[A cura di: Virginio Trivella – Coordinatore del Comitato tecnico scientifico Rete Irene – www.reteirene.it ] Da qualche giorno circola la bozza di un decreto interministeriale previsto dalla legge di bilancio 2018, che aggiorna i requisiti tecnici che devono essere soddisfatti dagli interventi che intendono beneficiare delle detrazioni fiscali per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente e che fissa nuovi massimali di costo specifici per singola tipologia di intervento.
Il decreto si applicherà agli interventi avviati dopo la sua entrata in vigore, fissata al novantesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (art. 12). Il suo ambito di applicazione è circoscritto esclusivamente all’ecobonus, in tutte le sue categorie (art. 1). Non riguarda invece gli altri tipi di detrazioni fiscali (ristrutturazioni edilizie e sismabonus).
Il nuovo testo ha il pregio di assemblare in un unico documento e in modo chiaro una serie di disposizioni che precedentemente erano rinvenibili in varie fonti legislative, normative e interpretative, costituendo una sorta di testo unico di riferimento.
Non mancano tuttavia alcuni aspetti fortemente critici che hanno già suscitato la reazione didiverse associazioni di categoria e la forte preoccupazione degli operatori del settore.
Preoccupazione che condividiamo non solo in modo generico, ma che intendiamo argomentare con alcune motivazioni critiche, non prima di aver commentato le principali novità introdotte dal decreto ed evidenziato gli aspetti che a nostro parere sono apprezzabili. Ricordiamo che si tratta ancora di una bozza, che potrebbe dunque essere soggetta a modifiche – auspicabili – prima della sua pubblicazione.
Si tratta di importanti innovazioni, da tempo suggerite da Rete IRENE [Disegno di legge di bilancio 2018. Le agevolazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico negli edifici. Osservazioni e proposte], le prime due già incluse in via interpretativa nelle Linee guida pubblicate dall’ENEA [Riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali] con la finalità di favorire, attraverso la più elevata intensità dell’incentivo, gli interventi di riqualificazione integrati e profondi.
È auspicabile che il testo definitivo del decreto includa anche la trasformazione degli impianti individuali autonomi di produzione di acqua calda sanitaria in impianti centralizzati, al fine di ovviare ai diffusissimi problemi di sicurezza dovuti all’inadeguatezza delle canne fumarie, oltre che la sostituzione di impianti di climatizzazione estiva individuali con nuovi impianti centralizzati, soprattutto in edifici non residenziali o ad uso terziario.
Sono elencati con molta chiarezza tutti i soggetti che hanno titolo di beneficiare delle detrazioni fiscali (art. 4).
Con riferimento ai titolari di reddito d’impresa è precisato che la detrazione spetta per tutti gli edifici “posseduti o detenuti”, senza alcuna limitazione in funzione della circostanza che essi siano o meno utilizzati nell’ambito dell’attività d’impresa (art. 4, comma 1, lett. b). Con questa precisazione si auspica che sia posta definitivamente fine alla pretesa dell’Agenzia delle entrate di limitare la fruizione degli incentivi ai soli immobili utilizzati dai contribuenti nell’ambito della propria attività d’impresa, escludendo ad esempio quelli ceduti in locazione. Si tratta di un’interpretazione che, oltre a non trovare alcun riscontro nelle disposizioni di legge e nella ratio dello strumento di incentivazione, ha generato una quantità di contenzioso in cui l’Agenzia è risultata sistematicamente soccombente.
Sono parimenti ammessi alle detrazioni gli interventi sugli immobili di edilizia sociale posseduti o gestiti, per conto dei Comuni, dagli Istituti autonomi per le case popolari, oltre a quelli di proprietà delle cooperative di abitazione a proprietà indivisa (art. 4, comma 1, lett. c).
Stante l’apertura dimostrata dal legislatore a favore dell’edilizia sociale non condominiale e la facoltà, concessa in relazione a tutti gli interventi che generano ecobonus, di fruire degli incentivi cedendo a soggetti terzi i corrispondenti crediti fiscali, è auspicabile che, al fine di promuovere massicciamente la riqualificazione energetica di questo settore, le agevolazioni siano rese fruibili anche per gli immobili dei Comuni e di altri soggetti, come le ONLUS, che attualmente ne risultano esclusi.
Il decreto elenca esaustivamente gli adempimenti che devono essere assolti da chi intende avvalersi delle detrazioni fiscali (art. 6), incluso l’obbligo di asseverazione, a firma del tecnico abilitato incaricato della progettazione dell’intervento e della redazione della redazione tecnica (art. 8, comma 1 del D.lgs. 192/2005) o del direttore dei lavori, della conformità degli interventi rispetto alle leggi e normative nazionali e locali in tema di sicurezza e di efficienza energetica (art. 8).
Si tratta di una disposizione che, pur coinvolgendo esplicitamente la responsabilità dei tecnici incaricati, affronta solo marginalmente il problema – posto all’attenzione pubblica da Rete IRENE in reiterate segnalazioni – della frequente propensione dei cittadini a optare, per motivi meramente economici, a favore di interventi di manutenzione dell’involucro degli edifici che trascurano gli obblighi di riqualificazione energetica, complice l’assenza di controlli e una certa disponibilità di molti tecnici e amministratori di condominio ad assecondare queste pratiche che comprendono il discutibile ricorso alle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia.
La disposizione potrebbe essere molto più efficace se fosse applicata anche agli interventi, realizzati sugli involucri, che accedono a incentivi diversi dall’ecobonus. La responsabilizzazione esplicita dei tecnici e la prospettiva della perdita dell’incentivo determinerebbero un efficace deterrente contro i comportamenti scorretti.
A questo proposito, l’attività di monitoraggio dell’ENEA potrebbe fornire dati molto utili se non si limitasse alle informazioni raccolte secondo quanto previsto dal decreto (art. 10), ma estendesse le elaborazioni anche agli interventi realizzati sugli involucri degli edifici che beneficiano di incentivi diversi dall’ecobonus. Le statistiche su questi dati consentirebbero di monitorare, anche a livello geografico, l’entità di un fenomeno potenzialmente elusivo.
In relazione all’attestato di prestazione energetica, se ne conferma l’obbligo di produzione con riferimento a ciascuna unità immobiliare coinvolta dall’intervento, con la sola esclusione dei lavori di sostituzione dei serramenti in singole unità immobiliari per i quali è sufficiente una certificazione di conformità rilasciata dal fornitore.
Nel caso di accesso agli incentivi del 75% è richiesto anche un attestato aggiuntivo riferito all’intero edificio, necessario per valutare la qualità delle prestazioni invernale ed estiva che, di conseguenza, devono essere riferite all’intero immobile e non alle singole unità (art. 7, comma 2).
Come è precisato nella relazione illustrativa del decreto, l’aggiornamento dei requisiti tecnici che devono essere posseduti dagli interventi che accedono all’ecobonus, già definiti con decreti risalenti al 2007 e 2008, si è reso necessario per riallinearli rispetto alle nuove regole introdotte nel 2015 in materia di prestazione energetica degli edifici (decreto “Requisiti minimi”). “Il mancato aggiornamento di questi – così si legge – genera difficoltà, riscontrate da tecnici e cittadini, dovute alla mancanza di chiarezza nella definizione dei requisiti di accesso alle detrazioni fiscali per le tecnologie ammesse all’agevolazione”.
Si deve osservare preliminarmente che, a favore della chiarezza e della certezza del diritto, è opportuno che i vecchi decreti (19 febbraio 2007, 11 marzo 2008, 7 aprile 2008, 6 agosto 2009), sostituiti da quello in esame, siano esplicitamente abrogati.
Al fine di accedere alle detrazioni, gli interventi di riqualificazione energetica devono essere asseverati da un tecnico abilitato che attesti la rispondenza ai requisiti precisati nell’Allegato A (art. 8, comma 1).
L’Allegato A elenca, per ciascun tipo di intervento, i requisiti tecnici richiesti.
Gli interventi di riqualificazione energetica globale sono stati assoggettati a una profonda evoluzione. Da attività finalizzate a conseguire un miglioramento della sola prestazione invernale, come erano stati definiti originariamente dalla legge finanziaria 2007, sono ora interventi che hanno l’obiettivo di trasformare gli immobili esistenti in edifici a energia quasi zero.
Con riferimento agli interventi sull’involucro egli edifici, i valori di trasmittanza che devono essere ottenuti per le strutture opache e trasparenti sono indicati nell’Allegato E. Altri requisiti specifici, non diversi da quelli già noti, sono dettati per le schermature solari e per i casi di accesso alle percentuali di detrazione superiori (75-80-85%).
L’Allegato E elenca, per ciascun tipo di elemento dell’involucro e per ogni zona climatica, nuovesoglie di trasmittanza da ottenere per accedere all’ecobonus con gli interventi realizzati fino al 31 dicembre 2020 e con quelli che saranno realizzati dopo tale data. Tali valori di soglia sono più impegnativi rispetto a quelli attualmente in vigore, ma è precisato che sono calcolati secondo la norma UNI EN ISO 6946 (sono definiti per la sezione corrente delle strutture opache e non comprendono maggiorazioni in funzione della presenza di ponti termici) e non devono essere confusi con quelli indicati nel decreto “requisiti minimi”, validi per la verifica di conformità degli interventi. Si tratta pertanto di valori accettabili, anche con riferimento alle soglie ridotte a valere dal 2021.
A proposito delle soglie di trasmittanza di cui al decreto “requisiti minimi”, comprensive dell’incidenza dei ponti termici [Decreto interministeriale 26 giugno 2015 – Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici, allegato 1 , appendice B, pag. 3] è necessario richiamare l’attenzione del Ministero sul grave problema, più volte segnalato da Rete IRENE, dell’inadeguatezza dei valori ivi prescritti. Vi sono frequenti casi in cui la sola incidenza di ponti termici non correggibili è tale da superare la soglia massima prevista. In un numero di casi ancora maggiore la stratificazione isolante da applicare alla sezione corrente necessaria per compensare i ponti termici raggiunge spessori del tutto irragionevoli di diverse decine di centimetri.
Siamo al corrente che il CTI ha già da tempo inviato al Ministero dello Sviluppo economico osservazioni e proposte idonee a superare questo problema, ma non abbiamo notizie sulla concreta intenzione del Ministero di risolverlo. In attesa di una necessaria correzione della modalità di calcolo, in moltissimi casi è di fatto impossibile individuare soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti. Dal progresso tecnologico non è ragionevole attendere soluzioni idonee, almeno nel breve termine.
Un altro problema evidenziato da Rete IRENE è quello del computo del coefficiente medio globale di scambio termico per trasmissione per unità di superficie disperdente, che deve essere determinato per l’intera porzione dell’involucro oggetto dell’intervento, comprensiva di tutti i componenti, su cui si è intervenuti [Decreto interministeriale 26 giugno 2015 – Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici, allegato 1, punto 4.2.b.].
Nel caso dei condomini, sulla stessa superficie su cui si interviene per l’isolamento delle facciate condominiali (le cui decisioni di spesa attengono all’assemblea dei condòmini) insistono anche i serramenti che generalmente sono di pertinenza delle singole unità immobiliari e le cui decisioni di intervento sono attribuite a soggetti diversi dal Condominio. La conseguenza di questa commistione è la frequente impossibilità di rispettare il requisito qualora in concomitanza dell’isolamento delle superfici opache non si provveda anche a sostituire i serramenti privati
(circostanza che non si verifica quasi mai). Una brillante soluzione a questo problema è stata applicata in Lombardia con l’emanazione del Decreto 2456/2017 [Regione Lombardia D.d.u.o. 8 marzo 2017 n. 2456, art. 5.1].
Trattandosi di questioni che hanno a che fare con gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, dunque pertinenti con il decreto in esame, le correzioni necessarie potrebbero essere introdotte dallo stesso provvedimento.
Per ciascun tipo di intervento sono precisate le spese per le quali spetta la detrazione (art. 5). In generale, sono ammessi i costi:
Non sono espressamente menzionate nel testo del decreto le opere provvisionali necessarie per la realizzazione delle opere, né altre opere complementari che di volta in volta si rendono necessarie per la realizzazione di lavorazioni complementari. Tuttavia, in calce all’Allegato I è precisato che i costi esposti in tabella si considerano comprensivi delle opere complementari relative all’installazione e alla messa in opera delle tecnologie. Resta però indefinita la linea che distingue le opere complementari strettamente necessarie per la realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica e quelle che non hanno conseguenze sulla prestazione energetica ma che è opportuno siano realizzate contestualmente per motivi diversi (di sicurezza, messa a norma, adeguamento manutentivo, ripristino architettonico, ecc.).
Sono infine espressamente comprese le spese per le prestazioni professionali necessarie alla realizzazione degli interventi e quelle per la redazione dell’attestato di prestazione energetica (art. 5, comma 1, lett. e).
Tutte queste spese concorrono a formare la base di calcolo delle detrazioni spettanti, che non possono superare i massimali complessivi fissati per ciascun tipo di intervento. L’allegato B contiene una tavola sinottica che indica, per ciascun tipo di intervento ammissibile agli incentivi, la percentuale detraibile e la detrazione massima o l’importo massimo ammissibile.
Una nota in calce all’allegato precisa che i valori di detrazione massima ammissibile riguardano la singola unità immobiliare. Non essendo presenti distinzioni, si deve intendere che la precisazione vale anche per gli interventi di riqualificazione energetica globale (di cui all’art. 1, comma 344 della legge finanziaria 2007) e per tutti gli altri tipi di intervento menzionati nella tabella.
Sulla congruità dei massimali complessivi sembra esservi un consenso diffuso, anche se non mancano casi relativi a interventi integrati in cui risulta superato il massimale complessivo di 40.000 € per unità immobiliare previsto per gli interventi che accedono alla detrazione del 70-75%.
È la novità contenuta nel decreto che presenta l’aspetto di massima criticità e riguarda l’introduzione, in aggiunta al massimale complessivo di spesa o di detrazione (per ciascuna unità immobiliare), di nuovi massimali specifici di costo unitario riferiti alle singole tecnologie (“spesa specifica onnicomprensiva massima ammissibile della detrazione per tipologia di
intervento”). Tali valori, elencati nell’Allegato I, sono comprensivi di IVA, prestazioni professionali e opere complementari relative all’installazione e alla messa in opera delle tecnologie.
L’allarme già lanciato da diverse associazioni di categoria è più che fondato: i massimali di costo sono ampiamente insufficienti a coprire tutte le spese che, nei cantieri reali, devono essere sostenuti per il compimento delle opere. Di conseguenza, la loro applicazione ridurrebbe la quota effettiva di detrazione a percentuali ben più basse rispetto a quelle nominali, depotenziando in misura sostanziale l’efficacia dello strumento di incentivazione.
Nella relazione illustrativa del decreto si legge che i nuovi massimali “sono coerenti con le ipotesi utilizzate per le valutazioni di impatto economico ed energetico condotte nella predisposizione della Legge di Stabilità per il 2018”. Nella relazione tecnica al disegno di legge di bilancio non c’è traccia di tali ipotesi e valutazioni: sono presenti esclusivamente le ipotesi relative all’addizionalità dei provvedimenti di incentivazione a sostegno delle valutazioni del loro impatto sul bilancio pubblico, peraltro molto discutibili in quanto in aperto contrasto con i dati pubblicati dall’Agenzia delle entrate [Per una introduzione alla problematica cfr. Rete IRENE: Disegno di legge di bilancio 2018. Le agevolazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico negli edifici. Osservazioni e proposte, pag. 6 ].
A prescindere da queste considerazioni, che coinvolgono ragionamenti che possono apparire astratti e dati dei quali non è semplice disporre in forma completa e oggettiva, la questione sostanziale riguarda la capacità dei massimali indicati nel decreto di non pregiudicare la funzione dello strumento di incentivazione, che è di stimolare le decisioni dei cittadini a favore di interventi che in assenza di incentivo non sarebbero realizzati.
I massimali di costo elencati nell’Allegato I sono gli stessi già adottati qualche anno fa per il Conto termico [Decreto interministeriale 16 febbraio 2016 – Aggiornamento Conto termico – Allegato – Tabella 5. I soli massimali che risultano aggiornati sono quelli per le caldaie a condensazione, il cui valore è stato incrementato di circa il 55%] che però non includono i costi per le prestazioni professionali, ma è noto che questo strumento, nonostante il suo aggiornamento del 2016, non sta riscontrando un grande successo ed è stato utilizzato molto al di sotto delle sue potenzialità [a due anni dall’aggiornamento delle regole di funzionamento, che ha risolto i precedenti ostacoli di natura procedimentale, il Conto termico è utilizzato dalla Pubblica Amministrazione per una frazione irrisoria della sua potenzialità. Le risorse impegnate nel 2017 sono state di 15 milioni di euro su un plafond di 200 (7,5%). Al 1° luglio 2018 le risorse impegnate per l’anno ammontano a 39 milioni (19,5%) – Dati Contatore Conto termico].
Uno dei motivi del suo insuccesso risiede nel fatto che i massimali di spesa sono inadeguati e coprono una frazione insufficiente del costo reale degli interventi. Non è superfluo ricordare infatti che quasi sempre gli interventi di riqualificazione energetica si accompagnano ad altre attività aventi le diverse finalità ricordate al paragrafo precedente (messa in sicurezza, messa a norma, adeguamento manutentivo, …), caratterizzate da valori spesso importanti in relazione al valore dell’efficientamento energetico e la cui omissione renderebbe privo di senso o di interesse la realizzazione di quest’ultimo. Quasi sempre, dunque, le operazioni di riqualificazione energetica richiedono la disponibilità di risorse economiche aggiuntive, in assenza delle quali l’intervento non viene preso in considerazione.
Oltre che dall’esperienza degli operatori del settore, l’inadeguatezza dei massimali pare confermata dallo studio sui livelli ottimali dei requisiti di prestazione energetica in funzione dei costi condotto dallo stesso Ministero dello Sviluppo economico con CTI, ENEA e RSE in applicazione dell’art. 5 della direttiva 2010/31/UE [MISE: Applicazione della metodologia di calcolo dei livelli ottimali in funzione dei costi per i requisiti minimi di prestazione energetica (luglio 2013)], in cui sono svolte alcune elaborazioni su edifici di riferimento al fine di determinare i “minimi costi globali” per l’ottenimento di valori ottimali di energia primaria annuale. Un altro studio più recente pubblicato da RSE, in cui è applicata la medesima metodologia dei livelli ottimali di costo, stima i costi di riqualificazione (espressi per unità di superficie di pavimento) per tipologia di intervento in relazione ad alcuni casi studio [RSE: Edifici energeticamente efficienti: un’opportunità (2015)].
Applicando i massimali indicati nella bozza di decreto agli edifici di riferimento utilizzati negli studi citati si ottengono livelli di costi di investimento di gran lunga inferiori rispetto a quelli indicati come ottimali. I costi per tipologia di intervento che corrispondono ai livelli ottimali di investimento calcolati da ENEA e RSE risultano superiori, rispetto ai massimali indicati nella bozza di decreto, del 50-100% in riferimento alle superfici opache e del 30% in riferimento a quelle trasparenti.
Un ulteriore difetto attribuibile all’Allegato I riguarda il numero di categorie di interventi eccessivamente ridotto, che non rappresenta in modo efficace la variabilità delle situazioni presenti nelle situazioni reali ed esaspera l’aleatorietà degli scostamenti tra i pochi massimali previsti e i costi effettivi [Al contrario, gli studi sui livelli ottimali in funzione dei costi condotti dal Ministero dello Sviluppo economico prendono in considerazione diverse tipologie interventi in funzione della taglia degli edifici e della loro collocazione geografica].
Alcune stime preliminari da noi effettuate relative a casi rappresentativi di realtà ampiamente diffuse, ci consentono di sostenere che, a fronte di detrazioni nominali del 70% per interventi sull’involucro condominiale, l’applicazione dei nuovi limiti condurrebbe alla fruizione effettiva di detrazioni difficilmente superiori al 35-40% del costo degli interventi, che si ridurrebbero ulteriormente computando anche gli oneri finanziari in caso di cessione dei crediti fiscali e di indebitamento per l’anticipazione della quota non coperta dagli incentivi (che a sua volta risulterebbe di gran lunga superiore a quella nominale del 30%).
Inoltre, la fissazione di massimali eccessivamente contenuti, oltre a scoraggiare la realizzazione degli interventi favorirebbe la realizzazione di interventi di qualità scadente e molto al di sotto delle effettive potenzialità di efficientamento.
È facilmente intuibile che, alle condizioni della bozza di decreto, l’efficacia dell’ecobonus subirebbe una gravissima menomazione e risulterebbe compromesso l’obiettivo di indurre la diffusione su larga scala delle attività di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare e la possibilità di centrare uno degli obiettivi principali della Strategia energetica nazionale, tenuto conto che gli altri strumenti di incentivazione si stanno mostrando incapaci di raggiungere i rispettivi target [Sulle attese in merito ai risparmi conseguibili con i diversi strumenti di incentivazione cfr. Rete IRENE: Rapporto RAEE 2018. Il punto sull’efficienza energetica ] .
Sarebbe inoltre fatalmente danneggiato un settore già pesantemente colpito da una crisi decennale che, grazie allo sviluppo della riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare nazionale, è in grado di fornire un importante contributo di crescita all’occupazione, all’economia e alla tutela dell’ambiente e della salute. Quanto all’impatto sul bilancio pubblico, il mancato decollo del comparto determinerebbe il corrispondente mancato gettito immediato incrementale di imposte dirette e indirette.
Una soluzione che consentirebbe di salvaguardare l’impianto del decreto, che è comunque apprezzabile nel suo intento di evitare speculazioni e ottimizzare l’addizionalità degli incentivi, potrebbe essere quella di rimodulare l’Allegato I:
I benefici che possono essere tratti da una vasta azione di rilancio dell’edilizia nel nostro Paese sono molti e noti. Tra questi, un impulso all’economia di ampiezza difficilmente ottenibile da altri settori. In questo quadro, la riqualificazione energetica gioca un ruolo essenziale per gli effetti favorevoli su diversi ambiti di interesse pubblico, non solo economici, che oggi sono al centro dell’attenzione delle politiche comunitarie.
È fondamentale quindi che anche gli attuali organi legislativi potenzino l’esperienza avviata negli ultimi anni e la completino, affidando un ruolo di primo piano alla politica di stimolo dell’attività edilizia finalizzata al contenimento del consumo del suolo, in connessione con quelle rivolte alla tutela dell’ambiente e della salute, alla sicurezza energetica, allo sviluppo dell’occupazione e al contrasto del depauperamento della ricchezza delle famiglie.
Gli incentivi, se correttamente configurati in modo da massimizzarne la capacità addizionale, si mostrano come investimenti capaci di generare nel breve periodo risorse fiscali aggiuntive sufficienti a compensarne il costo. In questo modo la politica di stimolo può assumere un ruolo strategico di lungo periodo, affrancandosi dalle contingenze e dai meccanismi emendativi convulsi e poco razionali delle leggi di bilancio che, spesso, squalificano i provvedimenti a iniziative di mera propaganda politica [Rete IRENE: Una nuova politica per la riqualificazione del patrimonio immobiliare – Il Sole24Ore, 6 aprile 2018].
La fissazione di vincoli eccessivamente stringenti come quelli prospettati nella bozza di decreto in esame va contro l’interesse del Paese e rischia di compromettere l’avvio di un processo di sviluppo che – grazie alle innovazioni introdotte con le ultime leggi di bilancio e all’interesse manifestato da alcuni grandi investitori a diventare attori di un vasto piano di riqualificazione energetica e sismica, attraverso il meccanismo della cessione dei crediti fiscali, rispondendo a un appello che tutte le parti politiche hanno lanciato da tempo – comincia ora a manifestarsi.
Noi crediamo che un piano ambizioso di promozione della riqualificazione del patrimonio immobiliare debba essere impostato sulla massima efficacia degli strumenti di stimolo, orientato alla più ampia diffusione degli interventi e non alla minimizzazione degli investimenti e dei tempi di ritorno che, come è noto, sono incompatibili con la massimizzazione dei risparmi energetici.
Il mercato delle riqualificazioni energetiche sta vivendo una fase di esplorazione e mostra prospettive incoraggianti, ma è ancora molto fragile. L’efficienza energetica non riveste caratteri di priorità nelle scelte di spesa dei cittadini, e un drastico depotenziamento della capacità persuasiva degli incentivi colpirebbe in misura fatale la loro propensione ad agire e renderebbe ancora più improbabile il perseguimento della Strategia energetica nazionale e degli obiettivi di decarbonizzazione.
Gli effetti prevedibili dell’applicazione del decreto, così come è configurato nella bozza esaminata, appaiono in netto contrasto con gli obiettivi dichiarati nel Contratto per il Governo del Cambiamento (“vanno promosse azioni a sostegno alle iniziative per rilanciare il patrimonio edilizio esistente, favorendo la rigenerazione urbana e il retrofit (riqualificazione energetica) degli edifici”; “potenziare le azioni attualmente considerate a livello nazionale per il contrasto al cambiamento climatico e per la transizione verso modelli sostenibili di economia e gestione delle risorse rinnovabili”; “avviare azioni mirate per aumentare l’efficienza energetica in tutti i settori e tornare a far salire la produzione da fonti rinnovabili prevedendo una pianificazione nazionale che rafforzi le misure per il risparmio e l’efficienza energetica riducendo i consumiattuali”).
Confidiamo che il Ministero firmatario del decreto, per il proprio ruolo orientato allo sviluppo economico del Paese, e gli altri dicasteri coinvolti, anch’essi interessati alle ricadute positive di un vasto piano di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare nazionale, sappiano agire con coerenza e lungimiranza, evitando di mettere a rischio uno strumento che, faticosamente, comincia ora a fornire i risultati lungamente attesi.