Nel concetto civilistico di “costruzione” rientrano (e quindi vanno ricomprese nel computo delle distanze legali) le parti dell’edificio, inclusi, come nella specie, gli sporti sorretti da pilastri e i corpi avanzati, che seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato. È quanto rimarcato dalla Cassazione con l’ordinanza 26846 dello scorso 23 ottobre, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 23.10.2018,
n. 26846
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La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Bari, sezione di Acquaviva, ha respinto le domande proposte dagli attuali ricorrenti volte ad ottenere l’arretramento, fino al rispetto della distanza legale, di un pilastro facente parte della falda del tetto e della soletta del balcone con relativo parapetto, elementi costruttivi del manufatto realizzato dal D. in sopraelevazione del primo piano dell’immobile sito in …, all’angolo tra la via … e la via ….
Per quanto qui rileva, il giudice d’appello ha osservato che il fabbricato originario del resistente era posto a distanza inferiore a cinque metri dal confine e che la sopraelevazione era stata autorizzata dal Comune a condizione che fossero osservate le prescrizioni dell’art. 20 delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico locale; che il pilastro realizzato ex novo sosteneva il solaio del nuovo piano (in continuità con quelli del piano sottostante) su cui era stata costruita una balconata in fondo alla quale, nel rispetto della distanza legale, erano stati realizzati i volumi chiusi al secondo piano; che la costruzione del resistente, posta in posizione obliqua rispetto a quella fronteggiante, rispettava il distacco di cinque metri, calcolato dalla “parete di ambito del piano sopraelevato”.
Ha ritenuto irrilevante il minor distacco di un solo pilastro, del piovente del tetto e del piano di calpestio in fondo al quale si ergeva il secondo piano, ritenendo che, in base alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale, la distanza dovesse essere calcolata dalle superficie del fabbricato perimetralmente chiuse.
Per la cassazione di questa sentenza P.G. (e altri) hanno proposto ricorso in due motivi.
Il resistente ha depositato controricorso e memoria illustrativa.
(omissis)
2. Il secondo motivo censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., artt. 61 e 20 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Santeramo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto applicabile il criterio di calcolo delle distanze dalle superfici perimetralmente chiuse, in contrasto con il principio secondo cui occorre prendere in considerazione i punti di massima sporgenza, con esclusione dei soli elementi decorativi, di rifinitura o accessoria.
Il motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie neppure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. 144/2016; Cass. 19530/2005; Cass. 1556/2005).
A tali effetti, deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (Cass. 22127/2009; Cass. 400/2005).
Non sono computabili nelle distanze le sole sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, mentre rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell’edificio, inclusi, come nella specie, gli sporti sorretti da pilastri e i corpi avanzati che seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato (Cass. 4322/1989; Cass. 5795/1979; Cass. 1566/1972; Cass. 452/1970) La Corte distrettuale doveva quindi tener conto dei pilastri che, elevandosi dal suolo, formano – di regola – parte integrante della facciata del fabbricato (Cass. 2838/1969; Cass. 1393/1968), del piano di calpestio e del piovente del tetto, e calcolare le distanze dai punti della loro massima sporgenza, benché le norme locali contemplassero un diverso criterio di misurazione, il quale, essendo tuttavia in contrasto con la norma primaria (art. 873 c.c.), andava disapplicato.
Segue quindi rigetto del primo ed accoglimento del secondo motivo di ricorso.
(omissis)
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.