“In una domanda volta all’accertamento della natura condominiale di un bene, tutti i condòmini hanno un interesse alla causa, in quanto l’accertamento della natura condominiale implica la comproprietà del bene indipendentemente dal concreto utilizzo che il condomino ne faccia”.
È uno dei principi di diritto richiamati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 7662 del 19 marzo 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 19.3.2019,
n. 7662
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Con sentenza ex art. 281 sexies del 22.9.2000, il Tribunale di Chiavari accoglieva la domanda del condominio … e dei condòmini A., F., C., B. e N., volta alla declaratoria di inesistenza di diritti reali e personali della condomina R.A. sul locale caldaia avente accesso dal giardino di proprietà della medesima.
Proposto appello dalla R.A., la Corte d’Appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda.
La Corte di cassazione accoglieva il ricorso del condominio …, A., F., C., B. e N..
Riassunto il giudizio dal solo F., resistito dalla R.A., la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 18.6.2013, confermava la sentenza di primo grado.
Secondo la corte territoriale, sussisteva l’interesse ad agire dei condòmini, trattandosi di azione volta a dichiarare l’esistenza della proprietà condominiale del vano caldaia. Nel merito, il giudice d’appello rilevava che la proprietà del vano caldaia non risultasse dal titolo di proprietà della R., che faceva riferimento al diritto dell’amministratore ad accedere al vano caldaia attraverso il giardinetto di proprietà della medesima, con ciò escludendo che il locale fosse al servizio dell’appartamento della medesima. Inoltre, la corte accertava che il vano caldaia, di cui gli attori assumevano la proprietà condominiale, fosse ubicato al piano strada, nel corpo dell’edificio condominiale, sottostante il giardino di pertinenza dell’abitazione della R.A..
Rigettava l’eccezione di usucapione per carenza dell’animus possidendi, rilevando che la R.A. aveva chiesto al condominio, in sede di assemblea condominiale del 27.6.1988, di poter locare il vano caldaia. Inoltre, al momento dell’introduzione del giudizio, nel 1999, non era ancora decorso il termine ad usucapionem.
Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione R.A., sulla base di quattro motivi di ricorso.
Ha resistito con controricorso F..
In prossimità dell’udienza le parti hanno presentato memorie illustrative.
Il Pubblico Ministero ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Con il primo motivo di ricorso R.A., deduce la violazione dell’art.100 c.p.c, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che il F. avesse interesse alla decisione sulla natura condominiale del vano caldaia, nonostante egli fosse proprietario di un box che non fruiva dell’impianto di riscaldamento e che il titolo di proprietà consentiva l’accesso a detto vano solo all’amministratore e non ai condòmini.
Il motivo non è fondato.
Come correttamente argomentato dalla corte territoriale, in una domanda volta all’accertamento della natura condominiale di un bene, tutti i condòmini hanno un interesse alla causa, in quanto l’accertamento della natura condominiale implica la comproprietà del bene indipendentemente dal concreto utilizzo che il condomino ne faccia.
Per tale ragione, è irrilevante che, a seguito della realizzazione degli impianti autonomi, il locale non sia stato più utilizzato come vano caldaia, mentre è del tutto apodittico, oltre che proposto per la prima volta in questa sede, il profilo della incommerciabilità del bene, poiché non utilizzabile dai condòmini.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1141 c.c. e dell’art.115 c.p.c., per non avere la corte ammesso il capitolo di prova volto a dimostrare che la R.A. ed il suo dante causa, S.L., sin dal 1962, avessero utilizzato il locale caldaia come cantina-ripostiglio e deposito di vasi ed attrezzi da giardino.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per avere erroneamente la corte territoriale escluso l’animus possidendi dal comportamento della R.A. che, durante l’assemblea condominiale del 27.6.1988 aveva chiesto di locare il vano caldaia, assumendo da un lato che la valutazione di detto comportamento fosse controverso e che nessuna richiesta fosse stata effettuata in tal senso; al contrario, con missive del 23.9.1986 e 21.9.1988, la R.A. avrebbe affermato di essere proprietaria esclusiva del vano caldaia.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione degli art.1141 c.c., 1158 c.c., 1165 c.c., 2943 c.c. e 2944 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per assenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’animus possidendi del S.L., dante causa della R.A., dal momento dell’acquisto, avvenuto con atto del 22.9.1962, al 27.6.1988, data della citata delibera assembleare; in ogni caso, sostiene la ricorrente che il termine per usucapire sarebbe maturato nel corso del giudizio ed esattamente con la pronuncia della sentenza di rinvio, in data 18.6.2013, essendo decorsi oltre vent’anni dall’interruzione dell’usucapione, avvenuta con il verbale di assemblea del 27.6.1988.
I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, perché relativi all’usucapione, non sono fondati.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, al quale il collegio intende dare continuità, l’omessa ammissione della prova testimoniale, o di altra prova, può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto, sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che abbiano determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cassazione civile sez. I, 20/06/2017, n. 15200).
Nella specie, la prova articolata dalla R.A., che la corte territoriale ha implicitamente rigettato, non è decisiva ai fini della prova dell’usucapione, in quanto volta a dimostrare che, dal 1962 il S.L., dante causa della R.A., e, successivamente quest’ultima, avessero utilizzato il vano caldaia come cantina ripostiglio e deposito di vasi ed attrezzi da giardino.
L’utilizzo del vano è inidoneo a provare il possesso esclusivo del bene, essendo necessario provare che fosse stato impedito al condominio di farne pari uso, considerando il contemporaneo utilizzo di detto locale da parte del condominio fino alla dismissione dell’impianto di riscaldamento centralizzato.
La Corte ha, inoltre, anche escluso l’animus possidendi della R.A., sulla base del comportamento tenuto durante l’assemblea condominiale del 27.6.1988, allorché fece richiesta di locazione del vano caldaia, riconoscendo l’altruità del bene.
(omissis)
Anche il quarto motivo non coglie nel segno.
La corte territoriale ha ritenuto che la richiesta della R.A. di locare il vano caldaia, avvenuta nel corso dell’assemblea del 27.6.1988, escludesse l’animus possidendi, e non che fosse interruttivo dell’usucapione.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 4200 di cui euro 200 per esborsi oltre spese forfettarie, Iva e Cap come per legge.