[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli, – presidente LAIC – legaamministratori.it] Chi opera quotidianamente nel settore dell’amministrazione immobiliare, in particolare laddove gestisca complessi di rilevanti dimensioni e con numeri importanti di unità, ben conosce l’importanza strategica del coinvolgimento, in vista delle decisioni più ordinarie come di quelle più eccezionali, di quei condòmini, maggiormente autorevoli – o talora solo maggiormente disponibili – che si impegnano a favore della collettività condominiale, partecipando del Consiglio di condominio o di Commissioni che l’Assemblea nominasse ad hoc in relazione a specifiche attività.
Il ruolo di tali organi, tuttavia, per quanto degna di rilievo nella pratica, appare dimenticato da buona parte della dottrina e minimamente considerato dalla legge, verosimilmente con l’intento di privilegiare il ruolo istituzionale dell’assemblea e dell’amministratore e, probabilmente, anche al fine di evitare le conseguenze negative che deriverebbero da un eccesso di potere in capo all’iniziativa o alla potestà di pochi. La giurisprudenza, invece, sia di merito che di legittimità, interviene sulla materia con un insegnamento pacifico.
Appare opportuno pertanto, provare a tratteggiare, senza pretese di esaustività ma con un mero intento di chiarezza espositiva e di lettura sistematica, il perimetro in cui è consentito a tali Organi di partecipare della vita condominiale.
La norma codicistica che disciplina il Consiglio di Condominio, come ben noto, è stata introdotta solamente con la riforma del 2012. Prima di essa, il vigente codice civile taceva sul punto. Tuttavia, gli storici del diritto insegnano come, anteriormente al codice del 1942, fosse in vigore la disciplina di cui all’art. 16 R.D.L. 56/1934, convertito con modificazioni nella Legge n. 8/1935, il quale, disciplinando all’epoca in materia di Condominio negli edifici, disponeva come “Nei condomini numerosi, l’amministratore può essere coadiuvato da un consiglio composto di non meno di due membri scelti fra i partecipanti al condominio. Detto consiglio è l’organo consultivo dell’amministratore, ne controlla l’operato riferendone all’assemblea ed ha la precipua funzione di conciliare le vertenze fra i condòmini. I regolamenti speciali possono affidare al consiglio altre attribuzioni fra quelle riservate dal presente decreto all’amministratore.”. Si tratta di disposizioni che tenevano in alta considerazione il Consiglio di Condominio, al punto da equipararlo, di fatto, ad un Consiglio di Amminstrazione, con poteri non solo consultivi e di controllo, ma altresì conciliativi e persino gestori, in sostituzione dell’amministratore stesso.
Come si noterà, l’unica disposizione normativa che oggi disciplina il Consiglio di Condominio è invece molto più asciutta e contenuta, ed è dettata dall’art. 1130 bis c.c. il quale è rubricato “Rendiconto condominiale”, argomento che effettivamente tratta al primo comma. Al secondo comma, invece, esso dispone testualmente: “L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condòmini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo.”.
Si annota, rispetto alle norme previgenti al Codice, e in ossequio ad un predominante orientamento giurisprudenziale e dottrinale, la riduzione del Consiglio di Condominio a mere funzioni di consultazione e verifica, precipuamente della contabilità.
Nella prospettiva attuale, certamente non sfugge al lettore, in primo luogo, come la norma preveda, ai fini della legittimazione passiva all’elezione in Consiglio di Condominio, che il candidato possegga la qualità di condomino. Tale qualità dovrà altresì permanere in capo al consigliere per tutta la durata dell’incarico. Ne discende, dunque, come non saranno eleggibili soggetti che non sono condòmini (i.e. delegati, inquilini, conviventi, coniuge non proprietario, etc.) e non potranno, allo stesso modo, permanere nel Consiglio soggetti che perdono la qualità di condomino (per intervenuta alienazione del bene).
Non pare revocabile in dubbio, altresì, la gratuità dell’incarico, in quanto non configurabile né come mandato ai sensi dell’art. 1703 e ss. c.c. (ferma restando la vexata quaestio in merito alla presunzione di onerosità del mandato ex art. 1709 c.c. in ambito condominiale) né quale nomina di collegio sindacale, non potendo pertanto applicarsi l’art. 2402 c.c. in tema di obbligatoria retribuzione dello stesso.
Quanto alle funzioni eserciate da tale organo: chi si accinge ad una interpretazione sistematica della norma ben conosce l’importanza della sua collocazione. Certo, dunque, non si può ignorare come la disposizione in materia di Consiglio di Condominio sia inserita all’ultimo comma dell’articolo che disciplina le modalità di rendiconto dell’Amministratore, evidentemente a sottolineare come le funzioni “consultive e di controllo” che sono attribuite al Consiglio siano da esercitarsi – quantomeno in via principale – in relazione alla rendicontazione contabile.
Non si vedono preclusioni a che le medesime funzioni di vigilanza siano rivolte, se non altro per relationem, a tematiche afferenti la gestione dell’edificio nella sua ordinarietà, quali la gestione del portierato, del verde, degli impianti comuni, dei parcheggi, o a quelle straordinarie inerenti alla stipulazione di contratti di appalto per rifacimenti o innovazioni.
Per esempio, come insegna autorevole dottrina, nel caso di lavori straordinari, il Consiglio “può essere delegato a seguire le fasi di scelta dell’impresa incaricata, segnalando all’assemblea o all’amministratore, nel caso di delega allo stesso, quella più indicata, nel caso di interventi non preventivati può relazionare all’assemblea sulla loro effettiva necessità”. In ogni caso “i suoi pareri non possono mai essere considerati vincolanti”(cfr. A. Gallucci, Il Condominio negli edifici, Milano, 2013, pp. 534 e ss.).
Per applicazione analogica della norma, devono intendersi, inoltre, parificate al Consiglio, quelle Commissioni che l’Assemblea dovesse nominare, per determinati interventi manutentivi o specifiche attività, e dunque legittimate esclusivamente alle medesime funzioni consultive e di controllo.
Va precisato, infatti, che la previsione normativa che limita l’esistenza del Consiglio laddove il condominio sia composto da almeno tre condòmini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari deve intendersi derogabile sia da norme del regolamento che ne prevedano l’esistenza anche in assenza delle condizioni di legge sia, per casi specifici, da delibere assembleari.
In tema di disposizioni regolamentari, è doveroso evidenziare come il regolamento condominiale, nella sua forma più cogente, ovvero quella del regolamento contrattuale, può certamente contemplare la costituzione di un Consiglio di Condominio o di Commissioni assembleari, anche in ipotesi diversa da quella codicisticamente prevista, descrivendone le funzioni in forma più ampia rispetto a quanto – sinteticamente – disposto dal codice civile. Altrettanto certamente, tuttavia, va chiarito, pur in disaccordo con autorevole dottrina (cfr. V. Cuffaro – F. Padovini – Codice Commentato degli Immobili Urbani, Milano, 2017, pp.529) come non sia legittima la previsione regolamentare (ancorché contrattuale) che attribuisca al Consiglio di Condominio facoltà di emettere pareri vincolanti per l’Assemblea, o che conferisca al Consiglio deleghe di funzioni assembleari, in quanto contrasterebbe apertamente col disposto di cui all’art. 1136 c.c. – pacificamente riconosciuta quale norma imperativa, anche come previsto dall’art. 1138 cpv. c.c. – in relazione alle maggioranze assembleari costitutive e deliberative.
In conclusione, merita di essere menzionata, ex pluribus, tra i numerosi interventi giurisprudenziali in materia, la recente pronuncia della Suprema Corte del 15 marzo 2019, n. 7484.
Il Giudice della nomofilachia interviene nel caso di un condominio torinese, il cui Consiglio di Condominio, composto da soli cinque condòmini, con propria delibera del 2014, aveva approvato, dopo avere esaminato diversi preventivi, la sottoscrizione di un contratto di appalto per rifacimento del lastrico solare, così suddividendo la spesa tra tutti i condòmini. Nessuna delibera assembleare, né precedente a quella consiliare, né successiva, interveniva ad approvare l’esecuzione di tali opere ed i relativi costi (più precisamente, il Condominio sosteneva di aver ratificato l’operato del Consiglio con una successiva delibera del 2015, che tuttavia non risultava prodotta in giudizio).
La Corte di Cassazione, pertanto, ribadisce la propria pacifica giurisprudenza, nella quale riconosciamo la ricostruzione dottrinale e sistematica qui poc’anzi esposta, con la quale si insegna che i compiti del Consiglio di Condominio e della Commissioni di Condòmini non possono altro che limitarsi a funzioni consultive e di controllo e che, diversamente, per esser vincolanti anche nei confronti dei dissenzienti, le decisioni del Consiglio debbano essere rimesse alla successiva approvazione, con le maggioranze di legge, dell’Assemblea condominiale. Diversamente esse non possono in alcun modo assumere valenza decisoria.