[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
Ricorrere ad appalti di lavori, in genere di natura straordinaria, è una delle necessità non dilazionabili cui devono far fronte tutti i condòmini.
Comportando tali lavori straordinari spese notevoli, è opportuno analizzare gli stessi sia dal punto di vista della procedura più opportuna; sia per i quorum necessari per la loro approvazione; sia per tutti quei risvolti che coinvolgono le responsabilità degli amministratori di condominio; sia, infine, per le particolari previsioni del nostro codice civile in ordine al contratto di appalto ed alla sua natura speciale, all’istituto della decadenza per la segnalazione dei vizi ed a quello della prescrizione per l’inizio dell’azione giudiziaria.
Secondo l’articolo 1130, n. 3), c.c., anche nella sua nuova formulazione, l’amministratore deve «riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni». L’amministratore, quindi, per ciò che riguarda la manutenzione ordinaria non ha alcun bisogno di un preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea; la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio è un suo preciso obbligo. Per i lavori straordinari, invece, è necessaria la delibera assembleare che ai sensi dell’articolo 1135, n. 4), c.c., come modificato dalla L. 220/2012, dovrà costituire obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.
In merito alla differenza tra lavori di «ordinaria manutenzione» e di «straordinaria manutenzione» per i quali è necessaria la preventiva delibera dell’assemblea, essa non va ricercata unicamente nella ricorrenza o meno dei lavori stessi bensì nella differenza tra ordinarietà ed eccezionalità anche considerando la loro entità.
L’amministratore, anche in caso di lavori straordinari, può ordinarne direttamente l’esecuzione, ma gli stessi lavori devono essere necessari ed urgenti per potere essere legittimamente intrapresi dall’amministratore. In mancanza, l’assemblea potrebbe non ratificare il suo operato e la relativa spesa, conseguentemente, rimarrebbe a carico dello stesso amministratore, salva poi la possibilità concessa a questo ultimo anche in caso di mancata ratifica di procedere contro il condominio con l’azione di ingiustificato arricchimento che è come è noto azione residuale rispetto ad ogni altra azione giuridica.
Sul punto è importante ricordare che, per la Cassazione, il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’amministratore di società resta valido nei confronti dei terzi che hanno ragionevolmente fatto affidamento sull’operato e sui poteri dell’amministratore medesimo, non può trovare applicazione in materia di condominio di edifici con riguardo a lavori od opere di manutenzione straordinaria eseguiti da terzi su disposizione dell’amministratore senza previa delibera dell’assemblea di condòmini, atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore e dell’assemblea sono delineati con precisione dalle disposizioni del codice civile (articoli 1130, 1135) limitando le attribuzioni dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservando all’assemblea dei condòmini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria, salvo i lavori di carattere urgente (Cass. 4232/1987). Nulla osta, però, a che riguardo alle spese di manutenzione straordinaria delle cose comuni, l’assemblea approvi successivamente le spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’articolo 1135 c.c. (Cass. 6896/1992).
Nella pratica ci si è spesso chiesti se all’amministratore debba o meno riconoscersi un compenso per i lavori straordinari. Sul punto non mancano decisioni discordanti. Parte della dottrina riconosce il diritto dell’amministratore ad un compenso aggiuntivo, partendo dal presupposto che nella determinazione del corrispettivo in sede di nomina, si tenga conto solo delle prestazioni ordinarie e non anche di quelle di natura eccezionali o straordinarie. Da ciò la legittimità di un ulteriore compenso, da riconoscersi per tutta l’attività volta alla realizzazione dei lavori straordinari.
Ad oggi, invece, anche la giurisprudenza si è allineata sulle posizioni della maggiore dottrina: «non è detto che il compenso stabilito dall’assemblea dei condòmini ex articolo 1135, n. 1) c.c., si riferisca ad una sola parte della attività demandata all’amministratore, perché tale principio, in assenza di alcuna specificazione da parte della legge, va riferito a tutta l’attività svolta dall’amministratore, quale che siano le distinzioni che si vogliono fare all’interno di questa attività» (Cass. 10204/2010. Cfr. anche Terzago, Il Condominio, Milano 2003, pag. 382).
È opportuno delineare brevemente quale sia la procedura da porre in essere, perché proprio nella pratica quotidiana buona parte delle controversie è dovuta ad una cattiva procedimentalizzazione.
In primo luogo, per potere procedere ai lavori straordinari occorre la deliberazione della assemblea generale, se il bene comune oggetto dell’intervento appartiene a tutti i condòmini (come nel caso delle facciate del fabbricato) ovvero parziaria se il bene interessato appartiene solo ad alcuni condòmini (si pensi alla condotta delle acque nere).
L’assemblea condominiale non può assumere decisioni che riguardino i singoli condòmini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni, per cui è illegittima la delibera che nell’approvare i lavori alle facciate del fabbricato approva anche quelli ai balconi che appartengono in modo esclusivo al proprietario dell’appartamento di cui fanno parte. I lavori di restauro possono riguardare solo i frontalini dei balconi e comunque le parti degli stessi che costituiscono e integrano la facciata dell’edificio condominiale (Cass. 7603/1994; Trib. Napoli, 26-2-2015, n. 2972).
L’assemblea deve assumere una concreta determinazione in ordine alla volontà di procedere alla esecuzione dei lavori straordinari, costituendo, contemporaneamente, un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.
Successivamente è necessario provvedersi di un capitolato d’appalto che consiste nella descrizione delle opere a farsi, singolarmente considerate, con l’indicazione delle loro quantità e senza l’indicazione dei prezzi. Per fare ciò è necessaria la nomina di un tecnico abilitato (un geometra, un ingegnere, un architetto ecc.) che lo predisponga.
La nomina può essere, e solitamente è, contemporanea alla delibera di approvazione dei lavori straordinari.
Il capitolato, predisposto dal tecnico abilitato, verrà poi inviato a tutti i condòmini in occasione della convocazione di una successiva assemblea, necessaria al fine di approvare quali siano concretamente i lavori a farsi e per potere scegliere la ditta da incaricare. Alle varie ditte l’amministratore fornirà copia del capitolato di appalto e le ditte stesse lo restituiranno con l’indicazione dei prezzi per le singole opere da loro richiesti.
Nessun diritto potranno vantare le ditte in ordine alla scelta che resta insindacabile, in quanto l’assemblea non è sottoposta ad alcun vincolo in ordine alla scelta. Ciò vuole dire che non necessariamente l’assemblea è tenuta a scegliere chi ha fornito un preventivo più basso rispetto agli altri. L’assemblea deve, infatti, fondare la propria scelta tenendo conto anche dell’affidabilità della ditta, della sua conoscenza diretta da parte di alcuni condòmini, delle condizioni che offre rispetto ai pagamenti ecc.; trattandosi di scelta di merito, la stessa non è sindacabile nemmeno davanti all’autorità giudiziaria.
Approvato il preventivo e scelta la ditta, è opportuno che l’assemblea nomini sempre un direttore dei lavori, un direttore della sicurezza ed anche un responsabile del cantiere, possibilmente di propria fiducia pure quando il loro compenso è corrisposto direttamente dalla ditta appaltatrice.
A questo punto all’amministratore spetta:
Rimane, infine, il controllo sulla corretta esecuzione dell’opera. A prescindere da quanto si dirà in seguito, è opportuno fin da adesso ricordare che, ai sensi dell’articolo 1667 c.c., l’appaltatore è tenuto alla garanzia per i vizi dell’opera. Il committente, però, deve denunziare questi vizi o le difformità rispetto all’opera pattuita entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto i vizi ovvero se li ha occultati. L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera.
Anche per questa evenienza, è pur sempre l’amministratore che deve farvi fronte, per cui è opportuno aggiungere una ulteriore richiesta al direttore dei lavori a che questi, quando rilascia il certificato di collaudo dell’opera, esprima con ogni chiarezza e precisione il suo parere in relazione alla assenza dei detti vizi e difformità dell’opera, ovvero in caso contrario li indichi, ne quantifichi l’ammontare e proponga la possibile soluzione. In questo modo sarà possibile fornire all’amministratore procedente un quadro sufficientemente chiaro in ordine alla denunzia da inviare immediatamente alla ditta appaltatrice.
Le attribuzioni dell’assemblea in ordine ai lavori straordinari sono contenute negli articoli 1135 e 1136 c.c., entrambi modificati dalla L. 220/2012.
Al primo comma, n. 4) dell’ articolo 1135 c.c., nella sua nuova formulazione, è espressamente previsto che «l’assemblea dei condòmini provvede alle opere di manutenzione straordinaria ed alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori». Nella prassi, però, sono stati registrati dei problemi da parte di amministratori e proprietari a causa dell’obbligatorietà dell’integrale costituzione anticipata de cd. fondo lavori. E ciò ha rappresentato uno dei principali disincentivi all’adozione di nuove delibere per l’avvio di lavori di ristrutturazione.
Sul punto è intervenuto il D.L. 23-12-2013, n. 145 con cui si è stabilito che «se i lavori devono essere eseguiti in base ad un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti».
In pratica, il fondo resta obbligatorio ma non sarà necessario precostituire l’intera somma prima di dare avvio ai lavori ma solo quella relativa al primo pagamento contrattuale previsto e così via per i successivi stati di avanzamento.
Al quarto comma dell’articolo 1136 c.c. è, invece, previsto che tutte le materie che esorbitano dalla competenze all’amministratore e, quindi, anche per i lavori straordinari, nonché quelle che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni di notevole entità debbono essere sempre prese con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio. Qualora, invece, trattasi di innovazione, le delibere debbono essere prese con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio. Tali ultime maggioranze, in particolare, sono richieste per le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, ai sensi dell’articolo 1120, primo comma, c.c. e per l’installazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili, conformemente alle prescrizioni di cui all’articolo 1122 bis, terzo comma, c.c.
Le opere di manutenzione straordinaria sono quelle che si rendono necessarie in conseguenza di eventi imprevisti, fortuiti od eccezionali ovvero a causa della mancata esecuzione di opere di manutenzione ordinaria (come nel caso della rimozione dei cornicioni pericolanti). Vanno tenute distinte dalle opere di manutenzione ordinaria, che sono necessarie per conservare alla cosa o all’impianto comune la loro utilità.
Il contratto di appalto è quel contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (articolo 1655 c.c.). Elemento caratterizzante dell’appalto è la totale assenza della subordinazione nei confronti del committente. La differenza, quindi, rispetto al contratto di opera è che pure avendo in comune con questo le caratteristiche dell’assunzione del rischio e della indipendenza rispetto al committente, nel contratto di appalto vi è una vera e propria organizzazione di impresa cui è obbligato il preposto, mentre nel contratto d’opera l’obbligazione viene assolta con il lavoro prevalente dello stesso preposto, pur se coadiuvato da individui della sua famiglia o di qualche collaboratore.
I lavori straordinari possono essere affidati a corpo o a misura. Negli appalti a corpo il rischio delle quantità è a carico dell’appaltatore, essendo la misura del corrispettivo determinata da una somma globale. Negli appalti a misura, chiaramente, il rischio delle quantità è a carico del committente. Se, invece, le parti non hanno precedentemente determinato, per tutte o solo per alcune opere, il corrispettivo né hanno stabilito le modalità per determinarlo, si dovrà fare riferimento alle tariffe vigenti al momento della conclusione del contratto stesso, ovvero agli usi, o in mancanza alla determinazione giudiziale (articolo 1657 c.c.) ovvero con il ricorso alla procedura arbitrale.
Elementi del contratto di appalto sono le parti, l’oggetto, il prezzo, la forma (che può essere libera), la verifica ed il pagamento dell’opera.
Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere sulla cosa, rimane in capo al committente il dovere di custodia e quindi anche la relativa responsabilità ex art. 2051 c.c.
Quando invece ciò accade durante il tempo dell’esecuzione dei lavori, il dovere passa all’appaltatore che è tenuto al rispetto del neminem laedere. Pertanto, in tale caso, è esclusa la responsabilità del committente non potendo questi controllare le modalità organizzative che si è data l’impresa appaltatrice.
Ove il committente condominio nomini il direttore dei lavori solo quando la sua opera e quella dell’appaltatore siano ridotte a nudus minister può sorgere la responsabilità del committente (Cass. 2013/1966).
Il tutto va però considerato alla luce di una recente sentenza (Cass. 10898/2013) con cui la S.C. ha affermato che in tema di responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia, per aversi il caso fortuito occorre che il fattore causale estraneo al soggetto danneggiato abbia efficacia di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa custodita e l’evento lesivo, ossia che possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (Trib. Napoli, articolazione di Casoria 9-6-2014, n. 11370).
L’appaltatore è tenuto ad un’obbligazione di risultato e la natura della responsabilità per vizi e difetti non viene rinvenuta nella colpa o nel dolo, bensì nel carattere oggettivo del rischio di impresa, a prescindere da qualsiasi atteggiamento volontaristico dell’appaltatore.
Nei suoi confronti sarà sempre possibile esperire tanto un’azione di risarcimento di natura contrattuale per inadempimento (articoli 1176 e 1218 c.c.) quanto quella extracontrattuale o aquiliana (articolo 2043 c.c.) per fatti illeciti, oltre che per le particolari azioni previste dagli articoli 1667, 1668 e 1669 c.c.
Infatti, è principio consolidato in dottrina che le disposizioni speciali di cui agli articoli 1667, 1668, 1669 e ss. c.c. integrino – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell’appaltatore che si applicano in assenza dei presupposti per la garanzia per vizi e difformità prevista nel caso in cui l’opera completata sia realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche. Ne consegue che il committente, convenuto per il pagamento, può – al fine di paralizzare la pretesa avversaria – opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio «inadempimenti non est adimplendum», richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 1667 c.c. anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta (Cass. 9333/2004).
Inoltre, l’articolo 1130, n. 4), c.c., va inteso nel senso che l’amministratore, oltre a chiedere i provvedimenti cautelari, è abilitato anche a compiere tutti gli atti diretti alla conservazione della integrità delle cose comuni, con la conseguenza che il medesimo può esercitare, senza la preventiva autorizzazione della assemblea dei condòmini, sia l’azione di danno temuto, sia quella di cui all’articolo 1669 c.c. contro l’appaltatore al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dell’edificio nel caso di rovina di questo o gravi vizi di costruzione che ne mettano in pericolo la sicurezza, senza trovare deroga nel caso in cui le opere di rifacimento dell’edificio siano state già eseguite a cura dello stesso amministratore (Cass. 152/1985).
Si ritiene sussista la «legitimatio ad causam» e «ad processum» dell’amministratore del condominio, senza bisogno di alcuna autorizzazione, allorquando egli agisca a tutela di beni condominiali, giacché i poteri gli vengono direttamente dalla legge e precisamente dall’esaminato articolo 1130, n. 4) c.c.
L’articolo 1667 c.c. in materia di denunzia di vizi e difformità, testualmente dispone che «L’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore.
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna».
La premessa da cui muove la norma in esame consiste nella considerazione che dalla natura del contratto di appalto discende il principio secondo cui l’esecuzione dei lavori non solo deve avvenire con l’osservanza della perizia che inerisce a ciascun campo di attività, ma anche che l’opera stessa, nella progettazione ed esecuzione, deve corrispondere alla funzionalità ed utilizzabilità previste dal contratto. Per cui ne consegue che l’appaltatore ha l’obbligo di consegnare l’opera conforme a quanto pattuito ed, in ogni caso, eseguita a regola d’arte.
In primo luogo vi è da dire che il committente che non abbia accettato l’opera medesima, non è tenuto ad alcun adempimento, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell’appaltatore, poiché, ai sensi dell’articolo 1667, primo comma, c.c., solo tale accettazione comporta liberazione da quella garanzia. Pertanto, prima dell’accettazione e consegna dell’opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per i vizi comunque rilevabili, i quali, se non fatti valere in corso d’opera, possono essere dedotti alla consegna; ma prima dell’accettazione non vi è onere di denuncia, e prima della consegna non decorrono i termini di prescrizione (Cass. 14584/2004).
Altro caso in cui può non esservi la denunzia è quello relativo al riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera e l’assunzione dell’impegno ad eliminarli da parte dell’appaltatore. In questo caso vi è la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, anzi, si è in presenza di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa da quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario.
Il committente ha l’onere di provare di aver denunciato all’appaltatore i vizi dell’opera, non facilmente riconoscibili al momento della consegna, entro sessanta giorni dalla scoperta, costituendo tale denuncia una condizione dell’azione di garanzia, essendo egli assolto da tale onere solo per i vizi dolosamente occultati dall’appaltatore, a meno che il predetto committente non provi che, per patto intervenuto con l’appaltatore, costui si è obbligato ad eliminarli, con l’effetto di novare la sua obbligazione di garanzia «ex lege» (Cass. 6774/2001).
Infatti, in caso di accettazione già fatta, la stessa, pur non liberando l’appaltatore per le difformità ed i vizi occulti dell’opera stessa, lo libera per quelli riconosciuti o riconoscibili in sede di verifica (Cass. 7969/2000).
La presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima senza riserve, e quindi ad una accettazione tacita pur in difetto di verifica, ex articolo 1665, quarto comma, c.c., occorrendo in concreto stabilire se nel comportamento delle parti siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera senza riserve. A questo proposito, si veda Cass. 12829/2004. Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito in cui si era qualificata come senza riserve una accettazione sulla base di vari elementi rappresentati in sentenza e tutti in tal senso convergenti, quali il pagamento integrale della quota di corrispettivo dovuta all’appaltatore al momento della consegna, la relazione di ultimazione dei lavori da parte del direttore dei lavori per conto del committente, il certificato di collaudo statico emesso dal collaudatore ai sensi dell’articolo 7 della legge 1086/1971, l’esecuzione in economia delle rifiniture da parte del committente e la richiesta da parte di questi della licenza di abitabilità.
In tema di appalto, l’articolo 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la «ricezione senza riserve» da parte di quest’ultimo anche se «non si sia proceduto alla verifica». Bisogna, però, distinguere tra atto di «consegna» e atto di «accettazione» dell’opera: la «consegna» costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’«accettazione» esige, al contrario, che il committente esprima (anche per «facta concludentia») il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (Cass. 7260/2003).
La responsabilità dell’appaltatore per i vizi e le difformità dell’opera deve essere esclusa qualora il committente si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera, riducendo il primo a «nudus minister», ovvero abbia incaricato di detta esecuzione una impresa che sapeva essere priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie per la realizzazione dell’opera affidatale (correlativamente spetta al condominio l’azione di risarcimento danni da responsabilità contrattuale. Cass. 4523/2008).
Allorquando risultino accertati i vizi dell’opera, la responsabilità dell’appaltatore va quantificata nella spesa necessaria per l’eliminazione degli stessi, anche ove questa comporti l’integrale rifacimento dell’opera, mentre il diritto dell’appaltatore alla percezione d’un qualsivoglia compenso per la detta opera può essere riconosciuto solo se, e nella misura in cui, una parte della stessa rimanga in qualche modo utilizzabile ed utilizzata, di guisa che il committente possa trarne effettivo ed apprezzabile giovamento: esso, pertanto, non è compatibile con un inadempimento dell’appaltatore totale ed assoluto, inadempimento che, rendendo l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, comporta un difetto funzionale della causa del contratto e legittima il committente a chiederne la risoluzione (Cass. 7061/2002).
Una volta esperita, quindi, la cd. denuntiatio è opportuno ricordare che la relativa azione è soggetta alla prescrizione dei due anni decorrenti appunto dalla data della denunzia. In virtù di quanto previsto dall’articolo 1668 c.c., il committente potrà chiedere o che le difformità ed i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, ovvero che il prezzo sia congruamente diminuito, salvo poi il risarcimento del danno in caso di colpa dell’appaltatore.
In questa ultima ipotesi il committente che agisce nei confronti dell’appaltatore per il risarcimento dei danni derivanti da vizio o difformità dell’opera non è tenuto a provare o dimostrare la colpa dell’appaltatore; vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, tale colpa è presunta fino a prova contraria (Cass. 4637/1983 e 14124/2000). Rimane a carico del committente la prova dei vizi e dei difetti stessi.
In caso di omesso completamento dell’opera dovrà farsi ricorso ai principi generali in materia di inadempimento contrattuale. Ciò perché per fare ricorso a detta garanzia è necessario il completamento totale dell’opera (Cass 10255/1998).
In caso, poi, di riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera con l’assunzione dell’impegno ad eliminarli da parte dell’appaltatore, vi è la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente; anzi, si è in presenza di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa da quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario (Cass. 23461/2004).
L’articolo 1669 c.c. testualmente dispone che: «Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».
Si tratta di una ipotesi del tutto distinta da quella precedentemente esaminata e che prevede anche una diversa articolazione temporale. In tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l’articolo 1669 c.c. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell’appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore-costruttore), due ulteriori termini:
I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, come anche ha sottolineato la Cassazione, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere (Cass. 14561/2004).
L’articolo 1669 c.c., nonostante la sua collocazione nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto, dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall’interesse pubblico alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, a preservazione dell’incolumità e sicurezza dei cittadini e, sotto tale profilo, la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’articolo 2043 c.c., che trova applicazione solo ove non risulti applicabile quella speciale, ed attribuisce legittimazione ad agire contro l’appaltatore ed eventuali soggetti corresponsabili non solo al committente ed ai suoi aventi causa (ivi compreso l’acquirente dell’immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa (Cass. 1748/2005).
Decorrenza del termine previsto dall’articolo 1669 c.c. e l’accertamento dei difetti
Anche in questo caso il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’articolo 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (Cass. 16945/2008. Inoltre, si precisa che tale azione non trova ingresso nel caso di lavori di riparazione ad edifici preesistenti); il relativo accertamento, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 567/2005. Nella specie, è stato ritenuta correttamente motivata la decisione di merito che aveva fatto risalire la scoperta dei difetti dell’opera alla data del deposito della relazione del consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo.).
Configurano gravi difetti dell’edificio a norma dell’articolo 1669 c.c. anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti ecc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (Cass. 8140/2004. Principio affermato dalla Suprema Corte in una fattispecie in cui gli acquirenti avevano agito per responsabilità extracontrattuale nei confronti del costruttore perché le mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti si erano scollate e rotte in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita).
Come abbiamo già esaminato, l’articolo 1130, n. 4), c.c. che attribuisce all’amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa od a quella parte comune, l’amministratore ha il potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Rientra, pertanto, nel novero degli atti conservativi di cui all’articolo 1130, n. 4), l’azione dell’articolo 1669 c.c., intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in un’ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condminio ed i singoli condòmini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione fra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (Cass 3366/1995).
Il venditore di unità immobiliari che ne curi direttamente la costruzione, ancorché i lavori siano appaltati ad un terzo, risponde dei gravi difetti nei confronti degli acquirenti, indipendentemente dall’identificazione del contratto con essi intercorso, a titolo di responsabilità extracontrattuale, essendo la relativa disciplina di ordine pubblico, ovvero nei confronti dell’amministratore del condominio se tali difetti sono riscontrati sulle parti comuni (Cass. 3146/1998).