Seppur approvato dal Comune previo rilascio della relativa concessione, l’intervento di sopraelevazione di un edificio che finisca per violare la distanza minima con quello di fronte, è da ritenersi illegittimo. Ne scaturisce la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. È quanto sentenziato dalla Cassazione con l’ordinanza 24076 del 3 ottobre 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 3.10.2018,
n. 24076
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C.M. ed P.A. propongono ricorso, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 880/13 depositata il 28 novembre 2013, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli odierni ricorrenti in solido alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, avuto riguardo alla sopraelevazione da essi effettuata, ritenuta in violazione della distanza prescritta dal D.M. 2 aprile 1968, art. 9, rispetto all’appartamento di R.L., mediante demolizione delle opere eseguite, ovvero loro arretramento.
La Corte territoriale, in particolare, premesso che l’immobile di proprietà della R.L. costituiva un unico edificio, con unica facciata, accertava che la soprelevazione eretta dagli odierni ricorrenti risultava posta in essere in violazione delle disposizioni in materia di distanze ex art. 873 c.c. e ss., e della disposizione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, con riferimento, rispettivamente, alla stradella di cui la R.L. era comproprietaria ed all’edificio di proprietà esclusiva della medesima.
R.L. non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva.
In prossimità dell’odierna adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 871 c.c., e della L. n. 765 del 1967, art. 17, in relazione all’art. 12.1 dell’elaborato D “Norme tecniche di attuazione della variante generale del PRG”, nonché agli artt. 115,116 e 132 c.p.c..
I ricorrenti censurano la statuizione della sentenza impugnata secondo cui la sopraelevazione non rispettava le distanze minime previste dal codice civile, rilevando in contrario che l’edificio dei ricorrenti già insisteva all’odierna distanza dal confine: la soprelevazione a filo di facciata non privava dunque l’intimata di alcun diritto o facoltà.
I ricorrenti sostengono inoltre che la disposizione dell’art. 12.1 dell’elaborato D delle “Norme tecniche di attuazione” della variante generale del PRG del Comune di Trieste, riconosceva la possibilità di eseguire soprelevazioni di edifici, limitandosi a prescrivere limiti alle altezze massime, consentendo una deroga alle distanze previste dalle normative di zona, purché non in contrasto con quanto previsto del codice civile e ferma restando la distanza di 10 mt. tra pareti finestrate: deducono dunque la legittimità dell’intervento, approvato dal Comune di Trieste che ha rilasciato la relativa concessione edilizia.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha infatti accertato che la soprelevazione dei ricorrenti, la quale, come già precisato dal giudice di primo grado, comportava un aumento della volumetria preesistente, risultava eretta a distanza inferiore a quella, di 5 mt., prevista dalla normativa urbanistica vigente in materia di distanze dal confine, avuto riguardo alla stradella di cui alla p.c. n. … in comproprietà dell’intimata, apparendo al riguardo irrilevante il fatto che l’intervento edilizio sia stato approvato, previo rilascio di concessione, dal Comune di Trieste.
Non risulta dunque ravvisabile alcuna violazione di legge, posto che la deroga prevista dall’art. 12.1 dell’elaborato D “Norme tecniche di attuazione” della variante generale del PRG del Comune di Trieste per la soprelevazione faceva salve le disposizioni inderogabili in materia di distanze previste dall’art. 873 c.c., come integrata dalle norme di attuazione del PRG (5 metri dal confine).
Il secondo motivo denuncia violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, e dell’art. 873 c.c., censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto che i due edifici di cui l’intimata è comproprietaria costituissero una facciata unica, fronteggiante la parete ovest dell’immobile di proprietà dei ricorrenti: ad avviso dei ricorrenti solo uno dei due distinti corpi di fabbrica è dotato di finestra, ma esso non fronteggia l’edificio di controparte.
Il terzo motivo denuncia violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 132 c.p.c., n. 4), deducendo l’assoluta mancanza di motivazione ed il fatto che la sentenza impugnata si discosti dalle conclusioni peritali senza darne adeguata motivazione, omettendo dunque di valutare tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame.
I due motivi, che, per la loro connessione, vanno unitariamente esaminati, sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che le unità immobiliari di proprietà dell’intimata costituissero un unico fabbricato e componessero un’unica facciata: tale statuizione, in quanto logicamente ed adeguatamente motivata e fondata sul complessivo esame dei documenti e degli atti di causa, si sottrae a sindacato in sede di legittimità.
Il giudice di appello ha fatto coerentemente discendere da tale accertamento la violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, in quanto la distanza tra la soprelevazione della facciata nord ed il balcone verandato dell’abitazione dell’intimata era di soli 2,61 cm.
La Corte ha dunque fatto buon governo del consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui la distanza minima di dieci metri tra le costruzioni, stabilita dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, deve osservarsi in modo assoluto, poiché la “ratio” della norma non è la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Tale norma va pertanto applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle pareti di questi, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (Cass. 5741/2008).
Il ricorso va dunque respinto e, considerato che l’intimata non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese. (omissis).
La Corte rigetta il ricorso.