[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo]
Tra gli elementi di cui si compone il rendiconto condominiale, il registro di contabilità è spesso considerato alla stregua di un “figlio di un dio minore”. Un’interpretazione strettamente letterale delle norme codicistiche, tuttavia, ne delinea il carattere essenziale per i condòmini e per l’amministratore.
Viene in rilievo, in primo luogo, l’art. 1130 bis c.c., nella parte in cui prevede che il registro in questione sia uno dei componenti del rendiconto condominiale assieme al riepilogo finanziario ed alla nota sintetica esplicativa della gestione che indichi anche tutti i rapporti in corso e le questioni pendenti.
Tale disposizione deve necessariamente leggersi in combinato disposto con il primo periodo della stessa norma, onde comprenderne pienamente la ratio.
Quando il legislatore riformista, infatti, espressamente prevede che “il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve” stabilisce che gli stessi devono essere espressi in modo tale da consentirne l’integrale verifica. Ed infatti, è proprio nella chiarezza ed intelligibilità della rendicontazione che si rinviene il risultato perseguito dalla riforma, volto a consentire ai condòmini – proprietari di esprimere in assemblea un voto “cosciente e meditato”.
Da ciò ne deriva che anche il registro di contabilità deve essere considerato uno degli elementi la cui mancanza, violando i predetti principi di chiarezza ed intelligibilità del rendiconto, lo vizia in modo da rendere invalida la relativa delibera di approvazione, nelle forme di cui si dirà in prosieguo.
Con ordinanza dello scorso 20 dicembre 2018 n. 33038, la sez. VI/II della Suprema Corte di Cassazione afferma che il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, rivestono i caratteri di elementi essenziali (a pena di annullabilità) del rendiconto ai sensi dell’art.1130bis c.c..
Che si tratti di una “prima volta” non è circostanza che deve sorprendere gli addetti ai lavori, né è da considerarsi sintomo di mutamento di indirizzo, atteso che la norma cardine sopra richiamata, l’art. 1130bis c.c., è stata introdotta dalla l. 220/2012, in vigore “solo” dal 18 giugno 2013.
La presenza dei suddetti elementi all’interno del rendiconto da presentarsi annualmente, a cura dell’amministrazione, alla compagine condominiale, ha come fine ultimo quello di consentire l’espletamento del diritto, sussistente in capo ai condòmini, “all’informazione ed alla verifica del rendiconto” fornendo una conoscenza dei reali elementi contabili del bilancio condominiale. Ove il rendiconto non sia composto anche da tali elementi necessari ed i condòmini non risultino informati sulla reale situazione patrimoniale del condominio relativamente alle entrate, alle spese ed ai fondi disponibili, ne deriva l’annullabilità della deliberazione assembleare di approvazione, da proporsi nelle forme e nei termini (brevi) di cui all’art. 1137 c.c..
La sentenza in commento è di rilievo non solo per il principio di diritto ivi sancito ma anche per una serie di richiami alla normativa condominiale che involge, di riflesso, gli obblighi dell’amministratore (la violazione dei quali può portare a revoca per gravi irregolarità) e, soprattutto, alcune delle norme in tema di mandato.
Ed infatti, l’annullabilità della delibera di approvazione di un rendiconto “carente” di tali elementi, prescinde ed è indipendente dal “possibile esercizio del concorrente diritto spettante ai partecipanti di prendere visione ed estrarre copia dei documenti giustificativi di spesa”.
Come sottolinea la Cassazione, nell’arresto in commento, l’art. 1129 c.c. (norma parimenti introdotta dalla Riforma), al comma secondo prevede espressamente che l’amministratore contestualmente alla accettazione della nomina e/o ad ogni rinnovo dell’incarico debba indicare i propri dati anagrafici e professionali, nonché i locali ove si trovano i registri di cui ai nn. 6 (registro di anagrafe condominiale) e 7 (registro di contabilità) dell’art. 1130 c.c. ed i giorni e le ore in cui ciascun interessato, previa richiesta all’amministratore, può prendere gratuitamente visione ed ottenerne, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.
A ciò aggiungasi che il “diritto di accesso” spetta, ai sensi dell’art.1130 bis c.c., anche ai titolari di diritti reali – es. usufruttuario – o (personali n.d.r.) di godimento sulle unità immobiliari, quali il conduttore o l’affittuario.
Ora, come precisa la Corte sulla scia di un orientamento maggioritario (cfr. Cass. civ. VI/II n. 12579/2017; Cass. civ. II, n. 19210/2011), tale diritto di accesso, non può porsi in contrasto con il principio di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c., risolvendosi in un intralcio alla attività professionale dell’amministratore che non ha l’obbligo di depositare integralmente la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici ma è soltanto tenuto a permettere ai condòmini che ne facciano richiesta di prendere gratuitamente visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile condominiale. Grava, ovviamente, sugli istanti l’onere di dimostrare che il mandatario della compagine non ha ottemperato a tale obbligo (ex multis Cass. civ. II, n. 12650/2008).
Nel caso in oggetto, rileva la Corte, il ricorrente non aveva, limitatamente a tale motivo di doglianza, dimostrato l’impossibilità di prendere visione della documentazione contabile in vista dell’assemblea
Tra le attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c., il n. 7) prevede espressamente l’obbligo di tenuta, anche in modalità informatizzate, del registro di contabilità. All’interno del predetto registro devono essere annotati, in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Anche tale disposizione risente dello spirito che ha animato la Riforma, ponendosi nell’ottica di assicurare una gestione delle parti comuni che sia il più trasparente possibile.
Ebbene, in caso di omessa tenuta di tale registro, si è in presenza di grave irregolarità ex art. 1129 c.c. da cui potrebbe discendere la revoca dell’amministratore su ricorso anche di un solo condomino, a seguito di giudizio di “volontaria giurisdizione”. Il condizionale è d’obbligo in quanto, a fronte dell’orientamento (Trib. Udine, dec. acc. 25 marzo 2014, Trib. Taranto, dec. acc. 21 settembre 2015) per il quale l’integrazione anche di una sola grave irregolarità da parte dell’amministratore, debba – e non “possa” – portare alla revoca dello stesso, relegando l’attività del Collegio nel novero di quella che le dottrine di diritto amministrativo definiscono “vincolata”, ve ne è un altro meno restrittivo (Trib. Napoli, dec. acc. 4 gennaio 2019) che afferma il potere discrezionale del Tribunale anche nel valutare eventuali giustificazioni addotte dall’amministratore.
Per il secondo orientamento, inoltre, l’obbligo di ri-presentazione di bilanci approvati con deliberazioni annullate dal Tribunale o revocate dall’assemblea con successiva delibera che costituisce atto uguale e contrario, non fa venir meno l’obbligo di rendere il conto delle gestioni precedenti. Ora, se ciò è vero, la ripresentazione dei bilanci ben potrebbe essere più agevole se redatta illo tempore seguendo i canoni di cui all’art. 1130 bis c.c..
A riprova di ciò giova menzionare una recente ed interessante sentenza di merito del Tribunale di Roma (sent. 26 aprile 2019), dove si afferma che l’amministratore di condominio cessato dall’incarico per i più disparati motivi resta comunque contrattualmente obbligato, nei confronti della compagine di cui era mandatario (art. 1713 c.c.), a dare prova della regolare gestione e, pertanto, dell’impiego delle somme incassate dai condòmini nonché “alla giustificazione del saldo finale di cassa alla chiusura della propria gestione (quale risultante dal corrispondente estratto del conto corrente condominiale) sulla scorta degli introiti per contributi (oltre eventuali indennizzi o risarcimenti) e dei giustificativi di spesa, con l’indicazione di eventuali crediti (già esigibili o non ancora scaduti) e di eventuali debiti (non ancora saldati)”.
Contraltare di tale obbligo è, per i condòmini, quello di essere resi edotti della raccolta e destinazione dei contributi versati dai condòmini.
Ai documenti cui pone riferimento il Tribunale capitolino deve necessariamente aggiungersi, quale utile – ed ulteriore – strumento idoneo a compiere un controllo “immediato” della gestione condominiale, anche il registro di contabilità di cui all’ordinanza di legittimità in commento. Sebbene, come si è visto, da un lato non risulta obbligatorio l’invio in sede di convocazione, ma, dall’altro, ne è comunque prevista l’obbligatorietà della tenuta, a pena di revoca giudiziale, una eventuale allegazione in sede di convocazione ben può, a seconda delle circostanze e dei contesti amministrati, apparire opportuna anche in ottica di riduzione del contenzioso.
L’art. 1129 c.c., al penultimo comma, richiama le norme in tema di mandato (sez. I, capo IX, tit. II, libro IV) per quanto non disciplinato in merito agli obblighi dell’amministratore. Tra di esse, merita risalto l’art. 1710 c.c. che richiede l’espletamento del mandato con la diligenza del buon padre di famiglia. Ferme tutte le assunzioni in merito ad un eventuale riconoscimento della “professione” di amministratore, che animano il dibattito tra dottrina, giurisprudenza ed associazioni di categoria con tutte le ricadute in tema, ad esempio, di prescrizione dei compensi e dell’eventuale responsabilità professionale, il rispetto degli obblighi di tenuta dei registri obbligatori per legge, tra cui il registro di contabilità è contegno basilare anche se ci si ferma – per il momento – al livello della “diligenza del buon padre di famiglia”.