[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Luisa Del Giudice] Si commenta, di seguito, la sentenza del Tribunale di Napoli n. 2376 dell’8 marzo 2018, ripercorrendo il caso oggetto del contendere.
Fin dalle richieste di risarcimento inviate al condominio e dalla citazione, parte attrice ha prospettato la responsabilità del convenuto in quanto proprietario – quindi custode – delle parti comuni del fabbricato tra cui il cortile interno al fabbricato condominiale sovrastante il locale al piano interrato adibito ad autorimessa ed autolavaggio.
Essa lamenta, infatti, percolazioni di acqua provenienti da detto cortile che hanno ammalorato gli intonaci e le pareti del locale autorimessa ivi compresi i pavimenti. La causa principale delle infiltrazioni del locale garage è stata individuata nella fatiscenza dell’impermeabilizzazione per mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Siamo quindi in presenza di un caso che potremmo dire “ordinario”, nel senso che non è dovuto a fattori eccezionali (ad esempio la cattiva manutenzione della pavimentazione del cortile, ecc). In questo ultimo caso, avremmo dovuto parlare di responsabilità concorrente o addirittura esclusiva del proprietario del piano superiore, cioè quello destinato al calpestio.
Infatti, durante il processo viene accertato che, le infiltrazioni sono risultate ancora presenti alla data dell’accertamento tecnico (18/06/2015) e le percolazioni di acqua avvenute nel tempo e creanti gocciolamento ed ammaloramento degli intonaci hanno interessato anche le parti strutturali: travi/pilastri/solai.
Testualmente: “È presente, nell’intradosso ed in corrispondenza del solaio del cortile sovrastante, in alcuni punti del sistema strutturale, espulsione del copriferro ed ammaloramento dei ferri di armatura sia sui pilastri che sulle travi, nonché del solaio con caduta di fondelli di laterizio.
Il soffitto presenta notevoli efflorescenze e vaste zone di ammaloramento di intonaci, allo stato attuale ancora umidi, con presenza di solfati e muffe. Queste sostanze, unite al gocciolamento proveniente dal soffitto, in caso di ingenti eventi pluviometrici, e stante il pericolo di distacco delle parti ammalorate, possono provocare notevoli danni alle auto parcheggiate nel locale e pregiudicare l’incolumità delle persone. La pavimentazione dell’autorimessa in rosso, nella parte corrispondente alla superficie del cortile scoperto condominiale, risulta anch’essa oggetto tappetino bituminoso apposto nelle parti mancanti della pavimentazione preesistente. La causa principale delle infiltrazioni del locale garage è stata individuata nella fatiscenza dell’impermeabilizzazione per mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria”.
Ciò posto, chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ai sensi del ben noto principio generale dell’ordinamento in materia di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., e nel caso di responsabilità extracontrattuale – azionata ai sensi dell’art. 2051 c.c. – il riparto dell’onere probatorio è indubbiamente agevolato per chi agisce in giudizio chiedendo il risarcimento del danno.
Infatti, nella responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente a parte attrice provare che il danno lamentato derivi dalla cosa da altri custodita, senza necessità di provare altresì la condotta – commissiva od omissiva – del custode produttrice del danno, salvo a quest’ultimo l’onere della prova del caso fortuito (Cass. Civ. Sez. III, 04/12/1995, n. 12500; Cass. Civ. Sez. II, 11/03/1995, n. 2861, Cass. Civ. Sez. III, 09/02/1994, n. 1332).
È orientamento della Suprema Corte, ormai costante, nel senso che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo ed è sufficiente, perché possa configurarsi in concreto, che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso di specie non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire (ad esempio analogo a quello previsto per il depositario). E funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione.
La S.C. afferma, infatti, che tale tipo di responsabilità è esclusa dalla norma solamente dal caso fortuito. Detto fattore attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. Ne consegue l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito; pertanto, il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condòmini (Cass. Civ. Sez. III, 02/02/2006, n. 2284, Cass. Civ. Sez. III, 10/03/2005, n. 5326, Cass. Civ., Sez. III 10/08/04 n.15429).
Quindi, parte attrice, agendo per il risarcimento dei danni ex artt. 2043 e 2051 c.c., deve provare il danno, l’esistenza di una relazione causale/eziologica tra la cosa in custodia in capo al convenuto e l’evento dannoso lamentato ed, infine, il potere sulla cosa in custodia da parte del convenuto.
Nel caso “de quo” a conferma della cattiva manutenzione, si pongono le diverse riparazioni del pavimento del cortile che si sono susseguite nel tempo per tamponare le infiltrazioni nel garage. I continui interventi, la cui esecuzione è confermata dai numerosi rappezzi in sito, testimoniano, in maniera inconfutabile, che ormai il sistema di impermeabilizzazione dello stesso era completamente insufficiente e non assolvente allo scopo a cui era destinato
Parte convenuta deve, invece, offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità (esclusiva e/o concorrente), mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.
A tal proposito, la S.C. ha statuito (Cass. Civ. Sez. II, 08/05/2013, n. 10898) come il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante debba avere un’efficacia di tale intensità da interrompere il nesso etiologico tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, ossia che sopravvenuta e sia da sola sufficiente a determinare l’evento. (Nella specie, la S.C. ha affermato che una pioggia di eccezionale intensità può costituire caso fortuito in relazione ai danni riportati dai proprietari di appartamenti inondati da acque tracimate a causa di tale evento, a condizione che l’ente preposto provi di aver provveduto alla manutenzione del sistema di smaltimento delle acque nella maniera più scrupolosa e che, nonostante ciò, l’evento dannoso si è ugualmente determinato).
In sintesi, poi, per quanto concerne le opere necessarie per eliminare le cause delle infiltrazioni d’acqua il consulente ha indicato la rimozione totale della pavimentazione del cortile compreso il massetto di sottofondo esistente totalmente ammalorato; l’apposizione di nuovo massetto di sottofondo con idonee pendenze; l’apposizione di guaina bituminosa e la riapposizione di nuova pavimentazione in gres ceramico antigelivo per esterni; lo spicconamento nel garage di tutte le parti incoerenti ed ammalorate con spazzolatura del ferro di armatura; il trattamento delle armature metalliche con miscela a base di resine sintetiche ad inibitori della corrosione; il risanamento delle parti strutturali in calcestruzzo mediante apposizione di betoncino/malta cementizia tixotropica, monocomponente solfato resistente a ritiro controllato, per i ripristini strutturali; la raschiatura della pittura ammalorata sulle pareti; il rifacimento dell’intonaco nelle parti dell’intradosso danneggiate; la rasatura non inferiore a 5 mm sulle pareti interessate previa carteggiatura e la preparazione del sottofondo; la tinteggiatura con pittura ai silossani nella parti interessate (superficie intradosso cortile condominiale e parte del soffitto dove sono presenti le tubazioni aree dei servizi tecnologici del condominio), come dettagliatamente specificato nel computo metrico allegato alla relazione.
Il Giudice adito ha poi sentenziato che spetta certamente al danneggiato, senza che occorra la prova del maggior danno ex art. 1224, comma secondo, c.c., il risarcimento del detrimento subito a causa della notoria diminuzione del potere di acquisto della moneta, per il periodo suddetto e con liquidazione sulla base degli indici Istat.
In secondo luogo, appare evidente che l’obbligazione risarcitoria è diretta al ripristino integrale del patrimonio del danneggiato al quale, pertanto, compete anche il risarcimento del pregiudizio subito per il ritardo nell’ottenere la disponibilità dell’equivalente pecuniario (cd. lucro cessante). Tale ultima forma di risarcimento si realizza attraverso la corresponsione degli interessi cd. compensativi, che sono dovuti purché il danno sia provato dallo stesso creditore o sia riconosciuto dal giudice con criteri presuntivi ed equitativi e, quindi, anche con l’attribuzione di interessi ad un tasso stabilito, che non deve essere necessariamente quello legale. Testualmente: “Tali interessi, presumendosi la qualità di piccolo risparmiatore del danneggiato e tenendo conto dell’andamento medio dei tassi di impiego del danaro, ben possono essere fissati nella misura del 2,0% annuo, con decorrenza dal momento del deposito della Ctu (12/01/2016) e vanno calcolati sul solo capitale, come progressivamente rivalutato anno dopo anno, fino alla data della presente decisione. Poiché la liquidazione dei danni subiti dall’attore è stata fatta all’attualità e poiché l’evento lesivo è precedente a quella data, al fine di calcolare la rivalutazione e gli interessi compensativi, come appena sopra detto, occorre procedere alla devalutazione delle somme sopra liquidate e quei titoli, al fine di avere valori omogenei rispetto alle altre voci di danno”.
In altre parole, la somma come sopra determinata e liquidata in favore dell’attore, dovrà essere prima devalutata alla data del 12/01/2016, e sulla somma così ottenuta si procederà, poi, al calcolo della rivalutazione e degli interessi compensativi riconosciuti. Dal momento della liquidazione del danno, che corrisponde alla data di pubblicazione della sentenza, l’obbligazione risarcitoria si trasforma in debito di valuta, con la conseguenza che, da tale memento e fino a quello dell’effettivo soddisfo, gli interessi sono dovuti nella misura di legge, a norma dell’art. 1282 c.c..
Nulla compete, invece, a titolo di ulteriore svalutazione, in quanto il relativo pregiudizio, in mancanza di prova contraria, può ritenersi adeguatamente compensato dalla corresponsione dei soli interessi legali.