“Prima che te ne vai ti devo uccidere”; “Questa fa la padrona del condominio, deve smetterla, io ho gli stessi millesimi… metterò una bomba e farò saltare in aria tutte le puttane”. Sono alcune delle frasi pronunciate in più occasione da una condomina nei confronti dell’amministratrice di condominio e di sua sorella, residenti nel medesimo palazzo. Per la Cassazione, integrano il reato di minacce aggravate. Di seguito un estratto della sentenza 19702/2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent, n. 19702/2019
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1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Bari confermava la decisione del Giudice di Pace di quella città, che aveva condannato l’imputata alla pena di giustizia, oltre al pagamento delle spese processuali, ritenendola colpevole del reato di minacce aggravate nei confronti sorelle G.V. e M.V.; fatti commessi nei giorni 26/3/2016, 10/04/2013, 3/04/2013.
2. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso l’imputata a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per tre motivi:
2.1. Con il primo motivo, deduce erronea applicazione dell’art. 612 cod. pen.. in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, in assenza di idoneità delle parole minatorie a incutere timore per la loro inverosimiglianza.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui difetta l’individuazione delle persone che sarebbero state oggetto delle asserite frasi minacciose.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta vizio della motivazione, con riferimento alle deduzioni in appello relative alle contraddittorietà tre le varie deposizioni inerenti sia alle presunte frasi minacciose che alla identificazione dell’autore delle frasi minacciose.
2.4. Con memoria difensiva depositata il 13.2.2019 la difesa della ricorrente ha riproposto i medesimi motivi e insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
1. Il ricorso è inammissibile.
(omissis)
1.3. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, in sintesi, il 26 marzo 2013 le sorelle G.V. e M.V. si trovavano nella loro casa, un appartamento all’interno del condominio in cui vive anche l’imputata, e di cui G.V. è l’amministratrice, ed erano in compagnia di un’amica e collega, l’avv. P.P., quando sentirono urlare la T. (l’imputata) che, riferendosi all’amministratrice, diceva “Questa è una ladra, questa la deve pagare, la porto in tribunale, deve avere paura”. Il 3 e il 10 aprile successivi, sentivano nuovamente la T. pronunciare, urlando, frasi dello stesso tipo, e precisamente: “La levo davanti, prima che te ne vai ti devo uccidere”; “Questa fa la padrona del condominio, deve smetterla, io ho gli stessi millesimi… metterò una bomba farò saltare in aria tutte le puttane”.
2. Come premesso, il ricorso investe, in primis, il punto della decisione in cui il giudice di appello ha ritenuto integrato il reato di minaccia grave.
2.1. È opportuno ricordare che la minaccia consiste nella prospettazione di un male futuro, il cui avverarsi dipende dalla volontà dell’agente, richiedendosi l’idoneità della stessa a turbare psicologicamente la persona offesa, in altre parole, a intimidirla. Tale idoneità, peraltro, non va scambiata con l’effettiva intimidazione, non potendosi, in ipotesi, il reo avvantaggiare della particolare forza d’animo della persona offesa, e non va determinata, pertanto, sulla base dell’effetto concretamente verificatosi, ma ex ante, tenendo conto dì tutte le circostanze del caso concreto che, in base a un criterio medio o per le particolare conoscenze dell’agente, potevano essere considerate al momento della condotta.
E il danno grave di cui al capoverso dell’art. 612 cod. pen. – che è tale quando è grave il danno minacciato – va valutato tenendo conto di tutte le circostanze concrete. (omissis).
(omissis)
2.3. Nel caso di specie, il giudice gravato ha applicato congiuntamente i predetti criteri, calati nella peculiarità della vicenda concreta, considerando che la minaccia ha costituito la modalità con la quale l’imputata ha inteso focalizzare il proprio astio verso le due persone offese – una delle quali amministratrice del condominio nel quale tutte le parti coabitano – in un contesto che, in quel momento, non era connotato da alcuna animosità che potesse fare da sfondo a uno scambio di parole la cui valenza intimidatoria poteva essere esclusa dalla partecipazione della persona offesa alla contesa. Il Tribunale dell’appello ha rilevato che, invece, quelle parole non trovavano altra giustificazione se non nell’intento dell’imputata di sfogarsi, peraltro pubblicamente – con atteggiamento di pesante e aggressiva contestazione – prendendo di mira le due persone offese. La motivazione fornita dal giudice di merito in ordine alla gravità della minaccia si appalesa, dunque, adeguata ai fatti, giuridicamente corretta, perché fondata saldamente sul consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, e logicamente supportata, donde, la sua incensurabilità in questa sede, e la inammissibilità del motivo.
(omissis)
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000 a favore della Cassa delle Ammende, nonché alla refusione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 2200 oltre accessori di legge.