[A cura di: FiscoOggi, Agenzia delle Entrate; tratto da: Assonime] È valido l’inciso contrattuale secondo cui nel corso dell’intera durata del contratto il conduttore si fa carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tra cui l’Imposta comunale sugli immobili, esonerando il locatore dagli stessi obblighi. Questa la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite contenuta nella sentenza n. 6882 dell’8 marzo 2019.
La norma di cui all’articolo 53 della Costituzione, da qualificarsi come imperativa, perché rivolta anche ai comportamenti dei privati, non contrasta con la nullità delle clausole contrattuali per violazione di norme imperative di cui all’articolo 1418, comma 1, del codice civile, riguardo ai patti di traslazione dell’imposta a causa dell’impossibilità di desumere dall’impianto costituzionale un divieto generalizzato al trasferimento dell’onere del tributo a terzi. Conseguentemente, è legittima la clausola contrattuale secondo cui nel corso dell’intera durata del contratto il conduttore si faccia carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati ad uso non abitativo, tra cui l’Ici, tenendo conseguentemente manlevato il locatore relativamente agli stessi, risultando invece inviolabile l’obbligo pel locatore del pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito.
Le sezioni unite della Cassazione hanno deciso la controversia rinviata dalla terza sezione civile sull’applicabilità del primo comma dell’articolo n. 1418 del codice civile secondo cui “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente” alla clausola contrattuale con cui al conduttore era addossata “ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati”, tra cui l’Ici.
L’ordinanza di rimessione aveva evidenziato un contrasto tra due datate sentenze di Cassazione, la prima delle quali della sezione prima – ma dalla decisione in rassegna attribuita alle sezioni Unite – n. 5/1985, ove era stato fissato il principio che la clausola del contratto di mutuo, la quale, sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti, ponga a carico del mutuatario quanto il mutuante sia tenuto a versare all’erario per Irpeg e Ilor afferenti gli interessi convenuti, è nulla, ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, e per contrasto con l’articolo 53 della Costituzione.
Successivamente erano state interessate le Sezioni unite – ma in sede di soluzione di un conflitto di giurisdizione – le quali si posero in aperto contrasto con tale precedente, avendo affermato con la sentenza n. 6445/1982 che la clausola del contratto di mutuo, che faccia obbligo al mutuatario di rimborsare al mutuante le imposte afferenti gli interessi convenuti (sempre in ipotesi di Irpeg e Ilor), al fine di garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né in particolare per violazione del precetto costituzionale del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Le sezioni unite della suprema Corte con la pronuncia in commento affrontano il tema nella prospettiva ben evidenziata dall’ordinanza di rinvio di verificare “se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo – nel senso di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva – oppure anche soggettivo – nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo -, escludendosi quindi il trasferimento dell’obbligo ad un soggetto diverso”.
La decisione della Corte di legittimità in nota opta per il criterio oggettivo reputando, in primo luogo, che con la clausola negoziale prima trascritta le parti hanno inteso determinare il canone in due diverse componenti, rappresentate l’una dalla parte espressamente qualificata come tale e l’altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione sulla clausola di manleva qualificata come obbligo di rimborso (peraltro oggetto di fattura).
In secondo luogo, i supremi giudici ritengono che tale clausola di manleva non viola gli elementi inderogabili dettati dal legislatore sulla locazione di beni ad uso non abitativo in quanto questo sono relativi soltanto alla durata del contratto, alla tutela dell’avviamento e alla prelazione, “mentre l’ammontare del canone locativo è lasciato alla libera determinazione delle parti, che possono ben prevedere l’obbligazione di pagamento per oneri accessori”.
La Corte regolatrice del diritto nella sua più autorevole composizione con la sentenza in rassegna ha, quindi, ritenuto che entrambe le decisioni del 1985 hanno posto a relativo fondamento gli stessi presupposti argomentativi avendo affermato che l’autonomia privata non può alterare i connotati dei tributi diretti perché strutturati in modo che “ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa”. Infatti vengono citate, da questa in commento, le decisioni delle sezioni unite, in materia di imposte dirette, n. 3935/1987, sulla nullità dell’accollo delle imposte dovute sul reddito e n. 5652/1987 riguardo agli accordi che esentino il lavoratore dipendente dalle ritenute del datore di lavoro a titolo di Irpef proprio perché “una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perché il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso”.
Nello stesso senso viene menzionata la decisione della prima sezione n.6037/1993, nella quale, tra l’altro, si era statuito che la clausola che obblighi il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte dell’Irpeg e Ilor, gravanti sul secondo, in relazione agli interessi percepiti sulla somma mutuata, è nulla per violazione di norme imperative di cui agli artt.26 e 64 del Dpr n.600/1973, “nel caso in cui il mutuatario (nell’ipotesi, società cooperativa) rientri tra i soggetti che, quali “sostituti” d’imposta sono obbligati ad effettuare una ritenuta, a titolo di acconto e con obbligo di rivalsa, sui redditi da capitale corrisposti ex art.23, co.1, d.P.R. n.600 del 1973”.
L’asserzione che a ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa non viene applicata dalla giurisprudenza di legittimità alle imposte indirette, con riferimento al contratto di mutuo da Cassazione n.6232/1991 e n.3770/2015, all’imposta sulla pubblicità da Cassazione n. 3577/1995 e n. 24307/2009, all’intestazione fiduciaria di azioni da Cassazione n. 13261/1999 e n. 2412/2016 sul rapporto concessorio relativo alla gestione dei parchimetri di Roma. Infatti, riguardo ai tributi indiretti la suprema Corte per escludere la nullità del patto di traslazione del tributo richiedeva l’espressa statuizione legislativa, rinvenuta per l’Invim, nell’articolo 27 del Dpr n.643/1972 da Cassazione n. 7501/2014, nell’articolo 40 della legge n. 246/1963, per il contributo di miglioria, nell’articolo 18 del Dpr n. 633/1972, sull’IVA, dall’articolo 16 del Dpr n. 643/1972, sull’imposta sugli spettacoli, nell’articolo 60 del Dpr n. 634/1972, sull’imposta di registro, nell’articolo 23 del Dpr n.642/1972, sull’imposta di bollo e negli articoli 23, 24, 25, 25-bis, 26, 27 e 28 del Dpr n. 600/1973, per le imposte dirette.
Ne consegue la conferma dalla sentenza del supremo collegio che si annota della pronuncia n. 22369/2004 proprio in ordine alla clausola di un contratto di locazione di immobile ad uso diverso da abitazione che individuava tra gli oneri accessori del canone, da rimborsare al locatore, quelli fiscali avendo precisato la decisione in nota che, prima, l’Ici di cui Dlgs n.504/1992, e poi l’Imu di cui al Dlgs n. 23/2011, non contemplano la disposizione di divieto di traslazione analogo a quello dettato per l’Invim dall’articolo 27 del Dpr n. 643/1972.
Infine, la sentenza della suprema Corte in commento avverte che a tale tematica rimane estranea la normativa comunitaria, risultando riservata alla sola normativa interna traendone argomento dalla sentenza della Corte Ue del 16 gennaio 2014, n.226/12, Eurogate Distribution e dalla decisione del 6 novembre 2011, n.398/09. La decisione dei supremi giudici in nota, infine, afferma che in tale ultima sentenza eurounitaria venne statuito che un tale patto traslativo di per sé non è in contrasto con la normativa comunitaria, “potendo assumere viceversa rilievo in caso di violazione di altri principi o norme, come ad esempio nell’ipotesi in cui esso determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri l’abuso del diritto (in ordine al quale v. Corte Giustizia, 21/2/2006, C – 255/02)”.