[A cura di: dott Jean-Claude Mochet – commercialista e presidente commissione fiscale Uppi] Il segretario nazionale della CGIL, Maurizio Landini, propone un grande piano di investimenti pubblici e privati per un nuovo modello di sviluppo che dovrebbe essere finanziato da quello che lui chiama “tributo di equità contro le diseguaglianze”. Dietro questa nobile apparenza si nasconde sempre la solita sostanza: la proposta di introdurre una patrimoniale.
Eppure, secondo uno studio della CGIA di Mestre, svolto a fine 2018, sono ben 14 le patrimoniali introdotte dal 1990 al 2017, non tutte sono ancora in vigore, ma la lista delle tasse che paghiamo perché siamo proprietari di qualcosa è lunga. La maggior parte della tassazione di tipo patrimoniale è applicata sugli immobili, infatti IMU e TASI, da sole, portano all’erario 21,8 miliardi; il bollo automobilistico e l’imposta di bollo sulle attività finanziarie svettano al secondo posto, ma molto distanti dalla tassazione immobiliare, infatti, insieme, rendono allo Stato circa 13 miliardi. Al terzo posto c’è il registro, con 5,3 miliardi e poi c’è il canone Rai, che vale quasi 2 miliardi, ovvero più dell’imposta ipotecaria, con 1,7 miliardi, e più della tassa sulle successioni e donazioni, che frutta allo Stato 815 milioni.
Dopo la dichiarazione del segretario nazionale della CGIL è la volta del senatore Monti, il quale, in una recente intervista, ribadisce che “non ci sarebbe nulla di male nell’introduzione di una patrimoniale annuale, ad aliquota moderata, che esiste in vari Paesi che consideriamo civili come o più del nostro: un Governo serio l’avrebbe già introdotta”.
La proposta del senatore lascia perplessi e, ancora di più stupisce in quanto Monti è presidente onorario dell’Istituto Bruegel e primo fondatore dell’autorevole think tank, tempio dell’ortodossia europeista, dove siedono quelli che dettano l’agenda alle istituzioni europee e ai governi. A noi tale circostanza interessa soprattutto per uno studio, sfornato dal celebre istituto di economisti, il quale, in 14 pagine, confrontando la situazione italiana con quella belga, simili nel 1999, cioè al momento dell’introduzione dell’euro (debito pubblico attorno al 110% del Pil, analogo PIL pro capite) ma molto diverse adesso, poiché l’economia belga è notevolmente migliorata, invece quella italiana è peggiorata, dimostra, dati alla mano, che la motivazione è da ricercare proprio nella reazione italiana all’attacco dei mercati con politiche di austerità, fatto che ha peggiorato le cose, mandando la crescita del PIL in negativo e aggravando il rapporto debito/PIL dal 117% del 2011 al 129% del 2013.
Tra le misure di austerità finite sotto il microscopio del Bruegel, troviamo proprio la più pesante patrimoniale ordinaria che si ricordi, introdotta durante il Governo tecnico Monti, cioè l’IMU, che portò da 9 a 25 miliardi di euro il gettito annuo dell’imposta locale sulla proprietà immobiliare, aumentandolo del 180% dall’oggi al domani. Tale misura, lungi dall’incentivare gli investimenti, come inspiegabilmente afferma Monti, ha contribuito invece al collasso dell’intero mercato immobiliare e del suo indotto, trasformando il bene casa da storico salvadanaio degli italiani, a fardello fiscale. Tale collasso ha provocato una brusca frenata della crescita e una contrazione dell’occupazione che si sono inevitabilmente riflesse nella diminuzione dei consumi.
Sono effetti ampiamente riconosciuti dagli stessi studi del Fondo Monetario Internazionale, i quali ammettono che le politiche di austerità sono politiche recessive, con effetti di contrazione sul PIL che non fanno altro che aumentare il debito pubblico.
Il fallimento di tali politiche è sotto gli occhi di tutti, non solo dal punto di vista del rilancio economico, sempre più solo un miraggio, ma anche dal punto di vista dei conti dello Stato che, nonostante le tasse in Italia siano aumentate dell’80%, continuano a non tornare: il debito dello Stato italiano non solo sale, ma addirittura è in accelerazione.
Rimane solo un’ultima considerazione: di serio ci si aspetterebbe che fosse spiegato ai cittadini per quale motivo si continuano a chiedere a gran voce misure economiche ampiamente riconosciute come dannose per l’economia e che intervengono negativamente sul debito pubblico. La crescita economica passerà solamente attraverso una diminuzione della pressione fiscale e attraverso una sua semplificazione.