Se in un condominio di dimensioni normali le diatribe tra vicini di casa possono essere fastidiose, in un condominio minimo, con due soli condòmini, possono trasformarsi in un incubo. Tanto più se uno dei due residenti si rende colpevole – come confermato dalla Cassazione – di atti persecutori ai danni dell’altro.
Una ricostruzione della vicenda in quest’estratto della sentenza 25097/2019.
—————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 25097/2019
—————-
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Trento ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di T.A. per il reato di atti persecutori commesso ai danni di S.L..
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata articolando cinque motivi. Con il primo ed il secondo deduce violazione di legge e vizi della motivazione in merito alla configurabilità del reato. In proposito viene evidenziato come dalle risultanze processuali emerga che gli episodi relativi alle deiezioni dei gatti della T.A. siano stati occasionali e comunque dovuti ad incuria nella loro custodia, difettando dunque tanto il requisito dell’abitualità della condotta, quanto il dolo richiesto per la sussistenza del reato.
Quanto invece all’esposizione all’interno del condominio di scritte e cartelli riportanti minacce ed insulti nei confronti della persona offesa alcuna prova sarebbe emersa in merito alla loro attribuibilità all’imputata. (omissis).
1. Il ricorso è infondato e per certi versi inammissibile.
2. Contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente, i giudici del merito non hanno sostanzialmente addebitato alla T.A. una mera incuria colposa nel governo dei propri animali, evidenziando invece come, nonostante le ripetute lamentele, ella abbia volontariamente continuato a liberarli nelle parti comuni dell’edificio abitato anche dalla persona offesa, nell’evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico che ciò comportava e della molestia che in tal modo arrecava alla propria vicina.
Comportamento questo certamente riconducibile a quello tipizzato dall’art. 612-bis c.p., tanto più che lo stesso non può essere considerato disgiuntamente dagli ulteriori atti contestati, soprattutto ai fini della prova dell’elemento soggettivo del reato e dell’abitualità della condotta, requisiti entrambi motivatamente ritenuti sussistenti dalla Corte territoriale. Quanto alla asserita occasionalità degli episodi imputati, il ricorso si rivela invece generico, non essendosi confrontato con l’articolata motivazione della sentenza, la quale, oltre che su quanto affermato dalla persona offesa, ha fondato le proprie conclusioni basandosi anche sulle dichiarazioni dei numerosi testi – compresi gli agenti della polizia municipale allertati dalla persona offesa – che avevano avuto modo a vario titolo di frequentare l’edificio e che tutti unanimemente hanno riferito circa la presenza di escrementi animali ovvero del persistente olezzo delle loro deiezioni. In tal senso è poi inconferente che la figlia della persona offesa non convivesse con la medesima, atteso che espressamente la sua testimonianza, per come valorizzata in sentenza, fa riferimento alle occasioni in cui la stessa si recava a far visita alla madre.
Per quanto riguarda, poi, l’attribuibilità all’imputata delle scritte e dei cartelli contenenti insulti e minacce, questa è stata logicamente desunta dal giudice dell’appello dal contesto della vicenda, ma, soprattutto, dal fatto che l’edificio teatro dei fatti era una villetta bifamiliare, le cui parti comuni servivano esclusivamente, oltre che l’abitazione della vittima, quella dell’imputata, ritenendo dunque escluso che altri potesse essere stato protagonista di tali comportamenti o avere interesse a porli in essere. Quanto infine all’evento del reato, generica e manifestamente infondata è l’obiezione circa l’inconferenza della certificazione rilasciata dalla psicologa che ha visitato la persona offesa, posto che la ricorrente non evidenzia i motivi di tale assertiva affermazione, peraltro sorvolando sul fatto che lo stato di prostrazione e di ansia in cui versava la vittima è stato provato in sentenza anche facendo riferimento al contenuto delle dichiarazioni di alcuni dei testimoni, rimaste dunque incontestate.
(omissis)
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in euro 2.000, oltre accessori di legge.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in euro 2.000, oltre accessori di legge.