Senza titolo, accesso utile dal pianerottolo e adeguate condizioni di calpestabilità, il locale sottotetto va considerato pertinenza dell’appartamento all’ultimo piano il cui proprietario lo rivendica. Questa, in estrema sintesi, la decisione assunta dalla Cassazione con l’ordinanza 7483 del 15 marzo 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 15.3.2019,
n. 7483
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A.R. ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza 8 giugno 2017, n. 1352/2017, resa dalla Corte d’Appello di Bologna, che ha deciso l’appello formulato da A.R. contro la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Ferrara il 29 agosto 2011.
Resistono con controricorso i coniugi A.-M. (ndr: proprietari appartamento dell’ultimo piano).
Il Tribunale di Ferrara, per quanto qui ancora rilevi, pronunciando sulle contrapposte domande delle parti, aveva escluso che fosse applicabile la presunzione di condominialità ex art. 1117 c.c. al sottotetto dell’edificio comprendente le unità immobiliari appartenenti ai contendenti, oggetto del punto sette dell’atto di citazione di A.R., in relazione al muro divisorio ivi eretto dai convenuti.
La Corte d’Appello di Bologna ha poi confermato che l’istruttoria non avesse comprovato la natura comune del sottotetto in contesa, non risultando lo stesso, per caratteristiche strutturali e funzionali, destinato all’uso collettivo. I giudici di secondo grado hanno in particolare richiamato il documento n. 23, dimostrante l’accesso al sottotetto dall’appartamento di proprietà dei coniugi A.-M., negando al contrario significatività alla fotografia n. 15 prodotta dal A.R., in quanto non attestante l’accesso al sottotetto dal vano scala. La sentenza impugnata ha ancora escluso che fosse stata provata la calpestabilità del sottotetto e tratto dalle fotografie esibite il convincimento che la rampa di scale ivi riprodotta non consenta di accedere al sottotetto dalle aree comuni, con conseguente utilizzabilità dello stesso limitata ai proprietari del collegato appartamento. Infine la Corte di Bologna ha sminuito la valenza dimostrativa delle deposizioni testimoniali e della espletata CTU, relative alla sola costruzione della parete in legno all’interno del sottotetto.
L’unico motivo del ricorso di A.R. adduce l’omessa motivazione circa un punto decisivo, ex art. 360 n. 5. c.p.c., quanto all’errata ritenuta insussistenza della destinazione del sottotetto all’uso comune ed all’omesso esame delle fotografie prodotte, che dimostrerebbero, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’Appello, una metratura ed un’altezza tali da rendere calpestabile il medesimo sottotetto.
(omissis)
Il motivo di ricorso è comunque infondato.
Si controverte, nella specie, di un sottotetto sovrastante all’appartamento di proprietà esclusiva A.-M.
Tale bene non è espressamente nominato nell’elenco esemplificativo contenuto nell’art. 1117 c.c. (formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220).
Secondo, tuttavia, la consolidata interpretazione di questa Corte, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, proprio dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (omissis). Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c. tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento. La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Bologna, con apprezzamento di fatto spettante in via esclusiva al giudice del merito, ha accertato che il locale sottotetto fosse posto in destinazione pertinenziale a servizio dell’appartamento di proprietà esclusiva A.- M., e non fosse invece destinato all’uso comune, tenuto conto delle modalità di accesso ad esso, nonché del mancato collegamento con le scale condominiali.
Non sussistendo i presupposti di fatto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria del sottotetto, e dunque non operando la presunzione di attribuzione al condominio ex art. 1117 c.c., vanamente il ricorrente intende invocare il sindacato di legittimità per ottenere una diversa valutazione delle risultanze probatorie, ed in particolare delle fotografie prodotte. Deve infatti escludersi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, consenta genericamente di censurare la ricostruzione della situazione di fatto operata dal giudice di merito: la sentenza della Corte d’Appello di Bologna contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. si limita a dare rilievo all’omesso esame di un fatto storico, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra mai, di per sé, il vizio in questione qualora il fatto storico (nella specie, la metratura e l’altezza del sottotetto, o la botola posta sul tetto del pianerottolo) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
L’apprezzamento delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta, tra gli elementi istruttori, di quelli ritenuti idonei a dimostrare i fatti in discussione nella causa sono prerogative del giudice di merito, in quanto suppongono un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non consentiti davanti alla Corte di Cassazione.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.