Qual è la giusta pena per il condominio che sottrae l’energia elettrica al condominio per trarne beneficio personale? È questo l’oggetto della sentenza 2344/2018 della Corte di Cassazione, di cui si riporta, di seguito, un ampio estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 2344/2018
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1. La Corte di Appello di Bologna, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente B.F., con sentenza del 11/1/2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Monocratico di Rimini, emessa in data 13/10/2016, appellata dall’imputato, esclusa l’aggravante del mezzo fraudolento, rideterminava la pena in mesi 8 di reclusione ed euro 200 di multa, confermando nel resto.
Il G.M. del Tribunale di Rimini aveva dichiarato, all’esito di giudizio abbreviato, il B.E., tratto in stato di arresto per la convalida e contestuale rito direttissimo, responsabile del reato di cui agli artt. 624 e 625 n. 2 cod. pen., perché, al fine di trarne ingiusto profitto, quale condomino dell’immobile sito in …, dopo aver tagliato il cavo per la fornitura di energia elettrica da parte della soc. ENEL al proprio contatore e collegato con una prolunga il proprio contatore a quello condominiale, si impossessava, fraudolentemente, di energia elettrica per l’importo complessivo di circa Euro 1.000 (cagionando un danno economico agli altri condòmini). Con l’aggravante di aver di aver commesso il fatto con violenza sulle cose (taglio del cavo elettrico) e con mezzo fraudolento (collegamento al contatore condominiale); con la recidiva pluriaggravata reiterata di cui all’art. 99 commi 3 e 4 cod. pen.. Accertato in Rimini il 17/06/2016. L’imputato era stato condannato, alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 300 di multa, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e alla recidiva reiterata aggravata.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, B.F., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
Con un primo motivo deduce vizio di legge e vizio motivazionale perché nel calcolo della pena veniva applicato un trattamento sanzionatorio che il ricorrente giudica manifestamente eccessivo, senza a suo avviso fornire un idoneo supporto argomentativo.
Il ricorrente precisa di aver censurato in appello l’eccessività del trattamento sanzionatorio, in quanto il giudice di primo grado partiva da una pena base di 2 anni di reclusione ed euro 450 di multa, discostandosi dal minimo edittale, con generico riferimento ai criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. senza null’altro specificare, omettendo in tal modo di fornire una reale motivazione sulla scelta di discostarsi dal minimo edittale.
La corte di appello – ci si duole – si limitava ad affermare che, trattandosi di un fatto di non elevata gravità, era possibile contenere la pena base in anni uno di reclusione e 300 euro di multa.
Il ricorrente precisa che tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato, con la scelta del rito abbreviato e la confessione resa in sede di convalida dell’arresto, nonché della circostanza che l’esistenza di precedenti penali precludeva la possibilità di beneficiare dell’istituto di cui all’art. 163 cod. pen., il giudice avrebbe potuto mantenersi nell’ambito dei minimi edittali previsti.
Del resto la condotta posta in essere – si sostiene in ricorso – non era stata il frutto di una scelta criminale, ma la conseguenza delle difficili condizioni economiche in cui il B.F. si trovava.
La Corte distrettuale – ci si duole – non avrebbe minimamente considerato tali deduzioni.
(omissis)
1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
(omissis)
3. Quanto alla pena, il giudice di primo grado aveva dato atto di irrogare una pena non prossima al minimo edittale in relazione alla obiettiva “gravità del fatto, determinata dalla reiterazione della condotta, sia dopo l’arresto della convivente che dopo il ripristino della regolarità della fornitura, effettuato dal condominio alcuni giorni prima dell’arresto della B.”.
Ebbene, nonostante un motivo di appello in punto di dosimetria della pena del tutto generico, la Corte territoriale riduce la pena base irrogata a una pena di mesi otto di reclusione ed euro 200 di multa partendo da una pena base di anni uno di reclusione ed euro 300 di multa che, con riferimento al furto semplice, è inferiore al medio edittale.
L’obbligo motivazionale è dunque assolto laddove questa Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso – come quello che ci occupa – in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen (così Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013; conf. Sez. 2, n. 28852 dell’8/5/2013; sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013). Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia dì gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009).
4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.