[A cura di: Jean-Claude Mochet – presidente Commissione Fiscale Nazionale U.P.P.I.] È di grande attualità sentire parlare di rapporto debito/PIL e di rapporto deficit/PIL. I giornali e i telegiornali non fanno altro che fomentare ostilità tra chi ritiene necessario il rigore dei conti statali e chi invece è disposto a sacrificare i limiti imposti dall’Europa in favore di misure per la crescita.
L’ U.P.P.I. continua a manifestare il suo scetticismo riguardo alle ricette che l’U.E. vuole ad ogni costo imporre all’Italia per ridurre il debito, che insistono sull’aumento della pressione fiscale sul settore immobiliare. In particolare, riteniamo che le politiche di austerità non solo non creino occasioni di miglioramento per l’economia; ma che anzi, deprimendo ancora di più la domanda interna, spingendo, insomma, la gente a spendere sempre meno, inneschino un circolo vizioso generando una spirale di contrazione economica, nella quale alla depressione della domanda interna fa seguito un inevitabile aumento della disoccupazione.
Molti sono i ricercatori che, oramai, dati alla mano, sostengono questa teoria, in particolare due di essi, Stuckler e Basu, nel volume “L’economia che uccide”, edito da Rizzoli, si soffermano proprio su questa interpretazione. Ma non sono gli unici.
In tal senso si è espresso anche il famoso Istituto Bruegel che non è un soggetto qualsiasi, ma è uno dei think tank più influenti al mondo. Si tratta di un istituto nel quale siedono molti di coloro che dettano l’agenda alle istituzioni europee e ai governi, come Jean Pisani-Ferry (economista e autore del programma di Macron) e Jean-Claude Trichet (economista ed ex Presidente BCE), ma ci colpisce il fatto che, tra i suoi fondatori e, al momento, presidente onorario, ci sia proprio il più grande sostenitore delle politiche di austerity, Mario Monti.
I ricercatori del Bruegel, in 14 pagine, confrontano la situazione italiana a quella belga, simili nel 1999, al momento dell’arrivo dell’euro (debito pubblico al 110% del PIL e analogo PIL pro capite) e assai diverse adesso, perché in questi anni il Belgio è migliorato e l’Italia no. Questo perché l’Italia ha risposto all’attacco dei mercati proprio con le politiche di austerità, ciò ha peggiorato le cose, mandando la crescita del PIL in territorio negativo e aggravando il rapporto debito/PIL. Secondo questo documento, proprio con Monti l’inasprimento delle misure di austerità ha causato un crollo del PIL che, nel 2012, è sceso del 2,8%.
Stessa situazione nel 2013, quando l’Italia ha registrato un avanzo primario (che si realizza quando lo Stato, ad esempio, spende 100 ed incassa 103) relativamente consistente e il suo PIL si è contratto ancora dell’1,7%. Naturalmente, durante il famoso “governo tecnico”, le entrate dello Stato superarono le uscite, ma il sacrificio dei contribuenti fu vanificato dalla recessione economica causata dall’eccessivo rigore.
A firmare queste ed altre considerazioni è stato l’economista André Sapir, già consulente di Prodi e Barroso, ai tempi in cui furono presidenti U.E. Proprio nel periodo del governo Monti, in corrispondenza dell’attuazione delle politiche di austerità, c’è stata un’impennata del debito pubblico, soprattutto negli anni 2011-2013, con un rialzo del 13%. Le misure di austerità hanno aumentato il rapporto debito/Pil dal 117% del 2011 al 129% del 2013.
Se abbiamo capito bene, cioè che l’U.E. ci chiede una diminuzione del rapporto debito/PIL, allora le politiche di austerità sono il mezzo sbagliato per ottenerla. Mentre le politiche di austerità creano ulteriore depressione economica e aumento del debito, al contrario, ampi deficit di bilancio, pari ad una media del 3,2%, come si sono avuti in Italia dal 2001 al 2007, hanno visto scendere il debito pubblico dal 105% al 99%.
In merito al deficit di bilancio, annunciato dal governo nella nota al DEF, intorno al 2,4% che tanto fa discutere, è importante ricordare che quasi tutti i governi degli ultimi dieci anni hanno usato un differenziale ben più alto del 2,4%, tranne il governo Gentiloni. Persino il governo Monti ha procurato un differenziale deficit/PIL del 3%. In base ai dati in mio possesso l’aumento delle tasse e, addirittura, l’inserimento di una patrimoniale non sarebbero assolutamente giustificati alla luce di una fantomatica uscita dalla crisi, né tantomeno, come abbiamo visto, alla luce di una ipotetica riduzione del debito pubblico.
Forse le imposte sulla casa potranno aumentare il gettito fiscale, ma non genereranno ricchezza, potremmo infatti dire, citando Winston Churchill che: “Una Nazione che si tassi nella speranza di diventare prospera somiglia ad un uomo, in piedi in un secchio, che cerchi di sollevarsi tirando il manico”. Viceversa il Paese ha bisogno di politiche espansive della domanda, della riduzione della tassazione in generale e, in particolare, sulla casa.
È necessario che il legislatore capisca che all’Italia serve una tassazione snella e trasparente, di facile e meccanica applicazione, equa e sostenibile, che non solo generi beneficio alle casse dello Stato, ma che sia trampolino di lancio per la ripresa di importanti settori dell’economia, come il settore immobiliare, oltre che disincentivo all’evasione.
L’U.P.P.I. si batterà in ogni sede per tutelare gli interessi dei piccoli proprietari, ostacolando la reintroduzione dell’IMU sulla prima casa, richiesta a gran voce dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario internazionale e ogni altra ipotesi di aumenta della pressione fiscale sul bene casa come la patrimoniale.