[A cura di: dott. Andrea Tolomelli – pres. naz. Abiconf] L’insieme delle opere che si rendono necessarie per conformare gli stabili in condominio alle norme di prevenzione incendi si caratterizzano sostanzialmente per tre ordini di problemi:
Senza volermi addentrare sui dettagli tecnici, su cui non ho le dovute competenze, rilevo però che, spesso non vi è una unicità delle lavorazioni da eseguire, quanto piuttosto delle scelte da prendere che comportano molto spesso valutazioni giuridiche sull’imputazione delle spese ed economiche sull’onerosità delle stesse anche sotto il profilo del mantenimento dei dispositivi che andranno ad installare.
Quanto, poi, alle scelte di natura economica è risaputa la prassi oggigiorno invalsa – più o meno corretta – di ricorrere al finanziamento delle opere di manutenzione dilazionando gli impegni economici in più anni.
Relativamente alle decisioni di natura giuridica, che sono quelle ove spesso si incardinano le maggiori discussioni assembleari con una notevole dilazione di tempo, va da subito osservato che, la disciplina sul condominio negli edifici mostra per tali spese tutta la sua “anzianità” con conseguente difficoltà di applicazione e adattamento rispetto alle prescrizioni di prevenzione incendi negli stabili in condominio.
Difatti, la norma condominiale in ordine alla ripartizione delle spese – di cui agli articoli dal 1123 al 1126 c.c. -, sostanzialmente immutata dal 1942 ad oggi e non toccata, se non marginalmente, dalla recente legge di riforma, prende come punto di riferimento la manutenzione e/o innovazione di beni comuni, tra l’altro non conoscendo tutta quella categoria d’interventi che oggigiorno noi abitualmente classifichiamo come opere di “messa a norma” che spesso comportano la sostituzione di beni funzionanti ma non più sicuri con altri conformi o più semplicemente allo stato della tecnica ritenuti sicuri e dunque utilizzabili.
Le norme di prevenzione incendi hanno come riferimento la tutela delle persone, dell’ambiente ed eventualmente dei beni con interventi che si riferiscono al fabbricato nella sua interezza riguardando vuoi beni condominiali, vuoi beni di proprietà esclusiva, vuoi parti comuni ad un solo gruppo di condomini (in c.d. condominio parziale) poco interessando pertanto lo stato di proprietà o di comproprietà del bene quanto piuttosto la funzionalità del sistema di prevenzione per gli scopi anzidetti.
Anzi, alcune fonti di spesa – introdotte dalle nuove normative in materia di prevenzione incendi, D.M. 25 gennaio 2019 – non riguardano poi nemmeno dei beni in quanto tali, quanto piuttosto lo studio e l’esecuzione di modalità per attuare l’evacuazione e/o il soccorso in caso di incendio (“gestione della sicurezza antiincendio”).
Abbiamo, dunque, un complesso normativo che si riferisce alle comproprietà comuni che deve estendersi alla tutela della persona e non necessariamente dei soli condòmini.
Ciò premesso, il solo riferimento al bene su cui si deve intervenire non risolve il problema in ordine all’imputazione delle spese, ma deve introdursi la tematica – spesso spigolosa ed ambigua – dei beni che si vogliono proteggere e/o della fonte di pericolo (autorimessa, centrale termica, negozi di particolari dimensioni e/o caratteristiche etc…). Tutte valutazioni che vanno al di là dei criteri tipici d’imputazione delle spese conosciuti dall’articolo 1123 c.c..
Se poi pensiamo che per raggiungere un requisito che potremmo dire “immateriale” quale l’areazione in alcuni casi occorre agire su beni privati per l’attuazione dello scopo comune, che spesso non è poi comune a tutti ma a un solo un gruppo (proprietari delle autorimesse e comproprietari degli spazi di manovra) possiamo comprendere le lunghe discussioni che partono dalla assemblee di condominio per finire nelle aule di giustizia.
Ad avviso dello scrivente, per una corretta suddivisione delle spese, ove vi siano situazioni di condominio parziale con diversi gruppi di condòmini interessati alle opere e relative differenti tabelle di ripartizione delle spese – anche sancite semmai da altrettanto anacronistici regolamenti di condominio – per la realizzazione dei progetti antincendio ci si dovrà inevitabilmente rifare anche alla “fonte” da cui nasce la necessità delle opere e ciò, a volte, indipendentemente dallo stato di proprietà o dalla localizzazione del bene sul quale occorre intervenire.
Così, se alcune opere avvengono per adeguare alle norme di prevenzione incendi la sola autorimessa – locale comune per il transito e/o ricovero di automobili – dovranno partecipare alle spese i soli comproprietari della medesima – eventualmente sulla base delle tabelle specificatamente riferibili all’area – esclusi quei condòmini che non ne sono comproprietari.
Tra l’altro, come sopra accennato, oggi si porrà all’attenzione delle assemblee di condominio la delibera di spese per la redazione di piani di sicurezza ed evacuazione come tali unicamente riferibili alla tutela delle persone e non tanto dei beni materiali, pertanto addebitabili generalmente a tutti i condòmini in quanto necessarie norme d’uso dei beni condominiali che i proprietari si devono dotare per il conforme utilizzo delle rispettive proprietà esclusive e condominiali.
Non possono, dunque, rinvenirsi soluzioni univoche, sia dal punto di vista tecnico sia altrettanto giuridico, anche in conseguenza delle diverse tipologie di fabbricati ed eventuali regolamenti di condominio vigenti. Sarà, compito dell’assemblea dei condòmini, consigliata dall’amministratore, stabilire l’effettiva suddivisione delle spese tentando di applicare analogicamente l’articolo 1123 c.c.. A tal fine potrà essere utile la conoscenza della poca giurisprudenza rinvenibile in materia.
Va poi osservato che, spesso l’attuazione delle norme di prevenzione incendi comporta delle opere di natura straordinaria in considerazione della rilevanza economica della spesa conseguente e dunque l’appalto ed anche l’incarico tecnico conseguente è rimesso alla potestà esclusiva dell’assemblea dei condomini ex art. 1135, quarto comma c.c..
Difficilmente può a tal proposito rinvenirsi un potere d’urgenza in capo all’amministratore di condominio, posto, che, per comune interpretazione giurisprudenziale e dottrinale l’urgenza – di cui al medesimo articolo di legge – è rimessa alla valutazione della indifferibilità della decisione all’assemblea dei condòmini nei tempi tali da non pregiudicare gli interessi degli stessi.
Vedi a tal proposito la Corte di Cassazione n. 20136 del 17 agosto 2017: “Il criterio distintivo tra atti di ordinaria manutenzione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore, ed atti di manutenzione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, riposa sulla rilevanza economica della relativa spesa rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento del bene comune, sicché non rientra tra le facoltà dell’amministratore il potere di conferire ad un professionista legale l’incarico di assistenza nella redazione del contratto d’appalto per la manutenzione straordinaria dell’edificio, dovendosi intendere tale facoltà riservata all’assemblea dei condòmini, organo cui è demandato dall’articolo 1135 c.c., comma 1 n. 4, il potere generale di disporre le spese necessarie ad assumere obbligazioni in materia”.
Tra l’altro, lo stesso articolo 1120, secondo comma, c.c., nella sua versione post riforma del condominio, nel prevedere le innovazioni volte alla sicurezza dell’edificio, pur abbassando i quorum decisionali al secondo comma dell’articolo 1136 c.c. – maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio – rimette la decisionalità all’assemblea dei condòmini e non alla potestà esclusiva dell’amministratore di condominio.
Non può poi ravvisarsi un potere dovere di azione dell’amministratore nell’ambito dell’articolo 1130 – n° 4 – c.c. “compiere gli atti conservativi delle parti comuni dell’edificio” – in quanto il disposto di riferisce più propriamente alla legittimazione attiva dell’amministratore in ordine ad azioni giudiziarie urgenti a tutela delle parti comuni e dei diritti dei condòmini sulle medesime.
Si consideri che, la maggioranza dei problemi che spesso insorgono riguarda consessi assembleari che, sia pure diligentemente convocati ed informati dall’amministratore, non assumono le decisioni richieste in ordine all’esecuzione dei lavori di notevole entità necessari alla prevenzione incendi, e non è dunque propriamente la tematica dell’urgenza quanto piuttosto quella della potestà dell’amministratore di portare avanti decisioni di natura straordinaria in assenza di delibera che l’assemblea non ha assunto, vuoi per i più disparati motivi di ordine giuridico rilevati in seno all’assemblea, vuoi per mancanza di quorum decisionale, vuoi per una espressione addirittura contraria.
L’amministratore, in conclusione, spesso viene indicato dalla giurisprudenza penale come “soggetto di garanzia” senza che ad esso la normativa di cui all’istituto del condominio riferisca specifici poteri dispositivi di interventi straordinari ed incarichi professionali conseguenti, salvo l’onere di disporre – non meglio precisati – interventi di precauzione volti al rinvio della decisione all’Organo assembleare ed eventuali divieti di dubbio effetto e praticabilità.
Di qui è interessante richiamare il Tribunale di Teramo del 26 gennaio 2017, n. 48, a mente del quale: “La condotta colposa dei danneggiati (sostanziatasi nel mancato rispetto, pur essendovi tenuti in relazione alle porzioni di loro esclusiva pertinenza, dalla normativa sulla prevenzione incendi e, dunque, nella mancata predisposizione ed adozione di tutti i dispositivi all’uopo prescritti e che ove esistenti, avrebbero con ogni probabilità, avuto riguardo in particolare alla porta traglia fuoco – notoriamente deputata, tra l’altro a ridurre diffusione di fiamme e fumo tra compartimenti di un edificio – impedito l’infiltrarsi e la propagazione di fumo rilasciate dall’incendio) appare sicuramente idonea ad elidere qualsiasi preteso profilo di responsabilità custodiale dell’amministratore di condominio in proprio, ponendosi quale fattore causale idoneo di per sé solo a rilevare quale causa dell’evento danni dedotto”.