Non soltanto urina e sputi, ma anche minacce di morte ed ingiurie del tipo “figli di p…, dovete andare via di qua”. Al culmine di una contesa sull’utilizzo di un terrazzo in condominio, è inevitabile la condanna di una coppia di condòmini per il reato di “getto pericoloso di cose”. Di seguito un estratto dell’ordinanza 30573/2019 di Corte di Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 30573/2019
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1. Con atto impugnatorio cumulativo a firma del comune difensore, gli imputati D.R. e A.S. ricorrono per la cassazione della sentenza, 28 aprile 2017, del Tribunale di Trani che li ha condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 150 di ammenda ciascuno per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, liquidati in via equitativa nell’importo di euro 500.
Con il ricorso si deducono violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento:
2. I ricorsi sono inammissibili per patente infondatezza degli addotti motivi e per la loro sostanziale indeducibilità.
3.1. In punto di responsabilità le censure sono prive di reale specificità, risolvendosi in una inammissibile e sommaria riconsiderazione fattuale delle risultanze probatorie.
La decisione impugnata ha ricostruito puntualmente l’azione illecita dei ricorrenti alla stregua delle deposizioni rese dai coniugi B.-D., la cui attendibilità è stata positivamente apprezzata in ragione della linearità, coerenza e convergenza delle rispettive narrazioni, non contraddette da qualsivoglia elemento di segno inverso. Ricostruendo con chiarezza il quadro istruttorio, il Tribunale ha osservato che i motivi di contrasto tra le due coppie di coniugi, abitanti nello stesso edificio, erano da ricondurre all’uso del terrazzo; la A.S. aveva più volte intimato alle parti lese di lasciare l’abitazione e, comunque, di non accedere più al terrazzo di sua proprietà; i due imputati avevano posto in essere numerosi atti di molestia in danno dei condòmini, consistiti nel provocare forti rumori durante la notte che disturbavano con continuità il loro riposo; le parti lese avevano trovato più volte gli indumenti stesi imbrattati di urina versata dal piano superiore; il D.R. era stato visto in un’occasione sputare dal proprio terrazzo nel balcone delle persone offese e, in un’altra occasione versare urina con un secchiello sugli indumenti dei condòmini; aveva ripetutamente minacciato di morte il B., mentre la A.S. aveva rivolto parole ingiuriose, del tipo “figli di puttana, dovete andare via di qua”; anche se solo il D.R. era stato l’autore delle condotte materiali cadute sotto la diretta percezione visiva dei dichiaranti, non poteva revocarsi in dubbio il concorso, quanto meno morale, della A.S., non solo convivente del B., ma anche proprietaria del terrazzo, il cui utilizzo era stato origine del contrasto e dei comportamenti ostili e minacciosi in danno delle parti lese; che le condotte rientravano nella fattispecie dell’art. 674 cod. pen., trattandosi di getti di cose atte ad imbrattare un luogo privato di altrui uso.
3.2. Quanto alla contestata correttezza della qualificazione giuridica, in disparte l’inconferente osservazione che mancherebbe prova circa la natura del liquido versato, soccorrendo al proposito le omogenee indicazioni delle parti lese, stimate in tutto affidabili, va rilevato che il fatto, così come descritto in rubrica e ritenuto accertato dal Tribunale, correttamente è stato ricondotto nella fattispecie di cui all’art. 674 cod. pen. e non in quella dell’art. 639 cod. pen., che tutela l’estetica e la nettezza delle cose mobili e immobili, non ravvisandosi, per le modalità e la finalità dell’azione, comportamenti idonei a danneggiare esclusivamente delle res, ma condotte connotate da capacità lesiva nei confronti delle persone che dal getto di cose vengono imbrattate, offese, molestate e turbate nella loro tranquillità.
(omissis)
4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3.000.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.