La rimozione di una pericolosa canna fumaria in eternit spetta al condominio oppure al condomino che ne detiene la proprietà? È il quesito giunto fino in Corte di Cassazione, la quale ha evidenziato che la costruzione di un’opera da parte di un comproprietario su beni comuni non è disciplinata dalle norme sull’accessione, bensì da quelle sulla comunione, secondo le quali costituisce innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l’effetto di alterarne la consistenza materiale o la destinazione originaria; ne consegue che, in mancanza del consenso degli altri partecipanti, l’opera è illegittima.
Di seguito un estratto della sentenza numero 22203 del 22 settembre 2017.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 22.9.2017,
n. 22203
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1. Nel giudizio promosso nel 2002 da G.N. (e altri), condòmini dell’edificio di via … contro A.R. e O.R. e contro il Condominio per ottenere la rimozione di una pericolosa canna fumaria in eternit ancorata al muro dell’edificio, la Corte d’Appello di Napoli con sentenza 17.6.2011 ha rigettato l’impugnazione principale del Condominio e dichiarato inammissibile quella incidentale proposta dal G.N. e gli altri, confermando la sentenza di primo grado che aveva condannato il solo Condominio alla rimozione del manufatto.
Per giungere a tale soluzione – e per quanto ancora interessa in questa sede – la Corte napoletana ha ritenuto che il G.N. e gli altri appellanti incidentali erano privi di interesse ad impugnare, avendo comunque agito anche contro il Condominio, condannato alla rimozione del manufatto; ha in ogni caso rilevato l’infondatezza dell’appello principale e di quello incidentale osservando che la canna fumaria, priva di una sua autonomia, trovandosi incorporata nel bene comune ex art. 936 c.c. andava rimossa, a cura del Condominio, custode del bene (come correttamente ritenuto dal primo giudice), e come tale obbligato ad evitare che la cosa possa arrecare danni a terzi.
2. Contro tale decisione propongono separati ricorsi per cassazione sia il gruppo G.N. e altri (con unico motivo) che il Condominio (con tre censure).
3. Con ordinanza interlocutoria il Collegio ha assegnato al Condominio un termine per depositare delibera assembleare di autorizzazione o ratifica dell’operato dell’amministratore in relazione alla proposizione del ricorso per cassazione. Il documento è stato depositato nei termini fissati.
Ricorso G.N. e altri.
Con unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 818 c.p.c. rimproverando alla Corte d’Appello di non avere considerato che la compravendita del terraneo da parte dei A.R. e O.R. comportava l’acquisto anche delle pertinenze e quindi della tubazione di amianto con conseguente obbligo di provvedere alla rimozione della stessa.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Nel caso in esame, la prima ed autonoma ratio decidendi utilizzata dalla Corte d’Appello per neutralizzare l’appello incidentale del G.N. e degli altri condòmini (inammissibilità per difetto di interesse) avrebbe dovuto formare oggetto di specifica doglianza in relazione all’art. 100 c.p.c., ma ciò non risulta (i motivi di ricorso di costoro investono infatti solo la violazione dell’art. 818 c.c. ma non contengono una specifica critica alla affermazione della Corte d’Appello sul loro difetto di interesse ad impugnare la decisione di primo grado nella parte in cui non aveva condannato A.R. e O.R. alla rimozione della canna) e quindi, in applicazione del citato principio, l’impugnazione del G.N. e degli altri condòmini va dichiarata inammissibile.
Ricorso del Condominio
Si articola in tre motivi accompagnati da inutili quesiti di diritto (perché la pubblicazione della sentenza impugnata è avvenuta, come si è detto, il 17.6.2011 e quindi successivamente all’entrata in vigore della legge che ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c. (legge 18 giugno 2009 n. 69 entrata in vigore il 4.7.2009).
Col primo motivo si lamenta l’erroneo richiamo all’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 1117 c.c..
Col secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 936 c.c. anche in riferimento all’art. 112 c.p.c. e 2969 c.c. rimproverandosi alla Corte di merito di essere incorsa nel vizio di ultrapetizione per avere accertato la natura comune della canna fumaria. Altro errore consiste – ad avviso del Condominio – nell’avere ritenuto applicabile l’art. 936 c.c. senza che alcuna delle parti ne avesse fatto richiesta. Rileva comunque l’estraneità al caso di specie dell’istituto disciplinato da detta norma (che fa riferimento a “piantagioni, costruzioni ed opere”), non discutendosi di addizioni al fondo ma solo della possibilità di immissioni di fumi.
Col terzo ed ultimo motivo il Condominio deduce la violazione degli artt. 102, 354 e 383 c.p.c., introducendo la questione del litisconsorzio necessario in materia di rimozione di un manufatto ritenuto di proprietà comune.
Il secondo motivo è fondato sotto il profilo della applicabilità delle norme sull’accessione in caso di costruzioni su beni comuni.
La giurisprudenza di legittimità è orientata a ritenere che la costruzione di un’opera da parte di un comproprietario su beni comuni non è disciplinata dalle norme sull’accessione, bensì da quelle sulla comunione, secondo le quali costituisce innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l’effetto di alterarne la consistenza materiale o la destinazione originaria; ne consegue che, in mancanza del consenso degli altri partecipanti, l’opera è illegittima (v. Sez. 2, Sentenza n. 1556 del 24/01/2011; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4901 del 11/03/2015; Sez. 2, Sentenza n. 7523 del 27/03/2007).
Si rivela pertanto non corretta la decisione della Corte d’Appello che, invece, ha applicato in materia condominiale le norme sull’accessione per ritenere che la canna fumaria sia un bene di proprietà condominiale, traendone poi l’obbligo di rimozione a carico del Condominio quale custode del manufatto, e quindi tenuto alla tutela dell’altrui incolumità.
La decisione va pertanto cassata e pertanto, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 ultimo comma c.p.c.: di conseguenza, la domanda di rimozione nei confronti del condominio deve essere rigettata per difetto di legittimazione passiva non trovando applicazione la regola dell’accessione in tale campo, quanto piuttosto la disciplina sulle innovazioni realizzate dai singoli sui beni comuni (art. 1120 c.c. in tema di condominio).
Resta logicamente assorbito l’esame dei restanti motivi di ricorso.
La sussistenza di giuste ragioni (legate alla particolare natura della lite) consigliano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso dei condomini; accoglie il secondo motivo di ricorso del Condominio e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di rimozione nei confronti del Condominio.
Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.