[A cura di: Avv. Rodolfo Cusano e avv. Luisa Del Giudice] Quando si affronta la materia condominiale occorre tener ben presente quelle che sono le norme dettate dal codice civile e le interpretazioni che di esse ne fanno i giudici di merito ed in particolare la Cassazione senza dimenticare le interpretazioni della dottrina. Quest’ultima oggi (a sommesso avviso) relegata in ultima posizione perché venuta meno al dibattito ed elaborazione di principi ed indirizzi suoi propri e del caso anche in contrasto con la giurisprudenza. Eppure ve ne sarebbe tanto bisogno perché mentre alla giurisprudenza è lasciato il compito (in genere) del metodo induttivo e cioè quello che parte dal caso pratico alla dottrina era lasciato il compito di delineare e proporre categorie ed indirizzi a carattere generale.
Tale encomiabile opera serviva anche a tracciare dei confini tra l’uno e l’altro istituto del diritto ed a sancirne le analogie o a negarle. Ma scendiamo nel mondo condominiale e facciamo degli esempi in maniera che il dire sia più comprensibile.
Lo stesso articolo 1129 c.c. allorché ne indica i requisiti, gli obblighi ed i poteri finisce con il dire al penultimo capoverso: “Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro IV. Insomma le regole sul mandato. Quasi a ritenere che il mandato dell’amministratore sia una species del più generale contratto di mandato. Così non è. Infatti, nulla ha a che vedere il contratto di amministrare un condominio con quello di mandato proprio perché con la recente riforma del condominio (Legge n. 220/2012) l’istituto ha assunto caratteristiche e peculiarità sue proprie. Prime fra tutte: i requisiti e la durata della nomina. Infatti, la durata annuale dell’incarico pur soggetta al regime della proroga in caso di mancata revoca è da ritenersi inderogabile. Come tale ogni decisione diversa è da ritenersi completamente nulla. Anche la scomparsa del regime della prorogatio, perché l’amministratore alla scadenza del termine può solo compiere gli atti urgenti e non ha diritto al compenso, va in questa direzione.
Atteso, quindi, che potremmo considerare il condominio come un istituto con proprie caratteristiche e peculiarità, vediamo in questa prima riflessione di delinearne alcune tra le più importanti e tra queste ci occupiamo del: principio di annualità della gestione.
Tale principio discende dai riferimenti dell’articolo 1135 c.c. all’annualità tanto del bilancio preventivo quanto del rendiconto consuntivo, con la conseguenza, esplicitata in Cass. n. 7706/96, della nullità della deliberazione condominiale che vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese, oltre quella annuale, ed alla quale si commisuri l’obbligo della contribuzione.
Logica conseguenza del principio è anche che, quando ci si trova di fronte ad una delibera assembleare che approvi rendiconti pluriennali, non osservandosi la regola della necessaria annualità del rendiconto, si configuri una forma di nullità e non di semplice annullabilità della delibera. (Tanto a rimarcare la gravità della violazione in parola, sotto il profilo qui in esame, anche quando sia avvenuta con riferimento ad un solo esercizio vedi Tribunale di Taranto Sentenza 21 settembre 2015). Ciò trova spiegazione nell’esigenza inderogabile nel fatto che il rendiconto condominiale, riferito ad un anno di gestione, non può prescindere dai saldi della gestione precedente per consentire all’amministratore di predisporre un documento contabile allineato e quindi effettuare quella serie di operazioni contabili che consentono di collegare un nuovo esercizio finanziario alle annualità precedenti, contestualizzando il tutto in un unicum contabile privo di soluzioni di continuità, adeguando anche (e necessariamente) lo stato patrimoniale.
Come si vede, il principio ha addirittura natura inderogabile e permea di sé tutte le attività in condominio.
Di particolare importanza le conseguenze in merito ai termini di prescrizione degli oneri condominiali. Al riguardo vedi la sentenza della Cassazione n. 8521/2017, dove il condomino contestava il pagamento di una quota del suo saldo passivo che si riferiva al 2004 ed inserito nel rendiconto approvato nell’anno 2008.
Ma anche Cassazione n. 4489/2014, nella quale si scrive che “i saldi contabili delle gestioni condominialistiche precedenti vanno riferiti al momento dell’approvazione del rendiconto, il cui termine prescrizionale di 5 anni decorre dal giorno in cui viene approvato il bilancio. Quanto ai piani di riparto, nonostante essi vengono riportati anche nei rendiconti successivi sino al soddisfacimento, è da escludersi che delibere successive riguardanti i crediti del condominio, per successivi periodi di gestione e diversi titoli di spesa possono costituire un nuovo fatto costitutivo del credito”.
Altra importantissima applicazione del suddetto principio è quella che si ritrova nel disposto dell’art. 63 comma 4 delle Disp. Att. c.c.: chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Anche qui il riferimento è all’annualità gestionale e non a quella solare.
Si ritiene quindi di poter concludere la presente disamina con l’affermazione che il principio di annualità permea di sé l’intera materia condominiale con la conseguenza che i deliberati e le attività amministrative non possono proporsi in contrasto con esso e qualora ciò avvenga si è in presenza di una nullità assoluta degli atti posti in essere.