Anche in questo mese di luglio pubblichiamo una breve rassegna di massime tratte da alcune interessanti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione nell’ultimo anno, in materia di condominio.
La delibera dell’assemblea di condominio che privi il singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo, il quale, lamentando la nullità della delibera, ha facoltà di chiedere la condanna al risarcimento del danno del condominio, quale centro di imputazione degli atti e delle attività compiute dalla collettività condominiale e delle relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli. Nella specie, il condominio, a seguito di delibera, aveva realizzato nella comune corte interna dell’edificio un ascensore che aveva ridotto la luce e l’aria dell’appartamento, posto al piano terra, della ricorrente e impedito a quest’ultima l’uso di una porzione rilevante della stessa corte.
In tema di c.d. condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all’art. 1123 c.c. e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall’art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali.
In tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprietà esclusiva, pur inserito nella struttura del complesso immobiliare, non può di per sé ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che tale bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino e, quindi, a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero qualora sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale o l’atto costitutivo del condominio) che consideri espressamente detto manufatto di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate.
Il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l’annullamento del contratto, solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. In applicazione di tale principio la Suprema Corte, con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto, potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall’acquirente, era prevista la facoltà di recesso “ad nutum” del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro.