Il cosiddetto danno in re ipsa alla reputazione, costituente «danno conseguenza», deve essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. È questo il principio di diritto richiamato, con l’ordinanza 11555/2019, dalla Corte di Cassazione, che ha così scritto la parola fine in calce ad una complessa vicenda relativa all’emissione dal conto corrente condominiale di un assegno scoperto, e dalla conseguente iscrizione del traente nel registro dei protesti.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I civ., ord. 2.5.2019,
n. 11555
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La Corte d’appello di Roma con sentenza del 25 novembre 2013 ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale della stessa città del 2006, a sua volta reiettiva della domanda proposta da C.P. contro la Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Roma e contro Poste Italiane s.p.a., volta alla condanna della prima alla cancellazione del proprio nome dal registro dei protesti e della seconda al risarcimento del danno.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
a) il protesto fu legittimamente levato per insussistenza dei fondi sul conto corrente condominiale, sul quale l’odierno ricorrente trasse l’assegno bancario;
b) pur non potendosi escludere il disdoro alla persona del C.P., sol perché sottoscrisse l’assegno per conto del Condominio, in concreto non è stato provato un danno, che non è in re ipsa, secondo il principio per cui anche il danno alla reputazione deve essere provato da chi lo allega;
c) del pari, il danno per la diminuzione dei profitti e quello per dedotti maggiori costi sostenuti, in ragione del rifiuto di credito bancario, deve essere dimostrato, ma nella specie tale prova è mancata, onde non si può procedere alla sua liquidazione equitativa.
Contro tale sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal soccombente, affidato a quattro motivi; resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso.
Le parti hanno depositato le memorie.
1. I motivi di ricorso vanno così riassunti:
(omissis)
2. Il primo motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata, come riferito nello svolgimento del fatto, considerato anche la pretesa relativa al danno alla reputazione.
3. Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono parimenti infondati, in quanto confliggono con i principi consolidati, secondo cui non sussiste il c.d. danno in re ipsa alla reputazione, costituente «danno conseguenza», che dunque deve essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (ex multis, Cass. 6 dicembre 2018, n. 31537; Cass. 28 marzo 2018, n. 7594; Cass. 26 ottobre 2017, n. 25420; Cass. 18 novembre 2014, n. 24474; Cass. 24 settembre 2013, n. 21865; Cass. 14 maggio 2012, n. 7471; Cass. 16 febbraio 2012, n. 2226). Ed invero, il danno risarcibile non coincide con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni.
Del pari costante il principio secondo cui, quanto alla liquidazione equitativa del danno, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere dì cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva od integrativa, il quale pertanto presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è invece possibile surrogare, in tal modo, il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (Cass. 13 settembre 2016, n. 17953, e molte altre).
(omissis)
5. Le spese seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in euro 4.000, di cui euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 % sul compenso ed agli accessori di legge.