[A cura di: Erio Iurdana – presidente Confappi Torino] In tema di ripartizione delle spese in condominio, l’articolo 1123 del Codice civile prevede che «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione».
La norma precisa poi che «se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne».
Ci sono situazioni, però, in cui risulta complesso capire cosa sia privato e cosa invece comune. È il caso dei balconi, che non rientrando nell’elenco delle parti comuni dell’edificio previsto dall’articolo 1117 del Codice civile si presume siano proprietà individuale. Di conseguenza, le spese per la loro manutenzione dovrebbero essere a carico dei proprietari degli immobili di cui i balconi fanno parte.
In parte è così, ma è altrettanto vero che determinate parti del balcone possono essere considerate “comuni” e in quel caso i costi di manutenzione dovranno essere suddivisi tra tutti i condòmini proprietari, in base ai rispettivi millesimi di proprietà.
Ovviamente, la presenza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale può fissare precisi criteri di ripartizione, ma in assenza di tale documento per comprendere meglio la questione è necessario distinguere i balconi in due differenti tipologie: aggettanti e incassati. I primi sporgono dalla struttura dell’edificio e costituiscono un prolungamento dell’appartamento, mentre i secondi sono inseriti nel corpo dello stabile, solitamente chiusi su due o tre lati, formando una sorta di rientranza nella facciata.
Di norma, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dei balconi aggettanti sono interamente a carico del proprietario dell’alloggio.
Se però occorre tinteggiare o ritoccare eventuali stucchi o altri elementi decorativi esterni, la spesa va ripartita fra tutti i condòmini, in base ai millesimi di proprietà di ciascuno. Sul punto la Corte di Cassazione (sentenza 19 maggio 2015, n. 10209) ha precisato come «costituiscono beni comuni a tutti i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, (dei balconi) quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole». Sulla stessa linea il Tribunale di Roma (sentenza 7 aprile 2009) secondo cui «i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ineriscano ai balconi (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti. In particolare, i frontalini e i pilastrini di un balcone adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio allorquando svolgono una funzione decorativa estesa a esso, del quale accrescono il pregio architettonico, oltre ad assolvere una funzione estetica volta a rendere armonica la facciata dell’edificio condominiale».
Il discorso cambia per i balconi incassati, dove ringhiera e parapetto sono a tutti gli effetti elementi della facciata. Di conseguenza, le spese per la loro manutenzione vanno suddivise tra i condòmini proprietari, sempre in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà.
Nel caso in cui i lavori riguardino la soletta, si applica invece il criterio di ripartizione fissato dall’articolo 1125 del Codice civile per la manutenzione e ricostruzione di soffitti, volte e solai, con i costi che vanno sostenuti in parti uguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
A differenza dei balconi, l’articolo 1117 del Codice civile inserisce il portone condominiale fra le parti comuni dello stabile e quindi le spese per la sua manutenzione vanno ripartite fra tutti i condòmini proprietari, in proporzione ai rispettivi millesimi.
Può succedere, però, che uno o più condòmini che non utilizzino il portone, si rifiutino di pagare le spese di mantenimento rifacendosi all’articolo 1123 del Codice civile, più precisamente nel punto in cui la norma prevede che «se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne». Una cosa è certa: il proprietario di un negozio che si affaccia sulla strada principale, dotato di un ingresso autonomo, fa del portone un uso differente rispetto ai condòmini che occupano gli appartamenti dello stabile ed è quindi comprensibile che si rifiuti di pagare come gli altri, se non di più.
A chiarire la questione è stata più di sessant’anni fa la Cassazione, con una sentenza (16 ottobre 1956, n. 3644) che ha fugato ogni dubbio. Secondo i giudici supremi, infatti, «i portoni d’ingresso devono ritenersi dei beni comuni a tutti i condòmini ai sensi dell’art. 1117 cod.civ. indipendentemente dal loro utilizzo e quindi tale presunzione vale per i condòmini la cui proprietà esclusiva è servita da ingresso indipendente».
Un concetto ribadito anni dopo dalla Corte d’appello di Milano (sentenza 3 luglio 1992) secondo cui «anche i proprietari di unità aventi accesso autonomo dalla strada debbono concorrere alle spese di manutenzione inerenti all’androne ed alle scale (…) in quanto costituiscono elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato ed in quanto rappresentano strumenti indispensabili per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, cui tutti i condòmini sono tenuti per la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi».
Non c’è dubbio che al pari di androne e scale anche il portone condominiale rappresenti un elemento necessario per la configurazione stessa del fabbricato e, di conseguenza, anche chi non lo utilizza è chiamato a concorrere alle spese per la sua manutenzione, sia essa ordinaria che straordinaria.
Per realizzare i lavori “comuni” al balcone e al portone è necessario il via libera dell’assemblea di condominio, che delibera con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Ci sono casi, però, in cui l’amministratore può scavalcare l’assemblea e procedere di propria iniziativa. Ciò accade quando i lavori hanno il carattere dell’urgenza e l’eventuale perdita di tempo potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza di condòmini e soggetti terzi. È lo stesso Codice civile (articolo 1135, comma 2) a prevedere che l’amministratore «non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea».