Non soltanto l’aspetto di carattere economico relativo ai costi del servizio a carico dei cittadini. Il report nazionale di Federconsumatori sui rifiuti approfondisce anche altre tematiche, a partire dallo stato complessivo della gestione della raccolta differenziata in Italia sullo sfondo del contesto europeo, per poi offrire una panoramica dei Comuni più virtuosi a livello di smaltimento dei rifiuti. Ne riportiamo, di seguito, i passaggi salienti.
Secondo i dati rilevati da Eurostat, nel 2018, il dato di produzione dei rifiuti urbani relativo al 2016 fa registrare, a livello europeo, un incremento rispetto al 2015 dello 0,7%, da circa 244,8 milioni di tonnellate a circa 246,6 milioni di tonnellate. Da un’analisi più dettagliata dei dati, spiccano le flessioni registrate in Bulgaria (-4,3%), in Spagna (-2,7%) e in Lituania (-2,2%). Il dato resta pressoché stabile in Germania, mentre risulta in crescita nei rimanenti Paesi, con percentuali variabili tra lo 0,2% in Ungheria e il 7,3% in Repubblica Ceca. In Italia l’incremento di produzione registrato nel 2016 rispetto al 2015 è pari al 2%.
Il 30% dei rifiuti urbani gestiti nei 28 Stati membri è avviato a riciclaggio, il 16,6% a compostaggio e digestione anaerobica, mentre il 28,5% e il 25% sono, rispettivamente, inceneriti e smaltiti in discarica.
Con riferimento allo smaltimento in discarica, si passa dallo 0,6% (Svezia) al 91,8% (Malta). Oltre alla Svezia, anche il Belgio, la Danimarca, i Paesi Bassi e la Germania fanno registrare percentuali molto basse (fino all’1,5%) di smaltimento in discarica, mentre, all’estremo opposto, Croazia, Romania, Cipro e Grecia smaltiscono in discarica una percentuale di rifiuti urbani compresa tra il 78,4% e l’82,3%. Eccezion fatta per la Spagna e la Grecia, i Paesi nei quali il ricorso alla discarica interessa oltre il 55% dei rifiuti urbani gestiti sono tutti di recente accesso all’UE. L’Italia smaltisce in discarica il 27,6% dei rifiuti urbani trattati.
Era il 1997 quando la gestione dei rifiuti fu per la prima volta regolamentata da una vera e propria legge quadro di settore emanata in attuazione delle Direttive Europee 91/156/CEE (sui rifiuti), 91/689/CEE (sui rifiuti pericolosi) e 94/62/CEE (sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio): il Decreto Legislativo n. 22/1997, meglio noto come “Decreto Ronchi”. Sulla base del percorso tracciato dalle Direttive Europee, il Decreto Ronchi prima, e il D.Lgs. n. 152 del 2006 poi, hanno definito in modo sempre più puntuale le priorità della gestione dei rifiuti, assegnando alla prevenzione il ruolo principale nell’obiettivo della diminuzione della produzione dei rifiuti, connessa alla centralità della raccolta differenziata e alle attività di recupero e riciclo degli stessi.
Il 4 luglio 2018 è entrato in vigore il pacchetto di Direttive sull’Economia Circolare approvate il 18 aprile scorso dal Parlamento Europeo, che dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 luglio 2020. Le quattro Direttive (n. 2018/849, n. 2018/850, n. 2018/851, n. 2018/852) modificano sei precedenti Direttive (n. 98/2008, n. 62/1994, n. 31/1993, n. 19/2012, n. 53/2000, n. 66/2006) e introducono rilevanti novità sulle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere nei prossimi anni, confermando l’importanza del sistema basato sul riuso dei materiali, la valorizzazione degli scarti e la progettazione sostenibile grazie anche alla responsabilità estesa del produttore. Gli obiettivi fissati dall’Unione Europea relativi alla raccolta differenziata che gli Stati membri dovranno raggiungere al 2035 prevedono alcuni passaggi intermedi, rispettivamente al 2025 e al 2030: entro il 2035 la percentuale dei rifiuti da avviare al riciclo dovrà essere del 65%, la percentuale di riciclo dei rifiuti da imballaggio del 70%, il tetto massimo dei rifiuti smaltiti in discarica del 10%.
Il Pacchetto “Economia Circolare” comprende anche importanti novità con riferimento all’avvio alla raccolta differenziata di alcune tipologie di rifiuti domestici: entro il 1° gennaio 2025 i rifiuti tessili; entro il 31 dicembre 2023 i rifiuti organici da differenziare e riciclare alla fonte, o raccolti in modo differenziato e non miscelati con altri tipi di rifiuti; entro il 1° gennaio 2025 le frazioni di rifiuti domestici pericolosi. Gli Stati membri dovranno adottare alcune misure necessarie ad arginare la produzione dei rifiuti: ad esempio sarà opportuno promuovere il compostaggio domestico e l’utilizzo dei materiali ottenuti con i rifiuti organici, incoraggiare la produzione e la commercializzazione di beni e componenti adatti all’uso plurimo, con materiali riciclati, durevoli e riparabili, facendo attenzione all’intero ciclo di vita del prodotto. A tal riguardo, sarà opportuno che i singoli Stati predispongano incentivi finanziari per ridurre i rifiuti e l’impatto ambientale degli imballaggi, incoraggiando l’uso di biomateriali. I Comuni o gli ambiti territoriali ottimali (ATO) che non saranno in grado di rispettare le percentuali stabilite dal pacchetto “Economia circolare” dovranno corrispondere un’addizionale del 20%, denominata “ecotassa”, i cui costi aumentano o diminuiscono a seconda del raggiungimento di determinate percentuali.
Il Ministero dell’Ambiente dovrà verificare periodicamente l’efficienza della raccolta differenziata. Sarà invece compito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), individuare i criteri tecnici da mettere in pratica quando non si rende necessario il trattamento dei rifiuti da collocare in discarica.
Il sistema italiano di raccolta dei rifiuti, di riciclo dei materiali recuperabili e riutilizzabili e di smaltimento versa in una condizione di forte criticità poiché alcune città, come ad esempio Roma, non riescono a fare fronte alle ingenti quantità di rifiuti da smaltire. Oggi gli italiani differenziano circa il 52% dei rifiuti (carta, plastica, vetro, metalli, legno, materiale organico). Il restante 48% è rappresentato da rifiuti indifferenziati, di cui il 40% viene usato come combustibile negli inceneritori che recuperano energia ed il restante 60% finisce in discarica.
I rifiuti vengono comunemente distinti in urbani (i rifiuti prodotti dalle famiglie) e speciali (i rifiuti prodotti dalle attività economiche). Quelli urbani devono essere smaltiti nella Regione in cui sono stati prodotti, mentre quelli speciali possono essere smaltiti anche in altre Regioni. Vi è poi la categoria dei rifiuti pericolosi che però, ovviamente, segue un regime differente.
Secondo il censimento dell’ISPRA, nel 2016 l’Italia ha prodotto 125,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi (circa 2.070,9 kg per abitante), mentre la produzione di rifiuti urbani si attesta su una media di circa 497,1 kg per abitante.
Generalmente, per lo smaltimento dei rifiuti vengono utilizzati gli inceneritori, impianti che si servono di un processo di combustione ad alta temperatura. Sono 41 gli impianti attivi in Italia, per lo più concentrati al Nord (63%) e nella maggior parte dei casi in Lombardia, dove se ne trovano ben 13. È proprio questa la regione che smaltisce la maggiore quantità di rifiuti nel Paese, provenienti anche da altre regioni, come ad esempio la Campania. Secondo il “Rapporto rifiuti urbani 2017” dell’ISPRA, immediatamente dopo la Lombardia si trova l’Emilia Romagna, con 8 impianti di incenerimento; le altre regioni che utilizzano questo tipo di impianti sono il Veneto (2), il Piemonte, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, con un inceneritore per ciascuna regione. Altri 8 si trovano al Centro Italia (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) mentre sono 7 al Sud: solo in Sardegna sono due, mentre Sicilia e Abruzzo ne sono completamente sprovviste.
La crescita costante della quantità di rifiuti prodotta non è stata arginata da una adeguata dotazione di impianti di smaltimento, costituiti per lo più da inceneritori o termovalorizzatori, e discariche. La percentuale di raccolta differenziata è mediamente aumentata, ma c’è una parte di rifiuti che non può essere riciclata (soprattutto di plastica) e che fino a poco tempo fa veniva per lo più esportata in Cina. A luglio 2017, la Cina ha annunciato all’Organizzazione mondiale del commercio la decisione di chiudere le frontiere a oltre 20 tipi differenti di rifiuti. In tal modo, si è reso necessario studiare una soluzione alternativa per affrontare la crescita esponenziale di rifiuti in Italia.
Per tale motivo, i materiali in attesa di essere smaltiti vengono accantonati in capannoni, che come testimoniano le recenti cronache sono stati oggetto di incendi, spesso dolosi (261 i roghi tra il 2014 e il 2017 secondo quanto rilevato dal report della Commissione bicamerale Ecomafie sugli incendi). Le conseguenze dei roghi possono essere molto pericolose per la salute dei cittadini: a livello sanitario possono prodursi, infatti, effetti tossici immediati sulle persone che sono state esposte direttamente alla nube di fumo (con sintomi quali tosse, svenimenti, problemi respiratori e anche cardiocircolatori); vi sono poi rischi che si generano a lungo termine dovuti alle sostanze presenti nelle emissioni. Quando si genera una grande combustione di materie plastiche o materiale infiammabile, è immediatamente visibile la nube accompagnata da inquinanti gassosi tossici. Le polveri sottili generate, il cosiddetto particolato fine, è tossico perché intasa i polmoni, favorendo problemi di circolazione o danni a livello cellulare. Analogo discorso per quanto riguarda l’impatto ambientale.
I dati Eurostat stimano che l’Europa produce in media 480 kg di rifiuti pro-capite all’anno: il record negativo spetta alla Danimarca, con una produzione di circa 770 kg pro capite, ma anche in Svizzera e Norvegia i quantitativi si aggirano intorno ai 700 kg.
Il contesto in cui si inserisce la gestione dei rifiuti urbani nel nostro Paese è rappresentato da una frattura netta tra due porzioni di Italia: il Sud, fortemente arretrato in termini di raccolta differenziata; il Nord nettamente più avanti.
La gestione dei rifiuti rappresenta uno dei temi fondamentali del nostro tempo. È utile osservare, secondo quanto rilevato dall’ISTAT, che la frequenza della raccolta differenziata dei rifiuti urbani varia sensibilmente sul territorio nazionale: livelli molto elevati si registrano nella provincia autonoma di Trento (74,3%), in Veneto (72,9%), Lombardia (68,1%), Friuli-Venezia Giulia (67,1%) e nella provincia autonoma di Bolzano (66,4%). La percentuale di raccolta differenziata nel Nord-Est si attesta intorno al 66,6%, dato che supera leggermente l’obiettivo del 65% previsto dalla normativa europea. Nel Nord-Ovest il livello di raccolta differenziata risulta di poco inferiore, intorno al 62,3%. Molto distanti dal Nord, invece, risultano il Centro con una percentuale del 48,6%, il Sud con il 43,3% e le Isole dove la raccolta differenziata si attesta al 26%. In particolare, la bassa percentuale registrata dalle isole sconta l’arretratezza della Sicilia (15,4%), mentre in Sardegna si raggiunge il 60,2% di raccolta differenziata.
I dati raccolti per l’anno 2017 evidenziano che l’85% delle famiglie italiane effettua con regolarità la raccolta differenziata della plastica (che si attestava a 39,7% nel 1998), il 74,6% effettua la differenziata dell’alluminio (27,8% nel 1998), l’84,8% la raccolta della carta (46,9% nel 1998) e l’84,1% opera la raccolta differenziata del vetro (fissata al 52,6% nel 1998). Volendo evidenziare le disparità esistente a livello geografico, è possibile notare che le Regioni localizzate al Nord Italia (con prevalenza al Nord-Ovest) differenziano maggiormente i rifiuti rispetto alle altre zone del Paese.
Nel 2016, la quantità di rifiuti urbani raccolti in Italia è stata pari a 496,7 kg per abitante. La quantità maggiore è stata prodotta dalle Regioni del Nord-Est (548,7 kg per abitante) e al Centro Italia (548 kg per abitante); decisamente minore la quantità di rifiuti prodotta nel Nord-Ovest (482,1 kg per abitante), nelle Isole (459,8 kg per abitante) e al Sud (444,3 kg per abitante). La ragione del netto divario tra Nord e Sud è rintracciabile nel sistema impiantistico: gli impianti di trattamento integrato aerobico e anaerobico sono per lo più concentrati al Nord Italia dove viene gestito circa il 98% della frazione organica prodotta dalla raccolta differenziata; gli impianti di compostaggio della stessa tipologia di rifiuti si trovano, invece, prevalentemente al Sud Italia (il 49% della frazione organica viene trattata in impianti a partecipazione pubblica e il 51% della stessa in impianti privati).
È interessante, ai fini della determinazione della tassa sui rifiuti, quanto stabilito dall’ordinanza n. 22531/2017 della Cassazione, Sez. Tributaria, che ha ritenuto legittimo il diritto alla riduzione dell’imposta nel caso in cui si subiscano disfunzioni, protratte nel tempo, del servizio pubblico di raccolta. In precedenza, era stato più volte negato il diritto del contribuente di ridurre autonomamente la tassa sui rifiuti, poiché il disservizio del Comune era motivato da una situazione di emergenza. Il principio stabilito dalla Corte di Cassazione ribalta la situazione, affermando che la tassa sui rifiuti viene sostenuta per contribuire al servizio di raccolta del Comune; pertanto, i cittadini hanno diritto che questo sia effettuato nel rispetto delle regole, anche in casi di emergenza e se ciò non si verifica possono richiedere la riduzione del tributo.
Quanto stabilito dalla Corte di Cassazione è espressione della situazione che si verifica oggi in molte città italiane. Basta pensare ad una realtà come quella di Roma, ma anche ad altre grandi città del Nord e del Sud Italia. La riduzione sul pagamento della Ta.Ri., in caso di inferiori livelli di prestazione del servizio da parte del Comune trova conferma anche nella Legge n. 147 del 2013, che ai commi 655 e 656 prevede: “La Tari è dovuta nella misura massima del 20 per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente”. È opportuno sottolineare che il servizio di raccolta e smaltimento degli stessi appare, invece, sempre più inefficiente e irregolare, creando un’inevitabile situazione di carenza igienico-ambientale.
I “Regolamenti per l’istituzione e l’applicazione della Tassa sui Rifiuti (Ta.Ri.)” prevedono alcune riduzioni sull’importo totale del tributo in relazione a casi particolari, come ad esempio quello che riguarda la produzione di compost domestico. I cittadini che smaltiscono in maniera autonoma la frazione organica mediante il compostaggio hanno diritto, infatti, ad una riduzione sulla Ta.Ri.: con il compostaggio domestico si può arrivare a risparmiare fino al 30% sul costo finale della tassa sui rifiuti. In realtà, la percentuale di sconto da applicare sulla tassa grazie al compost, varia da regione a regione e talvolta da provincia a provincia. A Trieste, L’Aquila, Campobasso, Firenze e Perugia, il Comune ha stabilito che gli utenti che hanno provveduto a eseguire il compostaggio possono avere uno sconto sulla Ta.Ri. del 20%, mentre a Bologna, Trento, Cagliari, Bari, Ancona, Catanzaro e Potenza la riduzione è solo del 10% sulla tariffa dovuta. A Napoli, Roma e Venezia, il Comune ha, invece, previsto una riduzione del 30% sull’importo totale della Ta.Ri. Nessun beneficio è stato disposto per quanto riguarda i Comuni di Palermo, Torino e Milano. Caso emblematico è quello di Genova, dove la riduzione prevista per il compostaggio è di 15 euro per famiglie con almeno due componenti e di 10 euro per famiglie con un solo componente e quello di Aosta che prevede una riduzione del 15% sull’importo totale della Ta.Ri.
La maggior parte dei Comuni sui quali è stata condotta l’indagine prevedono nel proprio “Regolamento per la disciplina della Tassa sui rifiuti” delle agevolazioni in favore dei nuclei familiari che si trovano in condizione di disagio economico, certificata dalla dichiarazione ISEE.
I requisiti, le modalità per accedere al beneficio e le percentuali di riduzione variano da Comune a Comune: basterà chiedere informazioni all’ente locale di appartenenza per ottenere tutte le informazioni in merito. A titolo esemplificativo, Catanzaro, Bologna, Campobasso e Cagliari non prevedono alcun beneficio per soggetti con situazioni reddituali critiche; Potenza, invece, prevede una riduzione dell’80% nella parte fissa e in quella variabile della tariffa dovuta, per i soli locali destinati ad abitazione di residenza e relative pertinenze per i soggetti con un ISEE compreso tra 0 e 2.500 euro (elevato a 5.000 euro per nuclei familiari con uno o più componenti con invalidità al 100%). Roma, Milano, Palermo e Perugia, in presenza di un ISEE non superiore ad una determinata soglia, prevedono l’esenzione totale dal pagamento del tributo; Napoli, invece, stabilisce una riduzione nella misura massima del 40% della tariffa dovuta.