La discrezionalità dell’amministrazione nello scegliere la sede in cui svolgere l’assemblea di condominio (qualora essa non sia indicata espressamente dal regolamento condominiale) incontra diversi limiti, geografici e perfino morali. Questo il principale oggetto di una vicenda giudiziaria sorta 10 anni fa e ancora ben lontana dal concludersi.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 23.8.2019,
n. 21632
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G.Va., con ricorso per impugnazione di deliberazione dell’assemblea ex art. 1137 c.c. del 16.05.2009, ha adito il Tribunale di Pavia per sentire accogliere le seguenti domande:
A fondamento del ricorso G.V. deduceva: illegittima individuazione del luogo dell’assemblea; erronea individuazione degli enti condominiali; illegittimo richiamo di permessi di costruire rilasciati dal Comune di Landriano; indeterminatezza e insufficienza dell’ordine del giorno della convocazione con riferimento a quanto deliberato.
Si costituivano formalmente in giudizio Ro.Va., Ri. Va., le quali eccepivano: l’inammissibilità del ricorso di G.Va. per carenza di interesse ad agire; l’infondatezza in fatto ed in diritto di tutti i motivi di ricorso prospettati da controparte. Chiedevano il rigetto del ricorso.
Con ordinanza 08.06.2009, il Giudice di primo grado respingeva l’istanza di sospensione e fissava, per la discussione della causa di merito, l’udienza del 15.07.2009.
Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 237/2010, definitivamente pronunciando, dichiarava la nullità della delibera assembleare impugnata e condannava Ri.Va. e Ro.Va. a rifondere al ricorrente le spese di lite.
Il Tribunale faceva proprio l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “Quando il regolamento di condominio non stabilisce la sede in cui debbano essere tenute le riunioni assembleari, l’amministratore ha il potere di scegliere la sede che, in rapporto alle contingenti esigenze del momento, gli appare più opportuna. Tale potere discrezionale, tuttavia, incontra un duplice limite: anzitutto il limite territoriale, costituito dalla necessità di scegliere una sede entro i confini della città in cui sorge l’edificio in condominio; quindi, un secondo limite, costituito dalla necessità che il luogo di riunione sia idoneo, per ragioni fisiche e morali, a consentire la presenza di tutti i condomini per l’ordinato svolgimento della discussione” (in questi termini da ultimo Cass. Sez. Un. 14461/1999). Epperò, nel caso di specie, il condominio è sito in Mandriano [rectius “in Landriano”] e senza giustificazione alcuna l’assemblea condominiale è stata fissata in Pavia. Nessun rilievo può avere la circostanza che nel medesimo luogo un anno prima si erano fatte delle riunioni alla presenza delle medesime partì e dei rispettivi legali, in quanto il precedente che può rilevare è unicamente quello di consuetudini di assemblee condominiali.
Avverso tale sentenza interponevano appello Ro.Va. e Ri.Va., chiedendo, in riforma della stessa, che venissero accolte le conclusioni rassegnate in primo grado.
Si costituiva G.Va. il quale rassegnava le seguenti conclusioni:
in via preliminare ed assorbente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 325, 342 cod. proc. civ., dichiarare la definitiva-insanabile inammissibilità del ricorso per appello e ossia dell’impugnativa proposta dalle sig.re Ri.Va. e Ro.Va. per intervenuta decadenza e per mancata specificità dei motivi;
confermare integralmente la sentenza n. 237/2010 (rep. n. 578/10) pubblicata dal Tribunale di Pavia;
comunque rigettare il ricorso per appello presentato dalle sigg.re Ri.Va. e Ro.Va., ovverosia, respingere ogni domanda e/o eccezione proposta nell’ambito del presente giudizio avverso il sig. G.Va..
La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1081/16.01.2015, depositata in data 10.03.2015, notificata in data 8.03.2015, dichiarava inammissibile l’appello. Condannava le appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese per il presente grado.
Secondo la Corte di Appello di Milano, la sentenza impugnata è stata notificata a Ro.Va. e Ri.Va. il 22.04.2010; il ricorso proposto dalle stesse è stato notificato presso gli studi del difensore in Maghemo in data 17.06.2010, oltre il termine perentorio previsto dall’art. 325 c.p.c.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Ro.Va. e Ri.Va. con ricorso affidato ad un motivo.
G.Va. ha resistito con controricorso.
(omissis)
1. Con l’unico motivo di ricorso, Ro.Va. e Ri.Va. lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 325 cod. proc. civ. e 1137 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Secondo le ricorrenti, la Corte distrettuale, nel dichiarare inammissibile l’appello per essere stato il ricorso notificato oltre il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ., non avrebbe tenuto conto che, per il principio di ultrattività del rito, l’atto introduttivo del giudizio di appello segue la stessa identica forma dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero, nel caso in esame, quella del ricorso e, dunque, la tempestività dell’appello va considerata facendo riferimento al deposito del ricorso.
1.1. Il motivo è fondato.
Posto che, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 163 cod. proc. civ., le impugnazioni delle delibere dell’assemblea, vanno proposte con citazione (Cass., S.U. 8491/2011), questa Suprema Corte ha avuto modo di statuire che “se l’impugnazione di una sentenza relativa alla validità delle deliberazioni assembleari sia stata effettuata con la forma del ricorso, il termine per la notificazione è rispettato col deposito in cancelleria del ricorso e non, invece, con la notificazione del ricorso stesso” (Cass. 18117/2013).
È ben vero che, nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermato anche il contrario principio secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio (nonostante il primo giudizio fosse stato introdotto con ricorso), ai sensi dell’art. 1137 c.c., va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem” (Cass., n. 8839/2017).
Il Collegio ritiene, tuttavia, di aderire al primo degli orientamenti qui richiamati, dovendo ritenersi che, ove la controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado con il rito speciale del lavoro, anziché con quello ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale.
Tale conclusione è imposta dal principio della “ultrattività del rito”, che – quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice – trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è stato erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (cfr. Cass., n. 210/2019; n. 20705/2018; n. 15897/2014; n. 682/2005).
Pretendere che la parte che intenda appellare debba proporre l’impugnazione adottando un rito diverso da quello con cui si è svolto il giudizio di primo grado, non solo attribuirebbe ad essa un potere di mutamento del rito che le non compete, ma si porrebbe in contrasto col principio costituzionale del “giusto processo” e con la tutela dell’affidamento della parte nelle regole del processo, che ha ormai trovato riconoscimento nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., n. 279/2017; n. 10273/2014).
Sicché, nel caso di specie, facendo applicazione del principio di cui sopra, sussiste la tempestività dell’appello; essa infatti deve essere computata con riferimento alla data del deposito del ricorso in appello e non a quella della sua notificazione, con conseguente ammissibilità dell’impugnazione.
Il ricorso va, quindi, accolto. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della stessa Corte di merito, per lo svolgimento del giudizio di appello e, anche, per la liquidazione delle spese di questo giudizio.
La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.