[A cura di: Paolo Ciri – delegato UPPI Spoleto]
Fino alla legge di “riforma del condominio” (legge 220/2012, entrata in vigore il 18/6/2013), la nomina dell’amministratore condominiale era di durata annuale. In ogni assemblea ordinaria, pertanto, doveva necessariamente figurare, tra i punti all’ordine del giorno, il rituale punto “conferma o nomina amministratore”.
Sempre la legge 220, al fine di dare continuità di mandato all’amministratore, ha modificato la regola stabilendo che “L’incarico di amministratore ha la durata di un anno e si intende rinnovato per egual durata” (art. 1129 C.C. 10. comma). Parrebbe di capire che nominato un amministratore nell’anno “1”, non v’è necessita alcuna di rinominarlo nell’anno “2” perché la legge stabilisce il rinnovo automatico. Poi dovrà essere nominato nell’anno “3”, perché il rinnovo si è già consumato, e così via. In questo senso si sono espressi il Tribunale di Milano, in data 7/10/2015, e quello di Cassino, in data 21/2/2016.
Tra le associazioni di categoria, l’Anaci propone un’altra interpretazione, sostenendo che la legge non ha specificato “un solo rinnovo automatico”. Quindi, in analogia con le regole generali sul mandato (analogia imposta dal 15. comma del 1129), il rinnovo di “egual durata” si avrebbe per più e più volte.
In sostanza, il mandato dell’amministratore verrà interrotto nelle seguenti modalità:
Inoltre, per qualunque motivo un amministratore perda la carica, egli deve rimanere in proroga fino a nomina di altra persona. Quindi, quando lo si vuole “cacciare via”, occorre avere la disponibilità di un altro professionista pronto ad assumere l’incarico e dargli nomina, altrimenti è tutto vano. Anche questo principio è stato ribadito dalla Cassazione, prima con la sentenza 1405/2017 e poi ancora con la 16070 del 2/8/2016. Quando il rinnovo è automatico il compenso deve essere lo stesso dell’anno precedente, salvo apposita delibera da prendersi nel punto relativo al preventivo di spesa.
Una obiezione a ciascuna delle due tesi sopra esposte nasce dal dettato dell’art. 1135, che, al punto, 1, specifica la “conferma dell’amministratore” come punto presente nella assemblea ordinaria. Ma perché metterlo all’o.d.g. se il rinnovo è automatico? Bisogna notare che i punti del 1135 non sono cogenti, ma esemplificativi. Infatti al punto 4 si parla di “opere di manutenzione straordinaria” che, è del tutto evidente, non sono sempre, comunque e per forza presenti nell’ordine del giorno. Inoltre con la sentenza 2242/2016, la Cassazione ha riconosciuta valida addirittura la nomina tacita, “ove risulti un comportamento concludente da parte dei condomini, che lo abbiano considerato tale a tutti gli effetti, rivolgendosi abitualmente al medesimo in detta veste e senza mai metterne in discussione i poteri di gestione e la rappresentanza del condominio”.
Per maggior chiarezza (certezza, forza “politica”), all’amministratore potrebbe convenire mettere a votazione ogni anno il suo rinnovo. Poi, se mancano le presenze, rimane comunque in prorogatio imperi come visto sopra. È una pratica che non contrasta con alcuna norma.
Seguendo, invece, l’ormai noto orientamento dei Tribunali di Milano e Cassino (che, probabilmente, farà solido precedente), il punto dovrà figurare all’ordine del giorno ad anni alterni.
Seguendo, infine, la teoria Anaci, dopo la prima nomina non sarebbe mai necessario farsi rivotare, essendo il rinnovo perennemente automatico, fino al verificarsi di una delle tre cause di interruzione viste prima (revoca giudiziale, dimissioni, revoca assembleare). Questa teoria, per quanto anch’essa fondata, espone però a critica, equivoci e attacchi, anche giuridici.
V’è un’altra questione. L’art. 71 bis d.a.c.c. stabilisce che occorrono alcuni requisiti che per fare l’amministratore di un condominio (che non sia il proprio, comma 2). Per riassumere, l’amministratore non deve aver avuto alcune tipologie di condanne penali, non deve essere (ci mancherebbe) interdetto o inabilitato, né protestato. Deve avere il diploma, e deve aver frequentato e continuare a frequentare corsi di formazione specifici (quelli regolati dal D.M. 13 agosto 2014, n. 140). Se perde questi requisiti, come ha ben detto il Tribunale di Padova il 24/3/2017, decade dalla carica. E, in questo caso, non può esercitare nemmeno in prorogatio e ci vorrà una repentina nomina da parte della assemblea, o del giudice.