[A cura di: Confappi] Il diritto d’uso esclusivo sulle parti comuni dell’edificio (ad esempio un giardino) a favore di un’unità immobiliare, riconosciuto nell’atto di vendita successivo alla costruzione o al frazionamento dello stabile, è legittimo, perpetuo e si trasmette ai successivi aventi causa. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24301 del 16 ottobre 2017.
I giudici hanno respinto il ricorso del condominio, che riteneva illegittima la cessione da parte di un condomino, insieme all’appartamento, dell’uso esclusivo su due porzioni del cortile a un’unità immobiliare. Nei patti speciali del regolamento condominiale contrattuale, inoltre, era specificato che il condominio, in caso di opere di ristrutturazione allo stabile, avrebbe potuto posizionare i ponteggi sulla porzione di giardino in questione.
La cessione era stata decisa dal proprietario originario dell’edificio con il primo atto di vendita e richiamata nel regolamento. Per la Cassazione «l’articolo 1117 cod. civ., nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, dispone che tale indicazione valga “se non risulta il contrario dal titolo”. Ne deriva che, al momento di costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di una singola unità immobiliare da parte dell’originario proprietario in virtù di clausole contenute nel relativo atto, anche mediante eventuale richiamo di un previo regolamento di condominio, è lasciata all’autonomia delle parti la possibilità di sottrarre alla presunzione di comunione almeno alcune delle parti altrimenti comuni».
È quindi consentito che le parti convengano l’uso esclusivo «… di una parte comune in favore di uno o più determinati condòmini». Ciò avviene, ad esempio, per le porzioni di cortile o del giardino condominiale, per i lastrici solari o per le terrazze a livello «… attribuiti in “uso esclusivo” ai proprietari delle porzioni di piano sottostanti o latistanti».
Dietro al significato di uso esclusivo si cela, quindi, la coesistenza, su parti comuni, di facoltà individuali dell’usuario e facoltà degli altri partecipanti, questi ultimi mai realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilità sul bene in questione «… secondo modalità non paritarie determinate dal titolo e, se del caso, dal giudice che debba interpretarlo, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprietà esclusiva cui detti godimenti individuali accedano».
Conclude la Suprema Corte: «Deve riconoscersi in generale nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della sua qualità – appunto – comune, derogandosi soltanto da parte dell’autonomia privata al disposto dell’articolo 1102 cod. civ., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune “secondo il loro diritto”». E quindi «i partecipanti diversi dall’usuario esclusivo si vedranno diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori (ma non realmente “esclusive”) utilità per l’usuario stesso e minori utilità per gli altri condòmini».