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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 11.3.2019,
n. 6994
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La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 3261/2017, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha accolto la domanda proposta da S.A. & C. s.r.l., di annullamento del contratto di compravendita del 17.9.2010 stipulato con la M. s.r.l. ex art. 1428 c.c., condannando il venditore alla restituzione della somma di euro 247.500, oltre ad interessi moratori.
In particolare, la Corte ha rilevato che l’acquirente era incorso in errore essenziale, riconoscibile da controparte, in relazione alla natura del bene acquistato, che, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale non era costituito dal sottotetto del fabbricato in quanto tale, ma in quanto comprendente quattro unità immobiliari ad uso civile abitazione, non di lusso ed in corso di costruzione. La limitazione dell’oggetto del contratto al solo sottotetto non avrebbe, ad avviso della Corte, consentito di spiegare logicamente la dichiarazione ex art. 47 Dpr 445/2000 del legale rappresentante della venditrice in sede di stipula del rogito, secondo cui era stato rilasciato permesso di costruire per la realizzazione dei locali venduti; ad avviso della Corte territoriale, dunque, l’oggetto del contratto doveva ritenersi costituito dal sottotetto edificabile secondo precise e definite modalità costruttive, avviate dal venditore e recepite dall’acquirente: tali particolari proprietà del bene (realizzabilità dei locali nel sottotetto, secondo un determinato progetto) integravano una qualità essenziale del bene, determinante ai fini del consenso dell’acquirente ex art. 1429 n.2 c.c..
Ed invero, secondo quanto accertato dal Ctu, l’intervento edilizio sarebbe stato fattibile solo previa esecuzione di importanti opere di consolidamento non soltanto su parti condominiali dello stabile, ma pure su singole unità abitative facenti parte dello stesso: i locali dunque avrebbero potuto essere realizzati, ma avrebbero avuto caratteristiche costruttive del tutto diverse da quelle pattuite, costringendo l’acquirente ad acquisire il consenso dei condòmini, incerto e verosimilmente subordinato a condizioni diverse e più gravose.
L’errore è stato altresì ritenuto “riconoscibile” dal giudice di merito, ai sensi dell’ art. 1431 c.c., anche in considerazione del fatto che la venditrice, la quale aveva acquistato l’immobile tra novembre 1999 e gennaio 2000 ed aveva conseguito la concessione edilizia nel febbraio 2000, operava nel settore immobiliare ed avrebbe dunque ben potuto avvedersi degli errori tecnici di progetto, poi riscontrati dal Ctu, nei quali era incorso l’acquirente.
Avverso tale sentenza ricorre con un motivo la M. s.r.l.
La S.A. & C. s.r.l. resiste con controricorso.
Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. per aver la Corte territoriale ritenuto sussistente nella fattispecie in esame un errore dell’acquirente “essenziale” e “riconoscibile” ex art. 1428 c.c..
Il motivo di ricorso è infondato.
Nonostante la rubrica, il motivo consiste di fatto in una censura, inammissibile nel presente giudizio, della valutazione di merito del giudice di appello, lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia adeguatamente valutato taluni elementi emersi dall’istruttoria espletata.
In tema di annullamento del contratto per errore è necessario accertare, da un lato, se sia ravvisabile una distorta rappresentazione della realtà, determinante ai fini della conclusione del negozio, e, dall’altro, se con l’uso della normale diligenza l’altro contraente avrebbe potuto rendersi conto dell’altrui errore, non essendo richiesta la prova che l’errore sia stato riconosciuto in concreto, bensì l’astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto, con apprezzamento adeguato, fondato sul complessivo esame delle risultanze processuali l’essenzialità dell’errore e la riconoscibilità dello stesso, onde nessuna violazione di legge è ravvisabile nella statuizione impugnata.
La Corte territoriale ha anzitutto accertato, sulla base del contenuto letterale del rogito e del comportamento della venditrice in data anteriore e prossima alla stipula della vendita che la comune intenzione delle parti doveva individuarsi non solo nell’area di sottotetto, bensì nei locali da realizzare secondo il progetto depositato nell’ufficio comunale, poiché il riferimento alla sola area di sottotetto non avrebbe consentito di spiegare logicamente i riferimenti alle quattro unità immobiliari in corso di costruzione alla data del rogito ed il richiamo ai “locali venduti”.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che il progetto consentisse di identificare l’effettivo oggetto del negozio (locali da realizzare nel sottotetto secondo le modalità indicate nel progetto).
Da ciò l’essenzialità dell’errore, in relazione alle caratteristiche costruttive dell’immobile, risultate del tutto diverse rispetto a quelle indicate in progetto.
Il giudice di appello ha altresì ritenuto la riconoscibilità dell’errore, atteso che la promittente venditrice, che aveva conseguito la concessione edilizia per la ristrutturazione del fabbricato, operava nel settore immobiliare ed avrebbe pertanto potuto agevolmente avvedersi degli errori di progetto, poi riscontrati dal Ctu, nei quali era incorso l’acquirente.
A fronte di tale adeguato apprezzamento delle risultanze processuali, la generica denuncia di violazione di legge si risolve, in un sindacato sulla valutazione del giudice di merito in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’invalidità del contratto, che, in assenza di indicazione di specifici elementi da cui desumere la configurabilità di un vizio di sussunzione del caso concreto alla fattispecie normativa, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 24738/2017).
Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.
(omissis)
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, che liquida in 8.200 euro, di cui 200 euro per esborsi oltre a rimborso forfettario in misura del 15%, ed accessori di legge.