Locazioni: soltanto l’inquilino deve rispondere dei rumori molesti
Se l’inquilino è rumoroso e arreca così un danno agli altri condòmini, della sua condotta risponde anche il proprietario soltanto nell’ipotesi in cui egli stesso concorra a produrre le emissioni rumorose. Non gli può essere, invece, imputata la semplice responsabilità di non aver inoltrato una diffida al conduttore. Questo, in estrema sintesi, il parere espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 4908 del 1° marzo 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 1.3.2018,
n. 4908
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Rilevato che:
nel 2010 L.C. (e altri) convennero dinanzi al ‘Tribunale di Milano le società M. s.r.l. e L. & c. s.a.s. (che in seguito si fonderà per incorporazione nella E. s.r.1., e come tale sarà d’ora innanzi sempre indicata), esponendo che:
- erano condòmini del fabbricato sito a …;
- al piano terra del fabbricato esisteva un locale, di proprietà della E. s.r.l. e concesso in locazione alla M. s.r.1., adibito a bar;
- da questo bar, nel quale si eseguivano intrattenimenti musicali, provenivano immissioni sonore intollerabili; chiesero pertanto la condanna di ambedue le convenute a cessare le suddette immissioni, ad insonorizzare il locale ed a risarcire i danni patiti dagli attori;
(omissis)
Considerato che:
Col primo motivo di ricorso la E. s.r.l. lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2043 c.c.; espone a tal riguardo una tesi così riassumibile:
- la Corte d’appello ha ravvisato una colpa aquiliana della E. s.r.l. nella mancata adozione degli interventi necessari ad impedire il verificarsi del danno, ed in particolare nel non avere vigilato sull’uso che della cosa locata faceva il conduttore, in modo da evitare che provocasse danno agli altri condòmini;
- il locatore d’un immobile, tuttavia, non è affatto tenuto a garantire che il conduttore non arrechi danni a terzi, e non può rispondere verso questi ultimi dei fatti illeciti commessi dal conduttore, per la ragione che non ha alcun obbligo di prevenirli;
- il motivo è fondato;
- la Corte d’appello ha ritenuto che la E. s.r.l. dovesse rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. dei danni lamentati dagli attori, per avere tenuto una condotta colposa;
- l’elemento oggettivo dell’illecito (la condotta) è stato ravvisato nel “non essere intervenuta né avere vigilato sull’uso che della cosa locata facevano i conduttori, in modo da evitare che provocasse danno agli altri proprietari”;
- l’elemento soggettivo dell’illecito (la colpa) è stata ravvisata nella circostanza che la E. s.r.l. “fosse a conoscenza, sin dalla proposizione del ricorso ex art. 700 c.p.c. da parte degli odierni appella[ti] delle immissioni (…), sebbene il ricorso nei suoi confronti sia stato respinto, non avendo il giudice ritenuto necessari interventi strutturali”;
- quest’ultima statuizione non è corretta, e costituisce effettivamente una violazione dell’art. 2043 c.c., nella parte in cui tale norma esige l’accertamento in concreto della colpa;
- le Sezioni Unite di questa Corte, già da molti anni, hanno stabilito che nell’ipotesi in cui le immissioni moleste siano prodotte dal detentore d’un immobile, l’eventuale sussistenza della legittimazione passiva del proprietario di questo, non ne comporta l’automatica responsabilità per il risarcimento dei danni, essendo, all’uopo, necessaria la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa e del nesso oggettivo di causalità (e non di mera occasionalità) fra la concessione dell’immobile al terzo ed i danni subiti dal fondo contiguo (Sez. U., Sentenza n. 2711 del 21/07/1969);
- in applicazione di questo principio, questa Corte ha già affermato che “in materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi” (Sez. 3, Sentenza n. 11125 del 28/05/2015);
- or bene, la colpa civile rilevante ai fini dell’art. 2043 c.c. può consistere tanto nella violazione di precetti giuridici (legge, regolamenti, contratti), quanto nella violazione di regole di comune prudenza;
(omissis)
- nel secondo caso, l’accertamento della colpa aquiliana esige che si stabilisca previamente quale sarebbe dovuta essere la condotta prudente da seguire, in funzione delle circostanze e della qualità soggettiva dell’agente: ciò vuol dire che dall’uomo comune sarà esigibile la diligenza del bonus pater familias, e dall’imprenditore commerciale quella dell’homo eiusdem generis et condicionis, secondo la regola generale dettata per qualsiasi tipo di obbligazione, ivi comprese quelle da fatto illecito, dall’art. 1176 c.c. (sulla necessità che anche la colpa aquiliana sia valutata in base ai criteri di diligenza dettati dall’art. 1176, primo e secondo comma, c.c., si veda ex multis Sez. 3, Sentenza n. 2639 del 10/03/1998);
- nella vicenda oggi all’esame di questa Corte, deve escludersi che la E. s.r.l. avesse un obbligo di vigilanza, di intervento o di veto nei confronti del locatore, che scaturisse da norme positive o contrattuali;
- in tanto, perciò, si sarebbe potuta affermare la sussistenza della colpa della E. s.r.l., in quanto si fosse accertato che un astratto proprietario di immobili “diligente”, al posto della odierna ricorrente, avrebbe tenuto una condotta diversa;
- la “condotta diversa” teoricamente esigibile dal proprietario d’un immobile che intenda locarlo ad uso di pubblico esercizio non potrebbe che consistere in due atti: o rifiutare la locazione, o recedere dal contratto, posto che sarebbe inesigibile dal locatore, obbligato a garantire il pacifico godimento della cosa locata, una manus iniectio sul conduttore vòlta ad impedirgli di far chiasso;
- la conclusione è che, per potere affermare la sussistenza d’una colpa aquiliana della E. s.r.l., si sarebbe dovuto accertare in punto di fatto se, al momento in cui questa concesse in locazione il proprio immobile alla M. s.r.1., potesse o non potesse prevedere con l’ordinaria diligenza, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, che la società conduttrice avrebbe con ragionevole certezza arrecato danni a terzi, provocando immissioni intollerabili;
- tale accertamento, tuttavia, nel nostro caso è mancato: la Corte d’appello si è limitata ad accertare che la E. s.r.l., due anni prima dell’introduzione del presente giudizio, fosse a conoscenza dell’esistenza di immissioni moleste, provocate però dal precedente conduttore dell’immobile (la società Q. s.r.1.);
- pertanto, affermando la sussistenza d’una colpa aquiliana senza avere previamente accertato in fatto la sussistenza d’una condotta imprevidente, la Corte d’appello ha falsamente applicato l’art. 2043 c.c.;
- la sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, la quale nel riesaminare l’appello della E. s.r.l. applicherà il seguente principio di diritto:
“il proprietario d’un immobile concesso in locazione non risponde dei danni provocati dal conduttore in conseguenza di immissioni sonore intollerabili, a meno che non si accerti in concreto che, al momento della stipula del contratto di locazione, il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi, impiegando la diligenza di cui all’art. 1176 c. c., che il conduttore avrebbe certamente recato danni a terzi con la propria attività”;
(omissis)
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.