tecniche per i nuovi contratti di compravendita e di locazione per poi essere estesa a tutti gli immobili, è considerata necessaria ed opportuna dal 65,2% degli ingegneri che svolgono la libera professione. Rispetto a quanto visto in precedenza, sembra emergere un atteggiamento più diretto e consapevole da parte degli intervistati: ben più della metà degli intervistati ritiene necessario il ricorso estensivo al fascicolo di fabbricato.
Anche in questo caso, va sottolineato che non è rilevabile una differenza sostanziale di opinioni tra le diverse aree geografiche in cui sono localizzati gli ingegneri intervistati. Le percentuali più elevate di chi considera necessario un uso sistematico del fascicolo di fabbricato si rilevano al Centro ed al Sud Italia, con punte intorno al 70% registrate in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio e Marche.
È ipotizzabile che il fascicolo di fabbricato, del quale da tempo si dibatte, venga visto da un numero elevato di ingegneri come uno strumento che più di altri consente di effettuare una diagnostica approfondita e capillare sul territorio. Particolarmente apprezzata appare, inoltre, la proposta avanzata dalla Rete delle Professioni Tecniche di rendere obbligatoria la predisposizione di tale documento al momento della stipula dei contratti di compravendita e di locazione per poi essere estesa all’intero patrimonio immobiliare.
Infine, di pari importanza, è considerata la predisposizione ed implementazione di un archivio informatizzato unico presso il quale fare confluire le informazioni relative al patrimonio edilizio ed alla sua vulnerabilità. Quasi il 61% degli ingegneri ritiene che un archivio unico che consente di delineare in modo immediato e preciso una mappa delle criticità del patrimonio edilizio potrebbe essere alternativo all’adozione del fascicolo di fabbricato.
È vero, comunque, che tra i diversi strumenti di analisi e di indagine per l’acquisizione di dati utili a definire un quadro chiaro di messa in sicurezza del patrimonio edilizio, il fascicolo di fabbricato continua ad essere quello a cui i tecnici attribuiscono maggiore efficacia, probabilmente perché viene percepito come utilizzabile in modo immediato e perché consentirebbe, se approntato in modo opportuno, di effettuare in tempi relativamente brevi un’analisi esaustiva dei diversi livelli di vulnerabilità rispetto al rischio sismico.
D’altra parte, anche l’archivio unico informatizzato, sebbene utile e, per molti versi, strategico rispetto ad un tema complesso del rischio sismico e idrogeologico, potrebbe richiedere tempi di realizzazione indefinibili, in quanto indefinibile è per il momento il livello di collaborazione richiesto tra più strutture pubbliche in possesso delle informazioni necessarie per costruire la banca dati sulla vulnerabilità degli edifici.