[A cura di: dott. Roberto Triola, già pres. di sezione di Corte di Cassazione] Il legislatore non ha dato una definizione dell’amministratore, ma ne ha soltanto elencato le attribuzioni negli art. 1130, 1131, 1133 c.c..
Partendo dal presupposto che il condominio è sfornito di personalità giuridica, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti il rapporto che lega i condòmini e l’amministratore va spiegato in termini di mandato. Si è, in proposito, affermato che il fatto che l’amministratore (nei limiti delle attribuzioni demandategli dalla legge o dal regolamento, ovvero dei poteri efficacemente conferitigli dall’assemblea), con il declinare tale sua qualità spenda implicitamente il nome di tutti i condòmini impegnandoli nei confronti dei terzi, e che (entro siffatti limiti) gli competano il potere di agire in giudizio contro i terzi e addirittura contro i condòmini e (senza limiti) la rappresentanza processuale passiva dei condòmini per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, anche se reca in sé qualche suggestione per una qualificazione del rapporto con l’amministratore come rapporto organico, non contrasta in nulla con la preferenza all’inquadramento nel mandato, con l’ulteriore risultato di sottolineare in maniera ancora più chiara la duplice facies della figura dell’amministratore:
Una conferma della sostanziale esattezza di tale orientamento sarebbe desumibile dall’art. 1131, primo comma, c.c. (secondo cui “l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti”) e dall’art. 65 disp. att. c.c. (che definisce l’amministratore “legale rappresentante dei condomini”).
Come ulteriore elemento favorevole a tale inquadramento si potrebbe invocare il fatto che, a seguito della riforma del condominio, di cui alla legge 11 dicembre 2012 n. 220, il terzo e undicesimo comma dell’art. 1129 c.c. parlano rispettivamente di atti compiuti dall’amministratore nell’esercizio del mandato e di revoca del mandato.
Infine, il penultimo comma dell’art. 1129 c.c. aggiunge che, per quanto non disciplinato dal medesimo articolo, “si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III de l libro IV”, proprio in tema di mandato. Tali disposizioni, però, vanno esaminate con riferimento alla successiva legge n. 4 del 2013, in base alla quale l’amministratore può essere un professionista ed il rapporto tra cliente e professionista è diverso, in relazione alle attività svolte ed alla responsabilità contrattuale, da quello tra mandante e mandatario.
In senso contrario all’inquadramento del rapporto tra amministratore e condòmini sic et simpliciter quale mandato vi è, però, il fatto che il mandatario prende il posto di un altro soggetto nello svolgimento di una attività che questi avrebbe potuto compiere. I condòmini, invece, non possono compiere l’attività gestoria che la legge riserva all’amministratore.
Il ricorso alla figura della rappresentanza, senza ulteriori precisazioni, non spiega, poi, come sia possibile che il rapporto di mandato nei confronti di tutti i condòmini sorga e possa cessare per effetto di una deliberazione assunta a maggioranza degli interessati, né come sia possibile che l’amministratore possa agire nei confronti dei suoi rappresentati, per far rispettare, ad es., il regolamento di condominio oppure per ottenere il pagamento dei contributi condominiali.
Per superare tali obiezioni si è sostenuto (Salis, Il condominio negli edifici, Torino, 1959, 307, nt. 1), che l’amministratore ha dai condòmini un mandato i cui limiti sono precisati dalla legge, per cui, quando il singolo condomino viene meno ai suoi obblighi e lede i diritti degli altri partecipanti, l’amministratore, agendo nei suoi confronti, tutela il diritto degli altri partecipanti (non agisce, quindi, sotto questo profilo, come rappresentante del convenuto); in altri termini, l’amministratore sarebbe il rappresentante di tutti i condòmini nei rapporti esterni, mentre nei rapporti interni sarebbe il rappresentante della maggioranza.
Si è, pertanto, parlato, in giurisprudenza, di rapporto analogo a quello del mandato con rappresentanza, dal quale peraltro si differenzia per i profili qualificanti concernenti:
Secondo un orientamento si tratterebbe di rappresentanza legale (Benacchio, Del condominio negli edifici, Padova, 1964, 150; Blandini, Sull’amministratore di condominio, in Dir. giur. 1963, 274; Cass. 4 ottobre 1976, n. 3243; Cass. 5 maggio 1975, n. 1718), al che si potrebbe replicare che non è corretto, da un punto di vista legislativo ed anche teorico, applicare lo strumento della rappresentanza legale a soggetti diversi dagli incapaci (Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, 171).
Si potrebbe fare ricorso alla figura dell’ufficio privato, se si aderisse alla tesi secondo la quale l’ufficio è situazione giuridica soggettiva attiva in un rapporto giuridico in cui il titolare si trova in una particolare relazione con i soggetti amministrati, e che si sostanzia nell’espletamento di una funzione, cioè di una attività che costui, in virtù di un interesse proprio alla cura di interessi altrui, ha il potere ed il dovere di porre in essere, essendo soggetto ad un sistema sanzionatorio tipico (Macioce, voce Ufficio (dir. priv.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 641 ss.).
Nella specie, sarebbe possibile isolare un interesse (comune a tutti i partecipanti al condominio) che si identifica nel ruolo stesso dell’amministratore, nella necessaria presenza di un punto di riferimento (stabile ed unitario) delle aspettative di tutti i condòmini, un interesse, appunto, alla gestione, all’azione amministrativa delineato nell’art. 1130 c.c., a cui risponde l’assunzione di un obbligo al compimento di quelle attività, non certo un obbligo alla tutela dell’interesse del singolo condomino (Colonna, Uniti e divisi: il (particolare) rapporto tra amministratore e condomini, in Foro it. 1997, I, 1149).
In senso favorevole al tale impostazione si è espressa la giurisprudenza più recente, sostenendo che l’amministratore configura un ufficio di diritto privato, che è assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto “sociale” della gestione, al mandato con rappresentanza (Cass. 16 agosto 2000, n. 10815, in Riv. giur. edilizia 2001, I, 145; Cass. 12 febbraio 1997, n. 1286, in Vita not. 1997, 190; Cass. 24 marzo 1981, n. 1720, in Giust. civ. 1981, I, 2018). Tale indirizzo, però, va incontro all’obiezione che manca l’atto statuale di investitura di un soggetto in una determinata funzione.
In considerazione, poi, del fatto l’amministratore compie una serie di atti non aventi efficacia esterna, ma che si sostanziano in una cooperazione interna tra l’amministratore stesso ed il gruppo dei condòmini, come la disciplina dell’uso dei beni comuni, la prestazione dei servizi nell’interesse comune, la esecuzione delle delibere condominiali e delle norme del regolamento di condominio, forse è preferibile l’opinione secondo la quale si dovrebbe ravvisare nel rapporto che lega l’amministratore al gruppo dei condòmini, unitariamente considerato, una nuova ed autonoma fattispecie contrattuale non assimilabile al mandato, sebbene tipica, in quanto disciplinata dalla legge (Amagliani, L’amministratore e la rappresentanza degli interessi condominiali, Milano, 1992, 134).