Appropriazione indebita dell’amministratore: quando si consuma il reato?
Il delitto di appropriazione indebita da parte dell’amministratore di condominio è reato istantaneo, che si consuma con la prima condotta appropriativa delle somme che non gli spettavano. È quanto rimarcato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26599/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 26599/2019
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Ritenuto in fatto
- Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Palermo del 19 gennaio del 2017 che aveva condannato il ricorrente alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 100 di multa in relazione al reato di appropriazione indebita aggravato dall’abuso di prestazione d’opera, commesso quale amministratore di condominio ed in relazione alla somma di circa 5.800 euro prelevata dal conto corrente intestato al condominio medesimo.
- Ricorre per cassazione A.C., deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità, che la Corte avrebbe adottato senza tenere conto delle doglianze difensive e di quanto emerso dalla consulenza tecnica effettuata dal Pubblico ministero (nonché dall’esame dibattimentale del consulente), a proposito della mancanza di prova che i prelievi effettuati dal ricorrente dal conto corrente del condominio fossero indebiti, non potendosi risalire alla loro causale per difetto di documentazione a corredo;
2) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla individuazione del tempus commissi delicti in relazione all’arco temporale preso in considerazione dalla imputazione (ottobre 2006-dicembre 2010), con la conseguenza che, nel dubbio, avrebbe dovuto essere dichiarata l’intervenuta prescrizione del reato, anche tenuto conto delle regole giurisprudenziali sulla decorrenza del termine di prescrizione nel reato continuato;
(omissis)
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
- Quanto al primo motivo, il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, sulla base degli esiti della consulenza tecnica disposta dal Pubblico ministero, ha sottolineato come fosse emersa l’assenza di causale per i prelievi del ricorrente pari a 5800 euro, non avendo, peraltro, fornito egli al suo successore nell’amministrazione del condominio alcuna giustificazione documentale, nemmeno fornita in corso di giudizio.
L’insieme di questi elementi dà contezza della ragionevolezza del giudizio di condanna, privo di vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede e non contraddetto da alcuna argomentazione difensiva, essendosi il ricorrente limitato solo genericamente a lamentarsi di presunte omissioni nella valutazione di doglianze contenute nell’atto di appello, senza specificarne però nessuna.
Secondo il condiviso insegnamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice di appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente e, cioè, contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013).
- Anche il secondo motivo è del tutto generico se posto al confronto con la motivazione della sentenza impugnata; che ha individuato correttamente la data di decorrenza del reato dall’interversione del possesso avvenuta al momento della dismissione della carica (nel 2011), allorquando il ricorrente non aveva restituito al condominio quanto da lui indebitamente prelevato. Ne consegue che la condotta deve ritenersi commessa, secondo l’imputazione, nel mese di dicembre del 2010 e la prescrizione è maturata in data successiva alla sentenza impugnata, al primo di giugno 2018.
Tale rilievo della Corte è stato del tutto ignorato in ricorso.
Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. (Nella specie, la Corte ha ritenuto consumato il delitto di appropriazione indebita delle somme relative al condominio, introitate a seguito di rendiconti, da parte di colui che ne era stato amministratore, all’atto della cessazione della carica, momento in cui, in mancanza di restituzione dell’importo delle somme ricevute nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso) (Sez. 2, Sentenza n. 40870 del 20/06/2017).
(omissis)
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende.