Pubblichiamo, di seguito, una breve rassegna di massime tratte da alcune interessanti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione nell’ultimo anno in materia di condominio.
In tema di condominio, per quanto l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali e non esorbitante dal mandato con rappresentanza, debba tendenzialmente ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa, rientra nelle competenze dell’assemblea quella di riconoscergli, con una specifica delibera, un compenso aggiuntivo al fine di remunerare un’attività straordinaria, non ravvisando sufficiente il compenso forfettario in precedenza accordato.
L’art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile. Ne consegue che i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato dalle parti comuni.
L’azione volta ad ottenere l’accertamento della inesistenza della servitù di apporre le tubature del gas sul muro perimetrale di un edificio e la conseguente condanna alla loro rimozione va proposta non nei confronti dell’utente del servizio di fornitura comproprietario del muro, che è privo di legittimazione passiva, ma contro l’ente erogatore del gas, quale proprietario del fondo dominante costituito dall’impianto di distribuzione.
L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso poiché, venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, in quello dell’art. 2059 c.c. In applicazione di tale principio, è stata cassata la sentenza impugnata per avere applicato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della “priorità dell’uso” in un caso in cui le immissioni provenienti da un’officina superavano la soglia di normale tollerabilità.
L’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale – che costituisce il suolo di esso – e la prima soletta del piano interrato, è parte comune dell’edificio, in quanto destinata all’aerazione o coibentazione del fabbricato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, e anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini. Nella specie, è stata cassata la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che l’area sottostante al pavimento del piano terreno dell’edificio non fosse ricompresa nell’ambito delle parti comuni dello stabile.