L’ex amministratore fa causa al condominio che gestiva, chiedendo una somma di denaro. L’avvocato del condominio, durante il procedimento, apostrofa l’operato dell’amministratore con espressioni che inducono quest’ultimo a querelare lo stesso legale per diffamazione. Ma la Cassazione, con la sentenza 21749/2019, ritiene tale accusa priva di fondamento giuridico. Vediamo perché.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 21749/2019
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1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 23 luglio 2015 dal Giudice di pace di Napoli, che ha condannato per diffamazione, alla multa di 1000 euro, G.G., avvocato che patrocinava un condominio già amministrato dalla persona offesa N.V. nella causa civile intentata da quest’ultimo contro detto condominio; le espressioni reputate diffamatorie («ha effettuato raggiri nei confronti del condominio, dolose alterazioni del bilancio, pretese non solo pretestuose ma anche sfacciate») erano contenute nella comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale redatta nell’interesse del condominio, volta a contrastare la pretesa del N.V. a vedersi riconosciuti una somma a titolo di compenso e di restituzione di anticipazioni e ad ottenere dall’odierna parte lesa il risarcimento per una paventata male gestio.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, ricorso strutturato su tre motivi.
2.1. Con un primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge – nonché vizio di motivazione – rispetto alla mancata applicazione della esimente di cui all’art. 598 cod. pen. dal momento che il Giudice di pace aveva omesso di individuare l’oggetto della causa, che non era solo la resistenza alle pretese della persona offesa, ma la domanda riconvenzionale nei confronti del N.V., cui erano funzionali le espressioni utilizzate.
2.2. Il secondo motivo verte sulla violazione di legge legata alla mancata constatazione dell’intempestività della querela, giacché N.V., nella sua denunzia, aveva riferito che l’atto diffamatorio era del 29 novembre 2007, mentre la querela è del 14 marzo 2008.
2.3. Il terzo motivo deduce vizio di motivazione assumendo che le frasi ritenute diffamatorie erano indirizzate non già contro la persona del N.V., ma verso la sua condotta professionale.
1. Il ricorso è fondato e la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 598 cod. pen.
Detta disposizione concerne le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria od amministrativa, non punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell’ottica dell’accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016; Sez. 5, n. 12057 del 23/09/1998), quand’anche esse non siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell’argomentazione (Sez. 5, n. 6495 del 28/01/2005). Deve essere esclusa, invece, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, cit.; Sez. 5, n. 40452 del 21/09/2004).
Orbene, la sentenza impugnata – sia pure senza menzionarlo – pare aver escluso l’applicabilità dell’art. 598 cod. pen. assumendo non esservi pertinenza tra le argomentazioni adoperate nell’atto difensivo e l’oggetto della causa, paventando l’inopportunità delle affermazioni circa il comportamento della persona offesa nello svolgimento del suo mandato professionale.
Ciò posto, il Collegio deve dissentire da questa interpretazione della correlazione tra la causa di non punibilità di cui si discute e la condotta addebitata all’imputato.
Diversamente opinando rispetto al Giudice di merito, infatti, si ritiene che le espressioni contenute nella comparsa di risposta con domanda riconvenzionale indicate nel capo di imputazione («ha effettuato raggiri nei confronti del condominio, dolose alterazioni del bilancio, pretese non solo pretestuose ma anche sfacciate») siano pertinenti e funzionali allo scopo cui esse tendevano, vale a dire quello di contestare la pretesa del N.V. ad ottenere una somma dal condominio (la cui anticipazione da parte dell’ex amministratore è analiticamente smentita nell’atto incriminato) e di ottenere a sua volta, per profili di mala gestio dettagliatamente prospettati, il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno.
È evidente che, rispetto all’oggetto della causa così individuato, le espressioni sopra indicate possono ritenersi funzionali a sostenere la pretesa, costituendo connotazioni della condotta professionale del N.V. ovvero qualificazioni, rispetto alla materia del contendere ed alla posizione non solo difensiva, ma anche reattiva del condominio, di suoi atteggiamenti connessi all’attività lavorativa e giammai argumenta ad hominem avulsi dalla causa petendi da contestare e da quella da sostenere.
A ciò consegue, come sopra anticipato, che – assorbite le altre censure – la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.