Non va a buon fine l’impugnazione, da parte di alcuni condòmini, della delibera con cui il condominio dispone l’apposizione di un cancello per chiudere l’accesso a un’area comune, se tale provvedimento è coerente con quanto previsto dal regolamento condominiale in tema di destinazione dell’area in oggetto. Di seguito un estratto della sentenza di Cassazione numero 151/2017.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 5.1.2017, n. 151
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1. È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Perugia, depositata il 28 ottobre 2010, che ha accolto l’appello proposto dal Condominio di Via …, avverso la sentenza del Tribunale di Terni n. 248 del 2007, e nei confronti di L.M., M.L., F.K., T.G. e I.G..
(omissis)
2.1. Secondo la Corte territoriale, la legittimità della delibera condominiale, che prevedeva il divieto di apertura del cancello salvo che per effettuare le operazioni di carico e scarico di merci, doveva essere valutata in riferimento al disposto dell’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune, e non al disposto dell’art. 1102 c.c., come ritenuto dal Tribunale. In tale prospettiva, la disposta limitazione era coerente con la previsione contenuta nel Regolamento condominiale, nel quale era stabilito che “gli spazi di proprietà comune, durante le ore diurne, saranno luogo sicuro di ricreazione dei bimbi del condominio e quindi le auto dei condòmini non dovranno sostare in dette aree, ad eccezione di brevi istanti per la salita e la discesa dagli automezzi”. In esecuzione del Regolamento, infatti, già con delibera condominiale del 4 marzo 1981 era stata decisa l’installazione del cancello scorrevole, con chiusura che permetteva l’accesso per le operazioni di carico e scarico delle merci presso i negozi situati nello stabile condominiale. Tale delibera era stata confermata con la successiva del 29 agosto 1991, la cui impugnazione era stata rigettata dal Tribunale ed era diventata definitiva, per assenza di gravame sul punto.
2.2. La Corte d’appello ha inoltre osservato che la delibera del 7 ottobre 2004, ancora oggetto di controversia, ribadiva il contenuto di precedente delibera del 7 maggio 2004, che aveva risolto il contrasto tra condòmini proprietari degli appartamenti e condòmini proprietari dei locali ad uso commerciale, confermando la necessità della chiusura permanente del cancello, con l’eccezione indicata. La delibera non aveva prodotto l’inservibilità dell’area comune per alcuni condòmini, e in particolare per quelli che l’avevano impugnata, ma soltanto la riduzione dell’uso dell’area comune per tutti i condòmini, e tale decisione rientrava a pieno titolo nelle facoltà rimesse all’assemblea condominiale.
3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso L.M., T.G. e I.G., sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso il Condominio di …, che ha depositato memoria in prossimità dell’udienza del 4 maggio 2016, in esito alla quale è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di M.L. e di F.K. e quindi fissata l’udienza del 15 novembre 2016 per la decisione.
1. Il ricorso è infondato.
(omissis)
3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, art. 1102 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, e si contesta l’erronea valutazione degli elementi probatori, a partire dal regolamento condominiale risalente al 1967, che riservava l’area in oggetto alle attività ricreative dei bambini del condominio, mentre l’uso in concreto era mutato nel tempo, e l’area era normalmente utilizzata come parcheggio anche di giorno, dai condòmini possessori di posti auto, oltre per il transito veicolare sia dei condòmini sia dei fornitori degli esercizi commerciali, sicché l’originaria destinazione era mutata e la Corte d’appello avrebbe dovuto interpretare la previsione regolamentare tenendo conto del comportamento complessivo posteriore dei condomini, e quindi della evoluzione che negli anni aveva caratterizzato l’uso dell’area comune.
I ricorrenti evidenziano, inoltre, che l’installazione del cancello era stata deliberata all’unanimità per impedire l’accesso con motorini ai frequentatori del bar all’epoca esistente, mentre la delibera del 7 ottobre 2004, lungi dal confermare la precedente del 7 maggio 2004, aveva per la prima volta deciso la chiusura del cancello, come era confermato dalla diffida inviata dall’amministratrice ai ricorrenti (riportata nel ricorso), che faceva riferimento al divieto stabilito dall’assemblea, mentre le precedenti diffide contenevano l’invito a tenere chiuso il cancello. Sul punto, peraltro, sussisterebbe contraddittorietà, o quanto meno perplessità della motivazione resa dalla Corte d’appello, che aveva argomentato sul contenuto confermativo della precedente delibera.
4. Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1102 c.c., nonché vizio di motivazione, e si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la chiusura del cancello non costituiva innovazione che aveva reso l’area inservibile all’uso di alcuni condòmini.
Richiamate le doglianze prospettate con il terzo motivo, i ricorrenti evidenziano che la chiusura del cancello costituiva innovazione vietata, poiché aveva determinato una sensibile menomazione dell’utilità che in precedenza gli stessi ricorrenti traevano dal bene comune (è richiamata Cass., sez. 2, sentenza n. 20639 del 2005), sotto il profilo della visibilità e dell’accesso, anche potenziale della clientela, e che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la verifica della legittimità della delibera dovesse essere condotta alla stregua soltanto dell’art. 1120 c.c.. La disciplina dell’uso del cancello doveva essere valutata, invece, anche in relazione al principio del pari godimento della cosa comune.
4.1. Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perché connesse, sono infondate.
4.2. La ratio decidendi della sentenza impugnata è duplice: la Corte d’appello ha ritenuto, da un lato, che la delibera impugnata fosse meramente confermativa di precedente delibera, coerente con la destinazione dell’area risultante dal regolamento condominiale e con la già avvenuta installazione del cancello automatico, e, dall’altro lato, ha evidenziato che si trattava di delibera rispettosa della regola prevista dall’art. 1120 c.c., in quanto non aveva reso inservibile l’area ad alcuno dei condòmini. La prima ratio è contestata con il terzo motivo, che tuttavia si risolve nella prospettazione di una interpretazione del contenuto della delibera difforme da quella operata dalla Corte di merito, vale a dire in un apprezzamento in fatto alternativo a quello e ciò, in sede di legittimità, non è consentito (ex plurimis, e, Cass. 15185 del 2001) in assenza di errori di diritto e vizi logici.
Rimanendo integra la prima ratio decidendi, la doglianza proposta con il quarto motivo risulta priva di decisività in quanto inidonea a condurre alla cassazione della sentenza, e come tale inammissibile (ex plurimis, Sez. U, sent. 15185 del 2001).
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, mentre è rigettata la domanda di condanna aggravata alle spese formulata in udienza dal Procuratore generale. Non sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti di cui all’art. 385, quarto comma, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, in quanto il ricorso in esame non denota un elevato grado di imprudenza, imperizia o negligenza.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.