[A cura di: avv. Rodolfo Cusano] Il condominio ed il supercondominio vengono ad esistenza ipso iure et facto. È quanto ha affermato la recente sentenza della Corte di Cassazione n 27094 del 15 novembre 2017 laddove è possibile leggere testualmente: “al pari del condominio negli edifici, regolato dall’articolo 1117 c.c. e segg., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi” (così Cass. 17332/2011)”.
La corretta impostazione della ricerca di quale sia il concetto di “istituto condominiale” secondo la recente legge di riforma del condominio non può che partire dall’analisi del dato testuale di cui all’art. 1117 c.c. Infatti, è appunto attraverso questa analisi che giungeremo a definire “il condominio” come l’istituto caratterizzato da un nesso di strumentalità tra beni in comune e proprietà singole, legame necessario per la sua stessa esistenza. A dirlo con le parole del Terzago: “Il condominio si caratterizza per il nesso indissolubile che lega i beni in comune alle proprietà singole”.
Nel codice civile del 1942, ( R.D. 16 marzo 1942 n. 262) il primo articolo del Titolo VII Capo II dedicato al condominio negli edifici e intitolato “Parti comuni dell’edificio”, aveva questa formulazione:
Art. 1117 – Parti comuni dell’edificio. – Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:
Il legislatore della riforma, attesa la fondamentale importanza di tale disposizione ha pensato di ampliarne la specificità suddividendola in quattro diversi articoli di cui il primo è il seguente:
Art. 1117 c.c. Parti comuni dell’edificio. Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
Al primo comma si nota che non si fa più riferimento al piano (o porzione di piano) dell’edificio ma alle “singole unità immobiliari”: è questa una mera innovazione stilistica che non muta il significato sostanziale della locuzione ma risulta certamente apprezzabile poiché, anche nell’uso comune, si fa sempre esclusivamente riferimento alle singole unità immobiliari, anche se il concetto ne risulta ampliato a tutte le fattispecie possibili anche se al di fuori di quella del fabbricato, strettamente inteso.
L’istituto condominiale, quindi, disciplina tutti i casi in cui: “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.”.
L’esigenza di certezza è evidente allorchè dal testo dell’art. 1117 c.c. la legge di riforma ha eliminato il riferimento al fabbricato e sostituito lo stesso con il riferimento alle singole unità immobiliari dell’edificio. Così facendo, da un lato si è mantenuto il riferimento all’edificio, dall’altro si è estesa l’applicazione dell’istituto condominiale a tutti quei casi (molteplici nella pratica) in cui uno o più unità immobiliari o edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c..
Da ciò che l’interprete non dovrà più far fatica nello stabilire a chi applicare l’istituto si verifichino e sussistono le condizioni di cui all’art. 1117 bis e cioè che tra più unità immobiliari o edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici sussistono parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c..
Ciò sta a significare che dall’originario edificio, oggi si è passati ad una platea di soggetti più ampia che comprende qualsiasi unità immobiliare, sopra terra o addirittura sottoterra. Si immagini ad esempio delle grotte aventi accesso comune ed altri servizi in comune, quali: la guardiania, l’illuminazione, il cancello di ingresso, ecc. È stata quindi ampliata l’applicazione anche alle villette ad un solo piano, ai garages sopra o sotto terra, ma cosa più importante di tutte: la scelta nell’applicabilità della disciplina della comunione ovvero quella sul condominio deve seguire l’unico principio dell’esistenza o meno dei cd. beni in comune.
Da queste preliminari considerazioni scaturisce la primaria necessità di individuare quali siano i beni in comune cui ci riferiamo: di essi l’art. 1117 c.c. fornisce un elenco non tassativo. A questo punto possiamo introdurre il ragionamento logico per capire se siamo in presenza o meno di un bene in comune.
La coesistenza di beni accessori a beni in proprietà singola è stata la discriminante usata nelle parole del prof. Terzago per attribuire al condominio la particolarità di essere una disciplina autonoma, sia pure generata dalla comunione. Egli definiva appunto il condominio come caratterizzato dal: “nesso indissolubile tra proprietà singola e proprietà comune”. Tale considerazione, come abbiamo appena detto, è vieppiù confermato dai principi cui si è ispirata la recente riforma.
La presunzione che i beni siano in comune fonda sul presupposto che il bene stesso sia destinato o serva all’uso comune. Ulteriore conseguenza di quanto disposto dall’art. 1117 c.c. è che, quando manca il titolo e non è disposto altrimenti, la norma dettata dall’art. 1117 c.c. disciplina l’attribuzione del diritto di condominio (non la semplice presunzione).
Infatti, diversamente da quanto è scritto nell’art. 880 c.c. (“il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune”) e art. 881 c.c. (“si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini ed orti appartenga al proprietario …”), i quali disciplinano la cosiddetta presunzione relativa – ovverosia l’effetto preclusivo di grado inferiore – la formula dell’art. 1117 c.c. non parla di presunzione: dice che “sono oggetto di proprietà comune”. Non contempla un fatto di conoscenza, ma un fatto di attribuzione del diritto. Per cui possiamo dire che, quando il titolo non dispone altrimenti, il diritto di condominio nasce dalla legge (Cass., n. 1788 del 29.01.2007).
La legge riconduce alle parti accessorie – alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune, individuati tramite il collegamento materiale e funzionale – gli effetti acquisitivi derivanti dagli atti concernenti i beni principali, cioè i piani o le porzioni di piano. Dal codice, questi (i piani o le porzioni di piano) sono considerati come beni principali; gli altri (le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune) come beni accessori. In virtù del collegamento strumentale – materiale e funzionale, configurato rispettivamente dalla necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero dalla destinazione all’uso o al servizio – l’efficacia del fatto traslativo riguardante i beni principali (i piani o le porzioni di piano) si propaga ai beni accessori (alle cose, gli impianti ed i servizi di uso comune), secondo il principio “accessorium sequitur principale” (Art. 818 comma 1 c.c.).
Per cui possiamo concludere dicendo con i principi già affermati dal Terzago che, anche secondo la recente riforma, è del tutto irrilevante la destinazione della proprietà, determinata dalle norme concernenti l’urbanistica, il paesaggio, l’ambiente etc., perché per l’esistenza del regime del condominio è necessaria e sufficiente l’esistenza – assieme a quella delle unità in proprietà esclusiva – di cose, impianti e servizi destinati all’uso comune.
In linea con detta motivazione, la giurisprudenza della Suprema Corte: “Ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti. Si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione”.
Infatti, le opere quali: le fondamenta, le mura maestre, il tetto sono tutti beni che vantano un rapporto di strumentalità necessaria (ex art. 1117 c.c.) che determina la costituzione ex lege del condominio edilizio (Cass., 14 novembre 2012, n. 19939).