Una delibera con l’approvazione di lavori in condominio e dei relativi oneri a carico dei condòmini; una successiva delibera a modificare la prima; un decreto ingiuntivo a carico di un condomino e la sua opposizione ad opera di quest’ultimo. Questi gli ingredienti di una complessa vicenda sulla quale la Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza 21240 del 9 agosto 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
sez. II civ., sent. n. 21240
del 09/08/2019
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Il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo proposto da P. C. nei confronti del Condominio di via (omissis) a Napoli, che aveva chiesto e ottenuto, nei confronti del condomino, l’ingiunzione per il pagamento di oneri condominiali per i lavori di cui alla delibera del 6 settembre 2006. Il tribunale, in particolare, riteneva che la delibera del 6 settembre 2006, fosse stata modificata dalla successiva delibera del 28 settembre 2006, che aveva ridotto il debito a carico dell’opponente. In forza della sentenza il P. intimava al Condominio precetto per la restituzione di quanto ricevuto a seguito della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo concessa in corso di causa. Il Condominio di via (omissis) proponeva opposizione al precetto, che il tribunale rigettava.
Le due sentenze del tribunale erano impugnate dal Condominio davanti alla Corte d’appello di Napoli. Instauratosi il contraddittorio la corte, disposta la riunione delle impugnazioni, le accoglieva in forza dei seguenti rilievi. Essa osservava che la deduzione circa l’avvenuta modifica della delibera del 6 settembre 2006, posta a fondamento dell’ingiunzione, era stata inammissibilmente introdotta dopo la scadenza dei termini ex art. 183, comma, 6, c.p.c. In ogni caso, secondo la corte, la delibera non provava la riduzione del credito. In relazione agli originari motivi di opposizione al decreto ingiuntivo, proposti come motivi di appello, la corte di merito osservava:
a) che la pendenza del giudizio di impugnativa della delibera posta a fondamento della pretesa del condominio non interferiva con la causa di opposizione al decreto ingiuntivo, richiesto e ottenuto in forza della stessa delibera;
b) che la mancata approvazione del riparto non autorizzava il giudice dell’opposizione a dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo, dovendosi riconoscere la facoltà dell’ingiungente di dare la prova la prova del nel giudizio ordinario di opposizione;
c) c) che il condomino non aveva formulato contestazioni in ordine all’esattezza del riparto della spesa deliberata e ciò consentiva di ritenere che il riparto fosse stato correttamente eseguito.
La corte accoglieva inoltre l’appello del Condominio nella causa di opposizione a precetto argomentando in base al venir meno del titolo esecutivo in forza del quale era stata prospettata l’esecuzione. Condannava perciò in P. alla restituzione di quanto ricevuto a seguito della notificazione del precetto, oltre al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, compensando per un terzo quelle relative alla causa di opposizione al precetto.
Contro la sentenza il P. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui il Condominio ha resistito con controricorso. Gli altri intimati cui è stato notificato il ricorso sono rimasti tali. Le parti costituite hanno depositato memorie.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, c.p.c. e dell’art. 1137 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la deduzione, operata nel giudizio di primo grado, della parziale estinzione del credito per effetto della delibera del 28 settembre 2006, che aveva parzialmente revocato la delibera del 6 settembre 2006, posta a fondamento della pretesa. Tale produzione era invece pienamente ammissibile, in quanto diretta a provare un fatto che aveva determinato la cessazione della materia del contendere. Il motivo è inammissibile.
La corte di merito non si è posta il problema dell’ammissibilità della produzione documentale, riconoscendo anzi che il documento si era formato dopo la scadenza del termine ex art. 183, comma 6, c.p.c. Essa ha fatto una considerazione diversa, e cioè che il tribunale avrebbe dovuto negare la rilevanza della delibera del 28 settembre 2006, in quanto «esibita per documentare una circostanza non più allegata e non più deducibile». Tale considerazione esaurisce la ratio decidendi su questo aspetto. Essa è impugnata con il secondo motivo.
2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 183, corna 6, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La deduzione circa l’avvenuta estinzione del credito era ammissibile, perché con essa non si modificava l’ambito della decisione. La domanda rimaneva pur sempre diretta a ottenere la revoca del decreto ingiuntivo essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate (Cass. n. 4672/2017; n. 26629/2009). Consegue da ciò che, dovendosi identificare nella delibera del 6 settembre 2006 il fatto giustificativo del credito, la delibera del 28 settembre 2006, con la quale la prima sarebbe stata modificata, si atteggiava a fatto estintivo o modificativo della pretesa, che l’opponente avrebbe dovuto dedurre entro il termine di preclusione previsto per le attività di parte (Cass. n. 14581/2007).
Ad ogni modo si deve aggiungere che la corte di merito ha esaminato il contenuto del documento, ritenendo che esso o non fornisse prova della riduzione del credito, così rigettando l’eccezione dell’opponente. Ebbene in tale decisione non è ravvisabile alcuna violazione del criterio di riparto dell’onere della prova. Non gravava sul Condominio l’onere di provare la perdurante efficacia della delibera condominiale posta a fondamento della domanda, essendo piuttosto onere del condomino provare il fatto contrario, proprio in conformità al principio posto dall’art. 2697 c.c. 2.2. A maggior ragione nessuna violazione della norma è ravvisabile in ordine agli ulteriori profili di censura proposti con il motivo in esame, che non colgono neanche appieno la ratio decidendi.
La contemporanea pendenza della causa di impugnativa della delibera del 6 settembre 2006, non poneva un problema di onere della prova del credito, ma semmai di interferenza fra tale giudizio e la causa di opposizione a decreto ingiuntivo concesso sulla base della delibera impugnata. La corte ha escluso che vi fosse tale interferenza e la relativa statuizione, che non ha costituito oggetto di censura, è in linea con la giurisprudenza di questa Corte.
Il terzo motivo, coordinato con il precedente, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Era onere del condominio, attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fornire la prova del credito. Ciò avrebbe comportato l’onere del Condominio di provare la perdurante efficacia della delibera del 6 settembre 2006, la inesistenza di impedimenti processuali connessi al giudizio di impugnazione della predetta delibera ancora pendente dinanzi al tribunale di Napoli, oltre alla sussistenza dell’approvazione dello stato di riparto delle spese deliberate.
2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, dovendo accogliere l’opposizione solo quando la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia per esserne stata sospesa l’esecuzione dal giudice dell’impugnazione o per essere stata da questi annullata con sentenza anche non passata in giudicato» (Cass. n. 7741/2017; n. 19938/2012). Analoga considerazione deve farsi in ordine a quanto rilevato dalla corte napoletana in ordine alla mancata approvazione dello stato di riparto. Essa ha ritenuto che la circostanza non potesse comportare, di per sé, la definizione del giudizio in senso favorevole per l’opponente, rimanendo comunque aperta la possibilità del creditore di fornire la prova del credito nel giudizio di opposizione. Il rilievo è giuridicamente corretto. «In tema di riscossione degli oneri condominiali, non costituisce motivo di revoca dell’ingiunzione, ottenuta sulla base della delibera di approvazione di una spesa, la mancata approvazione del relativo stato di riparto, atteso che le spese deliberate dall’assemblea si ripartiscono tra i condòmini secondo le tabelle millesimali, ai sensi dell’art. 1123 c.c., cosicché ricorrono le condizioni di liquidità ed esigibilità del credito che consentono al condominio di richiederne il pagamento con procedura monitoria nei confronti del singolo condomino» (Cass. n. 4672/2017). In ordine al quantum della pretesa, la corte di merito ha ritenuto che l’opponente avesse proposto esclusivamente una obiezione formale, senza contestare l’esattezza del riparto.
Secondo il ricorrente tale illazione della corte non è giustificata, ma in proposito la relativa censura non soddisfa il requisito di specificità imposto a colui che intenda sollevare in cassazione l’erronea applicazione del principio di non contestazione. Si precisa che, in tal caso, il ricorrente «non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova» (Cass. n. 20637/2016).
L’attuale ricorrente P. ha invece denunciato il supposto errore dei giudici in termini generici e senza neanche chiarire in che cosa sia consistito l’errore del giudice nell’intendere le deduzioni di parte 3.
Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. Il motivo propone le seguenti censure. La delibera assembleare che non contenga il riparto della spesa deve ritenersi nulla, perché impedisce la verifica del credito. Ciò, nel caso in esame, appariva tanto più vero, perché la spesa non riguardava tutti i condòmini, in guisa che a maggior ragione si richiedeva che fosse stabilito il criterio di riparto, non essendosi la corte di merito avveduta che il condominio era composto di due autonomi fabbricati, di cui uno solo si sarebbe servito dei lavori. Si rimprovera inoltre alla corte di non avere tenuto conto di una memoria depositata in primo grado con la quale l’attuale ricorrente aveva richiesto che la ripartizione avvenisse nel rispetto dell’art. 1123 c.c. 3.1. La prima censura riprende argomenti già compiutamente esaminati e disattesi nell’esame del precedente motivo. È stato già chiarito che il rilievo della sentenza, secondo cui la mancata approvazione del piano di riparto non comportava l’infondatezza della pretesa del Condominio, né gli impediva di fornire diversamente la prova del credito e della esattezza del riparto attuato con la delibera del 6 settembre 2006, è immune da censure.
3.2. Analogamente è stato già confutata la censura circa l’aspetto riguardante la mancanza di contestazioni.
La seconda censura (quella relativa alla violazione dell’art. 1123 c.c.) attiene a un aspetto nient’affatto considerato nella sentenza, il che imponeva al ricorrente di precisare se e in che termini la questione fosse stata sottoposta all’attenzione della corte di merito. Il ricorrente non ha adempiuto a tale onere, conseguendone da ciò l’inammissibilità della censura, in base al principio secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» (Cass. n. 20694/2018; n. 15430/2018).
(Omissis).
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in C 1.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.