Un alloggio in condominio è dichiarato inagibile a causa di un incendio. Secondo il regolamento condominiale, il condomino proprietario può richiedere all’amministratore di essere esentato da una quota parte delle spese di riscaldamento. La temporaneità del provvedimento non può tuttavia diventare permanente, tanto più dopo che l’appartamento è tornato agibile, altrimenti si configura l’abbandono delle cose comuni, che non è ammesso.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 10478 del 3 maggio 2018, di cui riportiamo un estratto.
——————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 3.5.2018,
n. 10478
——————-
1) G.C. impugnava davanti al Tribunale di Roma la delibera del 14.10.2010 del Condominio … con cui erano stati approvati il bilancio consuntivo del 2009 e il bilancio preventivo del 2010, relativamente alle spese di riscaldamento e ad altri oneri condominiali.
Affermava che, a seguito di un incendio sviluppatosi nell’appartamento di sua proprietà in data 19.04.2005, il Comando dei VV.FF. aveva dichiarato l’appartamento inagibile sino al ripristino delle condizioni di sicurezza, sicché aveva diritto alla riduzione del 50% della quota inerente alle spese di riscaldamento, come previsto dall’art. 5 del regolamento condominiale
Il Condominio … rimaneva contumace.
(omissis)
2) Su gravame del Condominio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1825/2014, depositata il 18.3.2014, rigettava il gravame. Affermava che l’inagibilità dell’appartamento a causa dell’incendio integrava una situazione di inesigibilità temporanea, sebbene protratta nel tempo, tale da giustificare la riduzione del 50% del concorso alle spese del servizio di riscaldamento.
3) Per la cassazione della sentenza il Condominio ha proposto ricorso, ritualmente notificato 26.5.2014, articolato su due motivi.
(omissis)
6) Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché degli artt. 5 e 13 del regolamento condominiale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.
Il Condominio lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto l’inagibilità dell’appartamento temporanea e dipendente dall’incendio.
La Corte d’appello ha ritenuto la fattispecie inquadrabile nell’art. 5 del regolamento condominiale secondo cui “se un’unità rimanesse disabitata durante il periodo invernale per un periodo superiore a due mesi il condomino interessato potrà ottenere una riduzione del 50 % della quota a suo carico facendone richiesta con lettera raccomandata chiudendo i corpi radianti e facendolo constatare all’amministrazione o a un suo incaricato”.
Secondo il Condominio tale disposizione andava coordinata con l’art. 13 del regolamento, secondo cui “nessun condomino può sottrarsi al pagamento della quota parte di spese che gli compete, nemmeno mediante abbandono o rinunzia delle proprietà comuni”.
Parte ricorrente sostiene che secondo una valutazione alla luce del principio di buona fede contrattuale la persistente mancata riattivazione dell’impianto di riscaldamento aveva mutato l’iniziale temporaneità dell’inagibilità in inagibilità permanente, tale da integrare “abbandono delle cose comuni” ai sensi dell’art. 13 del regolamento e non temporanea inagibilità ai sensi dell’art. 5 del medesimo atto.
Parte ricorrente sostiene, in definitiva, che le disposizioni del regolamento condominiale e, in particolare, l’art. 5 e l’art. 13 dovevano essere interpretate in modo sistematico alla stregua dei canoni di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 e 1363 c.c..
7) Con il secondo mezzo, il Condominio deduce la violazione degli artt. 281 sexies 132 n. 4 e 277, comma 1, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c..
La Corte d’appello avrebbe omesso di confrontarsi con la circostanza della inagibilità permanente per scelta del condomino, obliterando così la valutazione su tale specifico punto.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro attinenza alla medesima problematica interpretativa del regolamento condominiale, sono fondati nei termini che seguono.
In tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cass. nn. 14460/2011;4670/09, 18180/07, 4176/07 e 28479/05).
Di qui l’erroneità dell’esegesi fissata esclusivamente su di una singola parola o frase, astratta dal resto della stessa o di altre clausole del contratto, cui pure deve applicarsi il medesimo canone interpretativo.
Nello specifico la sentenza impugnata ha adoperato in modo non conforme agli enunciati anzidetti i canoni ermeneutici dell’interpretazione complessiva della clausole (1363 c.c.) e dell’interpretazione secondo l’intenzione delle parti contraenti (art. 1362 c.c.).
L’interpretazione isolata dell’art. 5 del regolamento conduce a qualificare erroneamente il caso di specie come provvisoria sospensione dell’utilizzo dell’impianto di riscaldamento.
Dal complesso delle clausole contrattuali, artt. 5 e 13 del regolamento, raccordate tra loro, si evince chiaramente che lo scopo delle previsioni era nel senso di tutelare il singolo condomino in caso di temporaneo non utilizzo dell’impianto e, al contempo, salvaguardare le ragioni del Condominio da una eventuale mancata contribuzione alle spese condominiali per una scelta prolungata, si potrebbe dire “strutturale”, della proprietà quale l’abbandono o la rinuncia alla proprietà comune di un impianto.
In tale prospettiva, risulta operazione contraria alle regole di ermeneutica contrattuale sancite dagli artt. 1362 e 1363 c.c. ricondurre il caso in esame all’ambito di applicazione dell’art. 5 del regolamento condominiale, quando in base ai fatti accertati nei giudizi di merito, risultava all’evidenza integrata l’ipotesi contemplata dall’art. 13.
In tale operazione di qualificazione giuridica e esegesi sistematica occorreva tenere conto del fatto per cui la mancata riattivazione dell’impianto, perdurante nel tempo già per quattro anni al momento della delibera, alla stregua del principio di buona fede contrattuale, mutava l’iniziale situazione di temporaneità dell’inagibilità in inagibilità permanente.
Il limite alla qualificabilità di una sospensione temporanea con pagamento ridotto ex art 5 Reg., era da trarre dalla connessione con l’art. 13 che negava la facoltà di trasformare la transitorietà di utilizzo in condizione permanente di esonero totale dal pagamento, tale da integrare “abbandono… delle cose comuni”.
Significativamente il ricorso evidenzia che in citazione la richiesta principale del condomino era di esonero totale ex art. 13, circostanza che è verificabile perché emerge dalla sentenza del tribunale 10 ottobre 2013.
Il tutto trova conferma anche nel comportamento complessivo tenuto posteriormente dal condomino. Condotta rilevante ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c..
A tal proposito, parte ricorrente deduce che già in appello aveva denunciato il fatto che dopo otto anni dal risarcimento assicurativo l’appartamento era ancora disusato per scelta, sicché se l’iniziale inagibilità non era imputabile al G.C., non altrettanto poteva dirsi a seguito del risarcimento del danno che lo metteva nella condizione di ripristinare l’agibilità dell’appartamento.
Simile circostanza, acclarata nella sentenza di secondo grado, riscontra che già nel 2009 il comportamento di mancato ripristino dell’impianto equivaleva ad abbandono o rinunzia, con conseguente applicabilità dell’art. 13 del regolamento condominiale, nel cui perimetro ricade la fattispecie in esame.
Emerge da quanto esposto la fondatezza del ricorso e la possibilità di decidere la controversia nel merito ex art. 384 c.p.c. dichiarando, in accoglimento del ricorso, il rigetto dell’impugnazione della delibera assembleare proposta da G.C. nella parte oggetto della sentenza di appello e dell’odierno ricorso.
(omissis)
La Corte accoglie il ricorso e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’impugnazione della delibera assembleare condominiale per cui è causa.
Condanna la parte controricorrente alla refusione a parte ricorrente delle spese di lite liquidate in euro 1.100 per compenso, euro 200 per esborsi, per il giudizio di legittimità; 1.800 euro per il giudizio di primo grado di cui 200 per esborsi e 2000 per il giudizio di secondo grado, di cui duecento per esborsi; oltre accessori di legge
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sesta/2a sezione civile, tenuta il 12 maggio 2017.