[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – presidente LAIC] Con la decisione qui in commento, la Suprema Corte ricapitola alcuni punti cardine della disciplina del supercondominio, fissando – tramite alcune precisazioni – chiari principi di ordine sostanziale e processuale. L’occasione viene tratta dalla vicenda di due condòmini, i quali, a fronte dei danni patiti a causa delle infiltrazioni subite, provenienti dal lastrico solare del fabbricato ove era ubicata la loro proprietà, citavano in giudizio il supercondominio che comprendeva l’insieme dei fabbricati del complesso, in luogo del condominio (o dei singoli condomini, in assenza di amministratore) dello specifico fabbricato ove si erano verificati i danneggiamenti.
Se inizialmente, invero, il Giudice di Pace cui si erano rivolti in primo grado concedeva loro il risarcimento, il Tribunale, quale giudice d’appello, lo negava affermando come l’amministratore del supercondominio non fosse munito di legittimazione passiva, ma lo fossero, invece, i singoli condomini del fabbricato ove era avvenuto il danneggiamento, applicandosi in materia le regole della comunione.
Interviene oggi sul punto la Suprema Corte, confermando la statuizione del Tribunale, ma ampliandone le motiviazioni, e così cogliendo occasione per cristallizzare alcuni punti chiave in materia di supercondominio.
Essa, in primo luogo, riprende la propria giurisprudenza in materia, con la quale descrive il perimetro concettuale del supercondominio, non senza dimenticare di rilevare come tale giurisprudenza sia stata recepita dalla normativa di riforma del condominio. In particolare, si richiamano i requisiti di esistenza del supercondominio, parafrasando, senza citarlo l’art. 1117 bis c.c., il quale riferisce l’applicabilità delle norme in tema di condominio a “tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni” tra loro.
La Suprema Corte individua, pertanto, primariamente, tra tali parti in comune (che potranno essere costituite da impianti e servizi ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 C.c.) e ciascuno dei fabbricati dei quali si compone il complesso un “vincolo di accessorietà necessaria”.
Da tale “vincolo” discende pertanto la condizione di esistenza del supercondominio, la quale porta con sé, come corollario consequenziale ed immediato, per “ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati, la titolarità pro quota su tali parti comuni e l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione”
In secondo luogo, si afferma come, dalla dimensione duplice di supercondominio e condominio, derivi la necessità di due tabelle millesimali, la prima che riguarda i “millesimi supercondominiali” e la seconda quelli di normale applicazione del condominio. Di interessante rilievo è la conferma, secondo la costante giurisprudenza, dell’applicabilità al supercondominio del disposto di cui all’art. 1129 c.c., ed in particolare dell’obbligo di nomina dell’amministratore nel caso in cui “facenti parte del supercondominio siano oltre 8 partecipanti”, con la specificazione che “nel caso in cui anche gli altri edifici siano composti da oltre 8 partecipanti, anche questi ulteriori condomini dovranno nominare il proprio amministratore”, ammettendo peraltro come i due uffici, per quanto tra loro autonomi e distinti, possano essere ricoperti dal medesimo soggetto professionale, senza con ciò compromettere la “piena autonomia gestionale” dei due enti.
L’amministratore, pertanto, ancorché insignito di entrambi gli incarichi, sarà legittimato attivo o passivo alla azione in giudizio, a seconda della circostanza che l’atto di amministrazione oggetto della questione riguardi il condominio o il supercondominio.
Quanto alla applicabilità dell’art. 1129 c.c. e al conseguente obbligo di nomina di amministratore anche nell’ipotesi di supercondominio con oltre otto partecipanti, va annotato come, se oggi l’insegnamento della Suprema Corte è pacifico sul punto (cfr. ex pluribus Cass. 15476/2001 e Cass. 19558/2013), altrettanto non può dirsi della dottrina, la quale, tramite alcuni autori, ha ipotizzato, in tempi non recenti, la costituzione, in forma permanente o ad acta, di un Collegio degli amministratori dei singoli stabili, che provvedessero alla gestione delle parti comuni (cfr. Corona, Il Supercondominio, Milano, 1985, 114 e ss.; De Tilla, Giustizia Civile, 1990, I, 1086).
Tale soluzione, seppure contrastata oggi anche dalla novella normativa, non appare tuttavia illogica, in particolare in quei casi in cui, avuto riguardo al numero, alla tipologia e all’importanza dei beni in comune, gli atti di gestione si riducono ad una misura irrisoria, per i quali la spesa correlata all’incarico ad un professionista e ai correlativi atti di gestione contabile apparirebbe eccessiva, in confronto alla effettiva necessità, e laddove invece, sulle singole e rare questioni, un confronto e un accordo tra gli amministratori in carica nei singoli condomini, avrebbe forse costituito, sul piano normativo e su quello giurisprudenziale, una soluzione più corrispondente ai fini di una buona amministrazione.