[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi, consigliere segretario Ordine Ingegneri prov. di Torino] A tutti noi è accaduto di ricevere consigli errati o, quantomeno, superficiali da parte del famoso, o famigerato, “amico che se ne intende”… Tuttavia, se il consiglio “frettoloso” proviene da un professionista, beh, la cosa assume ovviamente una diversa gravità. Ma, si sa, verba volant…
Quando però il “consiglio” ha la forma di una perizia sottoscritta da un tecnico abilitato e questo documento induce il committente ad aprire un contenzioso giudiziario, allora è proprio il caso di approfondire meglio che cosa è accaduto.
In un piccolo condominio immobiliare vengono deliberati dei “lavori di adeguamento e riqualificazione della centrale termica condominiale”, con una spesa di oltre 100.000 euro, cui vanno sommati circa 12.000 euro per progetto, direzione lavori e collaudo, un’ulteriore parcella di circa 3.000 euro per la redazione del contratto d’appalto e, infine, un costo annuo di 2.000 euro per incarico all’amministratore condominiale di “gestore servizio di riscaldamento”.
Dopo questi lavori, il protagonista della nostra vicenda – e cioè il condòmino dell’ultimo piano, che chiameremo Davide – inizia a lamentare “eccessiva immissione di calore nel proprio appartamento proveniente dall’impianto di riscaldamento centralizzato durante il periodo di esercizio della climatizzazione invernale, calore eccedente la tollerabilità in senso oggettivo”, giudicando altresì tale eccessivo calore come “molesto, insalubre quanto dannoso, perché peggiorativo delle condizioni della vita durante il soggiorno all’interno delle mura domestiche”.
Nel tempo, le numerose lamentele di Davide verso l’amministratore condominiale fanno intervenire più volte la ditta nominata “terzo responsabile” dell’impianto, per modificare le regolazioni e cercare di meglio equilibrare l’impianto e, di conseguenza, la temperatura interna dell’appartamento.
Insoddisfatto di questi interventi non risolutivi, Davide si risolve a denunciare la questione all’ARPA – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, che invia a i propri tecnici per i rilievi di rito.
La misura di temperatura, eseguita a m 1,5 dal pavimento con strumenti opportunamente tarati, riporta una temperatura media dell’aria di 24,76 °C, quindi eccedente di 2,76°C quella massima consentita, e definita come 20 °C con tolleranza ammessa di +2 °C.
Scattano in automatico una sanzione pecuniaria a cura di ARPA verso il citato terzo responsabile e le rimostranze di Davide, ora provate da una misura oggettiva, verso l’amministratore.
Viene inutilmente cercato un accordo bonario, anche attraverso la prevista procedura di mediazione ex d.lgs. 28/10 smi (obbligatoria, trattandosi di materia condominiale) e, alfine, ne scaturisce una causa civile che vede coinvolti l’amministratore condominiale, il terzo responsabile e due compagnie assicurative.
In modo ineccepibile, Davide incarica preliminarmente un professionista per documentare sia le cause dell’eccessivo calore immesso in appartamento sia i conseguenti danni patiti da alcuni mobili d’epoca, depositando la relativa perizia agli atti di causa.
In questa relazione viene chiaramente indicato che i terminali dell’impianto di riscaldamento centralizzato sono costituiti da “pannelli radianti a soffitto a serpentina annegati nella struttura portante di ogni solaio” (circostanza oggettiva); ma anche che la pavimentazione in parquet prefinito (per sua natura costituito da una base lignea strutturale in essenza economica, su cui viene posata l’essenza nobile a vista) presenta evidenti fenomeni fessurativi superficiali e deformazioni puntuali per svergolamento degli elementi, oltre a distacco parziali di alcuni listoni. Inoltre, sempre secondo la perizia in atti, alcuni mobili antichi di pregio presentano degradi di varia natura, tra cui alterazione della verniciatura, segni di frattura sulle impiallacciature a disegno floreale, opacizzazioni superficiali, ecc., più evidenti nelle parti basse e sui fianchi dei singoli mobili.
La stima del relativo danno per levigatura e sistemazione parquet, compreso svuotamento dell’alloggio e soggiorno presso struttura alberghiera, ammonta ad indicativi 15.000 euro oltre IVA, mentre la stima del deprezzamento dei mobili danneggiati è di circa 6.500 euro oltre IVA, di poco inferiore al costo di restauro.
Dopo quasi due anni di causa civile, il Giudice affida incarico di CTU per individuare e quantificare i danni lamentati da Davide e chiarire se questi danni possano derivare da una eccessiva immissione di calore dall’impianto condominiale.
L’esperienza sia del CTU sia dei CTP nominati dalle parti permette di concludere rapidamente che la trasmissione di calore proveniente dal soffitto della casa di Davide non può aver prodotto, a 3 m di distanza, gli effetti visionati. Ciò anche in considerazione del fatto che nella stagione estiva si raggiungono temperature di gran lunga superiori ai 24-25 °C di cui alle misurazioni ARPA, mentre il fatto che l’eccessiva temperatura possa aver causato una variazione di umidità relativa non è lamentato in causa e, in ogni caso, non appare poter essere indicata anche solo come concausa concreta dei danni.
Parimenti, un rapido modello di calcolo permette di acclarare che il calore trasmesso dal piano inferiore attraverso il solaio è insufficiente per essere additato come causa/concausa, senza contare che il parquet della casa di Davide risulta certificato per posa su sottofondo radiante e, quindi, è progettato per resistere a sollecitazioni termiche superiori a quelle della temperatura dell’aria misurata da ARPA.
Dopo soli due mesi di svolgimento della CTU, le Parti trovano pertanto un accordo conciliativo, che riconosce comunque a Davide una rifusione di 3.000 euro e compensa tra le Parti i costi di causa, con il costo di CTU assorbito per il 50% da Davide e per il 50% dalle Controparti.
In conclusione, la nostra vicenda dimostra come non sempre l’essere convinti delle proprie ragioni è sufficiente per ottenere, in causa o stragiudizialmente, l’auspicato risarcimento: