Talvolta le liti condominiali sfociano in vere e proprie molestie. Come quelle che un condomino ha perpetrato ai danni di una vicina di casa nell’ambito di una contesa relativa all’installazione di una canna fumaria, di tende parasole e all’utilizzo di spazi comuni. Di seguito, una sintesi della vicenda e la conferma della condanna a carico del condomino molesto da parte della Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 55296/2018
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Con sentenza in data 20/07/2017 il Tribunale di Torino condannava T.C. alla pena di euro 340 di ammenda per molestia ai danni di una condomina. Rilevava il giudice che l’intera vicenda processuale si inscriveva nell’ambito di un contrastato rapporto tra condòmini, all’interno del quale rapporto l’imputato – irato per l’opposizione alla installazione di una canna fumaria e di tende parasole nonché per l’utilizzo dello spazio comune del cortile – aveva dato avvio ad una serie di condotte di concreta molestia e dispetto ai danni di S.C., con la quale si susseguivano contrasti verbali anche accesi; più testimoni avevano riportato i comportamenti ed era risultato che l’imputato aveva collocato una telecamera per controllare i movimenti della persona offesa e carpirne le immagini di riservatezza familiare oppure aveva simulato l’intenzione di investirla con l’autovettura.
Avverso tale sentenza l’interessato proponeva ricorso per cassazione per mezzo del difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione: sostiene che l’episodio della telecamera era stato travisato e che i testi sentiti non erano stati in grado di riferire notizie utili; che l’episodio dell’investimento simulato si basava su dichiarazioni discordi della stessa persona offesa; che nessuna condotta ricostruita aveva le caratteristiche della petulanza o del biasimevole motivo, giacché comunque inserite in un ambito di contrasti condominiali reciproci e non finalizzate a creare disturbo; che le offese pronunziate dall’imputato non potevano essere considerate assorbite nella violazione dell’art. 660 c.p.; che la condanna al pagamento di una provvisionale era ingiustificato e che le spese legali avrebbero dovuto essere compensate.
Il ricorso è inammissibile.
Deve, in proposito, rilevarsi che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, ai vizi della motivazione, nel cui ambito devono ricondursi tutti i casi in cui la motivazione risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, ovvero assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero fondata su percorsi argomentativi talmente scoordinati e carenti dei necessari passaggi valutativi da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione.
Alla luce di questi parametri ermeneutici questa Corte osserva che il ricorso, pur denunciando formalmente vizi di motivazione, non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, ma tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione del merito degli elementi fattuali posti a base della condanna.
La sentenza impugnata ha invece correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con una motivazione congrua, logica e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale, richiamando in particolare l’ambito di commissione dei reati, le condotte poste in essere, l’astio verso la persona offesa, l’intromissione nella sfera di riservatezza, il disagio procurato e il turbamento della vita quotidiana.
I motivi di ricorso sono dunque manifestamente infondati, atteso che il giudice ha correttamente descritto la condotta criminosa del ricorrente ed ha attestato il trattamento sanzionatorio alla personalità del medesimo ed alla vicenda giudiziaria personale. Del resto, l’esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256/2006; Sez. 1, n. 42369/2006). E ciò refluisce anche sulle argomentazioni relative alle statuizioni civili, censurate in maniera generica.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (omissis).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 3.000,00 euro alla cassa delle ammende.