Finisce in cassazione, con la condanna a due anni di reclusione, l’ennesima vicenda di un amministratore che ha sottratto soldi ai condomini amministrati, facendoli confluire su un suo conto professionale e perfino sui conti bancari della moglie e della figlia.
Di seguito una sintetica ricostruzione dell’accaduto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 15800/2018
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1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale, dichiarava l’estinzione per maturata prescrizione dei delitti di appropriazione indebita aggravata ascritti al prevenuto commessi fino al 13/12/2009 e rideterminava la pena per i restanti addebiti, consistenti in plurime e continuate appropriazioni indebite di somme prelevate dai conti correnti di 16 condomini da lui amministrati in Bologna, in anni due di reclusione ed euro 660 di multa, ferme le statuizioni civili rese in primo grado.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del difensore, deducendo:
(omissis)
3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza delle doglianze proposte. I primi due motivi che revocano in dubbio la ricorrenza nella specie degli elementi costitutivi d’ordine materiale e psicologico della fattispecie ex art. 646 cod. pen. possono essere congiuntamente esaminati e risultano destituiti di fondamento. Dalle conformi sentenze di merito, i cui apparati giustificativi si integrano in ragione dell’omogeneo e convergente apprezzamento delle fonti probatorie acquisite, consta che gli operanti della Guardia di Finanza hanno accertato – attraverso l’esame della cospicua documentazione in atti – che il ricorrente aveva fatto confluire somme provenienti dai conti intestati ai singoli condomini amministrati parte in un conto personale destinato alla gestione della propria attività professionale, parte in altro conto cointestato con la moglie, il quale veniva utilizzato per alimentare un ulteriore conto corrente bancario facente capo alla figlia del N. e al fidanzato, dal quale venivano tratte talora le provviste per il pagamento di due mutui ipotecari relativi all’acquisto di due immobili intestati alla moglie e alla figlia del prevenuto.
Siffatti emungimenti dai conti condominiali erano privi di giustificazioni contabili e agli stessi si affiancavano emissioni di assegni, incassati direttamente o da terzi, privi di riferimento a specifiche causali nell’interesse dei singoli condomini. A fronte di siffatte indebite operazioni risulta ampiamente provato che tutti i condomini costituiti registrarono sostanziosi ammanchi di danaro, occultati attraverso la contabilizzazione di costi di gestione non adempiuti come il pagamento di forniture ovvero, nel caso del condominio di Via …, delle spese di ristrutturazione dell’immobile.
Né può riconoscersi pregio all’argomento difensivo secondo cui osterebbe alla configurabilità dell’illecito la mancata precisa individuazione delle somme oggetto di appropriazione indebita, conseguita innanzitutto ai capziosi travasi di danaro effettuati dal ricorrente da un conto all’altro di diversi condomini da lui amministrati, operazioni prive di qualsiasi giustificazione e volte esclusivamente ad ostacolare la puntuale ricostruzione degli ammanchi. Siffatta circostanza, unitamente alla ripetuta predisposizione di consuntivi falsi (oggetto della condotta depenalizzata sub 17) dà ampio conto della ricorrenza del dolo postulato dalla fattispecie, smentendo la tesi difensiva di un atteggiamento meramente colposo del prevenuto.
4. Ad analoghi esiti deve pervenirsi in relazione al terzo motivo. Deve innanzitutto rilevarsi la palese infondatezza della doglianza in ordine alla mancata riduzione della pena inflitta a titolo di continuazione in esito alla declaratoria di parziale prescrizione delle condotte contestate poiché la Corte territoriale ( pag. 3) ha ridotto sia la pena base che i singoli aumenti ex art. 81, comma 2, cod.pen. nella duplice componente detentiva e pecuniaria. Quanto alla mancata concessione del beneficio della sospensione, non espressamente richiesta in sede di gravame, il mancato ricorso ai poteri officiosi di cui all’art. 597,comma 5, cod. pen. trova ampia e persuasiva giustificazione nel complessivo apprezzamento operato dalla sentenza impugnata circa la gravità dei fatti, le allarmanti modalità esecutive delle condotte, frutto di preordinazione e peculiare intensità del dolo, la protrazione temporale delle stesse, indici ostativi ad una prognosi personologica di favore.
5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo in considerazione dei profili di colpa ravvisabili nella sua determinazione. All’imputato fanno, altresì, carico le spese del grado in favore delle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, che liquida per le parti rappresentate dall’Avv. P.T. in complessivi euro 9.949 oltre accessori di legge; per le parti rappresentate dall’Avv. A.M. in complessivi euro 8.894 oltre accessori di legge; per le parti rappresentate dall’Avv. A.C. in complessivi euro 3.618 oltre accessori di legge.