[A cura di: Daniele Barbieri – segretario generale Sunia] È triste dover constatare che di disagio abitativo in questa campagna elettorale non se ne parla se non, con approssimazione, in qualche caso sporadico.
La crisi del sistema abitativo italiano è sotto gli occhi di tutti, ma non nei programmi elettorali dove, al massimo, si accenna, oppure si ripropone, la stanca litania del sostegno pubblico all’acquisto della prima casa come magica soluzione. Eppure, nell’arco degli ultimi 20 anni gli incentivi all’acquisto hanno rappresentato l’asse principale, se non unico, di intervento nel settore, nella convinzione che questo segmento potesse continuare ad espandersi all’infinito con i ritmi del passato, non comprendendo che il problema principale da affrontare era ed è quello di offrire case in affitto a prezzi sostenibili.
Dietro le punte dell’emergenza rappresentata dagli sfratti, ed in particolare da quelli per morosità, si nasconde una realtà ben più vasta, fatta di numeri assolutamente preoccupanti:
La divaricazione crescente tra il livello dell’offerta e le capacità della domanda è dimostrata dall’andamento degli sfratti per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi anni ’80 all’attuale 90% del totale delle sentenze di sfratto emesse: un trend iniziato prima della crisi che, naturalmente, ne ha accentuato la gravità. Negli ultimi 5 anni sono stati emessi 348.515 provvedimenti, 309.754 per morosità, e 165.359 sono state le esecuzioni forzose di provvedimenti emessi anche in periodi precedenti. Nello stesso periodo vi sono state oltre 720.000 richieste di esecuzione presso l’Ufficiale giudiziario. Si stima che oltre 100.000 siano gli sfratti già emessi che potrebbero essere eseguiti nel prossimo triennio. A questi potrebbero aggiungersi altre 200.000 sentenze di sfratto che, seguendo il trend dell’ultimo periodo, saranno verosimilmente emesse nel prossimo triennio.
Di fronte a questo sintetico e schematico quadro appare evidente la necessità di intervenire in tre direzioni:
A queste esigenze si accompagna quella di offrire risposte non consumando ulteriore suolo, ma attraverso la riqualificazione e la rigenerazione delle città partendo dalle periferie e dall’edilizia pubblica che, se riformata e rilanciata, può essere il volano di un processo di inclusione sociale. L’esperienza dei grandi contenitori di case popolari ai margini della città non può e non deve essere ripetuta così come le operazioni di rigenerazione urbana non possono diventare il terreno privilegiato di scorribande speculative, ma rappresentare l’occasione per proporre integrazione sociale.
Se queste sono le esigenze, gli strumenti finanziari e normativi messi in campo sino ad oggi appaiono largamente insufficienti ed inefficaci perché, oltre ai problemi quantitativi, non sembrano individuare correttamente i segmenti di domanda da soddisfare, non contribuiscono a calmierare i canoni e non prevedono un flusso strutturale di risorse in grado di programmare gli interventi in un arco temporale di medio-lungo periodo.
In Europa il problema abitativo è uno degli argomenti principali delle campagne elettorali. Sarebbe bello se in Italia si facesse altrettanto, smettendo di parlare di casa solo per promettere tagli di tasse e contributi per acquistarla.