La regolamentazione generale sulle distanze è applicabile tra i condòmini di un edificio soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità. È quindi legittima l’opera realizzata senza osservare le norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale. È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19265 del 19 luglio 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 19.7.2018,
n. 19265
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Con citazione notificata il 25.2.1987 “La L.C.” di S.C. & c. snc, premesso che il legale rappresentante della società, S.C. era proprietario di un fabbricato sito in Massalubrense, adibito ad albergo ristorante, convenne in giudizio I.C. e L.M., esponendo che i convenuti si erano illegittimamente impossessati di un vano seminterrato, a livello spiaggia, ed avevano commesso diversi abusi in danno della proprietà attrice, quali:
L’attrice chiedeva, dunque, la condanna dei convenuti alla restituzione del vano occupato ed alla eliminazione degli abusi lamentati, oltre al risarcimento dei danni.
I convenuti, costituitisi, concludevano per il rigetto delle domande ed eccepivano l’intervenuto acquisto per usucapione del vano che l’attore chiedeva in restituzione.
Il Tribunale di Torre Annunziata, espletata ctu ed assunta prova testimoniale, condannò i convenuti a rilasciare all’attrice il locale di circa 20 mq. secondo la linea tracciata nella ctu.
Condannò inoltre i convenuti:
Il Tribunale rigettò inoltre la domanda di condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello di Napoli, escluso il vizio di ultra-petizione della sentenza di primo grado in ordine alla determinazione della consistenza della proprietà della società attrice, affermò, nel merito, che non risultava provata l’occupazione abusiva del locale di 20 mq. da parte dei convenuti ritenuta dal primo giudice.
Il giudice di appello confermò invece la condanna dei signori I.C. e L.M. al ripristino della finestra esistente, mentre ritenne che l’apertura delle tre finestre sul muro perimetrale e con affaccio sul cortile di proprietà comune rientrasse nell’uso legittimo della cosa comune ex artt. 1102 c.c.
(omissis)
Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso la L.C di S.C. & c. snc, con cinque motivi.
(omissis)
(omissis)
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 903 e 1102 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato la disciplina degli artt. 903 e 1102 c.c., omettendo di rilevare che l’apertura, praticata su un muro comune, incorreva nel divieto di cui all’art. 903 comma 1 c.c.
Il motivo è infondato.
Conviene premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile tra i condòmini di un edificio soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. deve ritenersi legittima l’opera realizzata senza osservare le norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. 30528/2017).
L’apertura di finestre ovvero la trasformazione di “luce” in “veduta” su un cortile comune, in particolare, rientra nei poteri spettanti ai condòmini ai sensi dell’art. 1102 c.c, tenuto conto che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condòmini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva (Csss. 13874/2010; 14652/2013).
Qualora dunque, come nel caso di specie, il bene comune sia stato utilizzato nell’ambito dei limiti e poteri spettanti al partecipante alla comunione, l’esercizio legittimo di tali poteri esclude che possa invocarsi la violazione delle disposizioni in materia di distanze tra proprietà confinanti.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di detti principi.
Il giudice di appello, accertato che lo spazio sul quale affacciavano i finestroni per cui è causa era di proprietà comune, ha infatti ritenuto che l’apertura di tali finestre rientrasse nell’uso legittimo della cosa comune ex art. 1102 c.c., non risultando alcun pregiudizio ed anzi una migliore fruizione del muro ed ha conseguentemente respinto la domanda di eliminazione delle stesse.
(omissis)
In conclusione, va respinto sia il ricorso principale che quello incidentale, e la soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.
Spese compensate.