[A cura di: avv. Andrea Marostica – www.avvocatoandreamarostica.it] Prima dell’intervento di riforma del 2012, la disciplina codicistica in tema di condominio negli edifici non conteneva che poche disposizioni in tema di contabilità e rendiconto. In particolare, era previsto che:
La giurisprudenza di legittimità (1) integrava questo scarno dettato affermando che “la contabilità presentata dall’amministratore del condominio non è necessario che sia redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma deve essere idonea a rendere intellegibili ai condòmini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione.”.
Nonostante l’affermazione giurisprudenziale appena vista del principio di intelligibilità dei dati contabili presentati (2), ovvero la necessità che essi siano comprensibili al condomino medio, non esperto di contabilità ma animato dal desiderio di comprendere, la disciplina contabile del condominio restava alquanto lassa, ispirata alla libertà delle forme, in ossequio ad una visione del fenomeno condominiale ormai superata.
La Legge 11 dicembre 2012, n. 220, dopo avere appena ritoccato le disposizioni già presenti (3), ha introdotto, al fine di garantire una maggiore trasparenza e verificabilità dell’operato dell’amministratore a beneficio dei condòmini, elementi di forte innovazione nella disciplina condominiale. Il professionista, infatti, deve ora condurre una gestione contabile più vincolata e redigere un rendiconto ispirato non più soltanto al principio di intelligibilità, ma anche – si ritiene – ad un principio di formalità attenuata.
Ciò risulta evidente scorrendo le novità introdotte:
Ulteriore novità è rappresentata dalla possibilità, per l’assemblea, di nominare un revisore contabile.
Stabilisce l’art. 1130 bis c.c. che l’assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio; la deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condòmini sulla base dei millesimi di proprietà.
Lo scopo perseguito è quello di tutelare i condòmini sia in termini di trasparenza e correttezza dei bilanci, sia anche in termini di maggiore coinvolgimento nella verifica dei conti condominiali; per la verità non si tratta di una novità assoluta, dal momento che anche prima della riforma, pur in assenza di norme specifiche, era comunque possibile nominare un revisore (5).
Come si evince dalla disposizione citata sopra, la legge non ha avuto cura di precisare quali sono i requisiti per lo svolgimento dell’incarico di revisore. Ne deriva che chiunque può svolgere tale attività, non essendo necessario comprovare alcuna specifica competenza in materia contabile. Non si può non segnalare quanto tale lacuna sia improvvida, considerata l’illogica situazione che potrebbe presentarsi laddove l’operato contabile dell’amministratore venisse sottoposto alla verifica di un soggetto potenzialmente privo di qualsivoglia nozione in materia.
Il revisore, svolgendo un’attività contabile, utilizzerà evidentemente i documenti sui quali si basa la contabilità condominiale.
Anzitutto, dovrà disporre del registro di anagrafe condominiale, nel quale sono contenuti, tra gli altri, i dati relativi alle generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, e i dati catastali di ciascuna unità immobiliare.
Il revisore consulterà il regolamento contrattuale, se presente, e le tabelle millesimali eventualmente allegate, soprattutto al fine di accertare la previsione convenzionale di particolari regimi di imputazione delle spese e di criteri di ripartizione diversi da quelli previsti dagli artt. 1123, 1124, 1126 c.c..
Dovrà esaminare (almeno) l’ultimo rendiconto approvato, comprensivo ovviamente del bilancio consuntivo e della relativa ripartizione e determinazione dei saldi individuali, ed il preventivo della gestione in corso corredato dalla suddivisione in quote individuali, verificando la corretta imputazione delle spese con riferimento ai criteri di ripartizione adottati e alla loro ragion d’essere (criteri legali, criteri regolamentari “contrattuali”, criteri assembleari nell’ambito di valutazioni relative all’uso potenziale di determinate parti comuni).
Molto importante sarà la verifica ed il confronto dell’estratto del conto corrente condominiale e del registro di contabilità. Infatti, poiché sul conto corrente condominiale devono transitare tutte le somme in entrata ed in uscita e nel registro di contabilità devono essere registrati tutti i movimenti in entrata ed in uscita, ne deriva logicamente che tra estratto conto bancario e registro di contabilità debba sussistere un rapporto di perfetta coerenza.
Il revisore dovrà avere contezza dei contratti in essere, dei debiti e dei crediti del condominio, di eventuali controversie in corso, dei documenti fiscali ed in generale di ogni altra documentazione inerente ai profili contabili e fiscali della gestione condominiale.
L’art. 1130 bis c.c. non indica l’oggetto dell’attività del revisore, limitandosi a prevedere, in termini generici, che l’assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio.
Sulla base dei principi in tema di condominio, possono individuarsi due distinte ipotesi.
L’attività di verifica terminerà con la presentazione di una relazione, la quale, pur non ponendosi come sinonimo inevitabile della verità del rendiconto condominiale, costituirà, tuttavia, una pronuncia qualificata sull’attendibilità della contabilità (7).
(1) Cass. civ., 7 luglio 2000, n. 9099.
(2) Rilevata anche da Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 584, nt. 1, il quale afferma laconicamente che per la giurisprudenza “basta l’intelligibilità del conto”.
(3) Quanto all’obbligo dell’amministratore di presentazione annuale del rendiconto, esso è stato confermato, con l’aggiunta della precisazione che l’assemblea per la relativa approvazione debba essere convocata entro centottanta giorni (non viene specificato il momento dal quale decorre tale termine: si ritiene si tratti del giorno di chiusura della gestione annuale). La possibilità di revocare giudizialmente l’amministratore in caso di mancata presentazione del rendiconto resta ferma, trattandosi di grave irregolarità che legittima ciascun condomino a rivolgersi all’autorità giudiziaria; è stato però espunto il riferimento ai due anni di mancata presentazione, dunque oggi ne è sufficiente uno soltanto per legittimare l’azione.
(4) Già ben prima della riforma del 2012, la dottrina più attenta agli aspetti contabili dell’amministrazione condominiale (Nobile, L’amministratore del condominio, Napoli, 1956, 166) aveva sottolineato che “contabilmente” è indispensabile “il giornale di cassa, dove in ordine di data debbono essere registrate giornalmente le entrate e le uscite, in apposite colonne distinte”, precisando che tale registro doveva essere allegato al rendiconto affinché ciascun interessato potesse esaminarlo.
(5) De Tilla, Codice del nuovo condominio commentato, Milano, 2016, 855.
(6) Schena, La revisione del bilancio condominiale, Palermo, 2015, 7.
(7) Scarpa, L’amministratore, in Celeste-Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 631.