Per scagionare uno degli imputati dall’accusa di rapina, il difensore sottopone al vaglio della Cassazione la ricostruzione del colpo, effettuato dai malviventi facendo irruzione in banca attraverso un buco praticato nella parete dell’alloggio del portiere di condominio (uno dei presunti banditi) adiacente con l’istituto di credito.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 28159/2018
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1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza in data 13/4/2016, riformava limitatamente alla misura delle pene principali ed alla durata di quelle accessorie. la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Torino, in data 19/3/2015, nei confronti di F.C., per i reati di cui agli artt. 110, 628, comma 1, 3 e 3 bis, n.1 cod. pen., 110 e 699 cod. pen.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’ imputato.
2.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al combinato disposto degli artt. 192, 3° comma, e 197 bis cod. proc. pen., riguardo all’affermazione di responsabilità dell’imputato fondata sulle dichiarazioni dei coimputati M. e B.. Il ricorrente rileva che l’unica chiamata in correità era quella proveniente dal M.; il B. non aveva saputo riferire alcuna circostanza sulla partecipazione del F.C. alla rapina; rispetto alle dichiarazioni dei coimputati il riscontro utilizzato dalla decisione, ossia l’accertata presenza in un bar del F.C. la mattina in cui veniva consumata la rapina, era elemento neutro e privo di qualsiasi attitudine individualizzante; anzi, alla luce di tutti gli elementi raccolti e delle dichiarazioni rese dagli imputati giudicati separatamente, la presenza del F.C. in quel bar si poneva in logica antitesi con un suo coinvolgimento nella rapina, dovendosi ritenere logico e coerente che il F.C., ove effettivamente partecipe del programma, avrebbe evitato di recarsi in un luogo immediatamente vicino a quello in cui si doveva consumare la rapina.
2.3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dell’attenuante della minima partecipazione ex art. 114 cod. pen. oltre che all’omessa applicazione della disciplina dell’art. 116 cod. pen.; dagli elementi raccolti era evidente che il F.C. non intendeva partecipare ad una rapina, dovendosi pertanto limitare la misura della pena da irrogare al diverso titolo di reato meno grave di furto; lamentava la mancata applicazione delle indicate circostanze attenuanti.
Considerato in Diritto
1.1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
1.2. La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato sull’ipotizzata attendibilità delle dichiarazioni dei coimputati M. e B., giudicati separatamente, e sulla valenza di un dato storico ritenuto dotato di capacità individualizzante, nell’attribuire al F.C. il concorso nella preparazione dei luoghi che dovevano consentire l’accesso ai rapinatori negli uffici della banca, ove poi sarebbe stata consumata la rapina.
La lettura delle dichiarazioni dei due coimputati, riassunte nelle sentenze di primo e secondo grado, mette immediatamente in evidenza (come indicato dal ricorrente) che mentre il M. ha fornito indicazioni fattuali che coinvolgono il F.C. nell’attività preparatoria (la realizzazione del foro nella muratura esistente tra un locale, a disposizione del condominio ove il M. svolgeva le funzioni di portiere, e i bagni dell’agenzia dell’istituto di credito, locali confinanti con quelli dello stabile indicato), il B. invece non ha saputo dare indicazione alcuna sul ruolo del F.C., anzi riferendo in più passaggi di non conoscere il ricorrente e di non sapere se lo stesso fosse coinvolto nel progetto e, tantomeno, nell’esecuzione della rapina e delle attività preparatorie.
Di qui il primo dato inconfutabile, per cui le dichiarazioni del solo M., in assenza d’indicazione da parte della motivazione della sentenza di ulteriori e autonomi elementi di prova, non potevano fondare il giudizio di responsabilità nei confronti del F.C., non potendosi ritenere che quelle dichiarazioni fossero riscontrate dalle dichiarazioni del B..
1.3. Né poteva fungere da riscontro individualizzante, rispetto alle indicazioni fornite dal M., il fatto storico, ammesso dallo stesso imputato, di essersi recato la mattina in cui fu compiuta la rapina, in un bar ove aveva incontrato il M.; la circostanza, infatti, come segnalato dal ricorrente, non possiede alcuna valenza individualizzante rispetto all’attribuzione al F.C. del fatto tipico oggetto della contestazione.
La presenza del ricorrente nell’esercizio pubblico (peraltro abitudinaria, come emerge dalle dichiarazioni raccolte nel giudizio e, dunque, non significativa di una specifica circostanza che l’avesse imposta) è stata collegata dal dichiarante M. alla necessità di ricevere dal F.C. la conferma dell’avvenuta esecuzione del lavoro necessario per accedere, attraverso il buco operato nella muratura, negli uffici della banca. Il fatto che si assume possedere natura di riscontro individualizzante, in realtà non è in grado da sé di collegare il fatto di reato come contestato alla persona del’imputato, in quanto la sua presenza nel bar indicata dal correo e ammessa dallo stesso F.C., non è univocamente indicativa della circostanza riferita dal dichiarante (avvertire il M. del’avvenuta esecuzione del foro nella parte che doveva consentire l’accesso in banca ai rapinatori) potendo trovare spiegazioni logiche plausibili in differenti motivi che avevano indotto il F.C. a recasi nel bar che frequentava quotidianamente.
1.4. Dalla motivazione della sentenza impugnata emergono, inoltre, indicazioni che si pongono in aperta contraddizione con tale scansione logica e temporale; si tratta delle dichiarazioni del coimputato B., che ha riferito delle indicazioni ricevute dal M. il sabato precedente l’episodio, circa il giorno in cui doveva essere portata a segno la rapina, quando «gli aveva riferito che si sarebbe agito il lunedì mattina successivo, che aveva già fatto preparare il foro e che mancava solo l’ultima platina di piastrelle “e poi si era nella banca”» (pag. 13 della sentenza della Corte d’appello); dell’incontro avvenuto alle sei del mattino del giorno programmato per la rapina, tra B., Ba. e L. quando fu accertato che il buco era stato realizzato e doveva essere eliminato l’ultimo diaframma per consentire l’accesso dei rapinatori; il B. ha riferito che i tre correi da quel momento erano rimasti nel locale adiacente gli uffici “in attesa dell’arrivo degli impiegati della banca” (pag. 13 della sentenza della Corte d’appello); l’esecuzione della rapina è pacificamente avvenuta poco dopo l’ingresso dei dipendenti verso le 8,05; l’incontro al bar non risulta collocato temporalmente con precisione dal M., avendo solo il F.C. riferito di un incontro al bar verso le 7,35, orario che non può conciliarsi né con la necessità, riferita dagli altri correi, di appostarsi e attendere le istruzioni dal M., che doveva trovarsi fuori dall’istituto bancario con le funzioni di palo, né con le dichiarazioni del B., che ha precisato di essere rimasto con il L. e il Ba. in attesa nel locale ove era stato realizzato il foro (e dunque non potendosi contestualmente dare per dimostrata la presenza del L. e del Ba., nel bar ove si era recato il F.C.).
1.5. Infine, è egualmente contraddittoria la parte della motivazione della decisione impugnata, ove si riferisce che in realtà il M. non avrebbe affermato che la ragione dell’incontro tra lui e il F.C. era l’acquisizione della notizia concernente l’avvenuta esecuzione del foro (pag. 22 della sentenza), sicché la presenza dell’imputato era da ricondursi esclusivamente all’interesse, condiviso con gli altri correi, all’esecuzione della rapina; muovendo dalla premessa maggiore, e considerando gli altri elementi evidenziati dalla stessa decisione (relativi alla ripetuta indicazione da parte dello stesso M. circa il dissenso del F.C. nel prendere parte all’azione esecutiva della rapina, essendosi limitato a fornire il suo contributo nella sola fase della realizzazione del foro di acceso in banca), la presenza del F.C. nel bar, la mattina fissata per la rapina, appare circostanza che logicamente si pone in aperto contrasto con la volontà di prender parte alla consumazione del delitto, al contrario essendo logico che il F.C. si fosse preoccupato di prendere le distanze da quella fase dell’esecuzione e, quindi, di non farsi notare nei luoghi più vicini alla banca dove si doveva consumare la rapina.
La motivazione, dunque, risulta manifestamente illogica e contraddittoria e impone l’annullamento della sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, per nuovo giudizio sull’esistenza di altri e differenti riscontri individualizzanti, rispetto alle dichiarazioni rese dal coimputato M..
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dell’esame del secondo motivo.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Torino per nuovo giudizio.