Accumula in un’area comune condominiale: copertoni nuovi ed usati, pezzi di carrozzerie, una vecchia Fiat 500, due motorini, parti di motori, biciclette, tappetini per auto, impedendo, così, di fatto agli altri condòmini di utilizzare lo spazio in oggetto. Per la Cassazione, che conferma la condanna a suo carico, si tratta di rifiuti speciali ed ingombranti. Di seguito un estratto della sentenza 36951/2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 36951/2019
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1. Con sentenza in data 7.2.2018 la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza in data 18.12.2014 del Tribunale di Patti, ha ridotto la pena nei confronti di V.G. per i reati dei capi a) e b), riqualificati i fatti ai sensi dell’art. 6, lett. a), d.l. n. 172/2008, del capo c), art. 81 e 334 cod. pen., del capo .d), art. 81 e 349 cod. pen., del capo e), art. 81, 633, 635 e 639-bis cod. pen., del capo f), art. 612 cod. pen., tutti accertati in Santo Stefano di Camastra il 15.5.2011.
2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione al reato dell’art. 6, lett. a), d.l. n. 172/2008: il materiale rinvenuto nel porticato pertinenziale anche all’appartamento in cui abitava non era classificabile come “rifiuto”, perché non era “inutilizzabile”. In particolare, gli pneumatici non erano da considerare rifiuti perché non erano “fuori uso”, giacché si trattava di gomme nuove o semiusate, suscettive di essere riutilizzate nella medesima funzione senza la necessità di alcun trattamento preventivo. Nello specifico, poi, erano stati sistemati in maniera ordinata, al coperto e su idonea pavimentazione, con le precauzioni del caso. I ciclomotori e le biciclette erano ancora marcianti. Erano stati sistemati in ordine sotto il porticato negli anni 1993 e 1994.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli art. 334 e 339 cod. pen. e 192, n. 1 e 2 e 533 cod. proc. pen.. Osserva che nessuno dei testi escussi aveva confermato l’ipotesi accusatoria. Era stato solo dimostrato che, al momento in cui l’autovettura doveva essere trasferita nel luogo di custodia, mancava di alcune parti, ma non che tale asporto era stato compiuto da lui. Nessun teste aveva visto chi aveva rimosso i sigilli. Ritiene che l’ambiguo compendio semi-indiziario non poteva assumere un pregnante ed univoco significato dimostrativo sì da potersi affermare raggiunta la prova logica del fatto.
Con il terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli art. 633, 635, e 639-bis cod. pen., perché la vicenda dell’occupazione degli spazi condominiali del fabbricato IACP aveva al limite rilevanza civile non penale. In ogni caso non aveva commesso il reato di danneggiamento.
Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione al reato dell’art. 612 cod. pen. La frase “te la faccio pagare” pronunciata all’indirizzo della teste che si trovava sul balcone di fronte era riferita all’esercizio di un’azione legale nei suoi confronti, ma non aveva forza intimidatoria e non era sorretta dall’elemento psicologico.
(omissis)
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché consiste in generiche censure di fatto che non si confrontano con la solida motivazione dei Giudici di merito, i quali hanno accertato che l’imputato aveva accumulato in un’area destinata ad uso comune, all’interno del complesso edilizio realizzato dagli IACP, circa 200 copertoni nuovi ed usati, vari pezzi di carrozzerie di autovetture, una vecchia Fiat 500, due motorini, parti di motori, biciclette, tappetini per auto ed altri oggetti meglio specificati nel verbale di sequestro. Tutti questi beni erano stati sottoposti a sequestro preventivo con decreto del Giudice per le indagini preliminari del 9.10.2010. Successivamente, in data 13.5.2011, gli Operanti si erano recati di nuovo presso l’abitazione dell’imputato, avevano verificato che i sigilli apposti erano stati rimossi e che mancavano numerosi oggetti già oggetto di sequestro, quindi avevano provveduto ad un nuovo sequestro. Il giorno seguente due condomine avevano sporto una nuova denuncia, una delle due segnalando pure di essere stata minacciata. I Carabinieri si era recati nuovamente in loco ed avevano verificato una seconda violazione dei sigilli.
La Corte territoriale ha precisato che il reato del capo a) doveva ritenersi assorbito nel reato del capo b) e che i fatti dovevano essere qualificati ai sensi dell’art. 6, lett. a), d.l. n. 172/2008, poiché l’imputato non aveva realizzato una discarica non autorizzata, ma aveva depositato sul suolo rifiuti speciali ed ingombranti. Secondo le indicazioni del Ministero dell’Ambiente, di cui all’allegato A) del d. lgs. n. 152/2006, sia gli pneumatici fuori uso che i veicoli a motore o parti degli stessi integravano la nozione di rifiuto speciale. Era certo poi che gli pneumatici erano fuori uso, dal momento che erano stati accantonati nella parte esterna del porticato, alla rinfusa, ed esposti agli agenti atmosferici. A conferma dell’inutilizzabilità degli pneumatici accatastati (200) aveva evidenziato che si trattava di un gruppo accantonato separatamente rispetto agli pneumatici nuovi (60), collocati ordinatamente sotto le marmitte. Vi erano poi altri beni, dettagliatamente descritti, da qualificarsi come rifiuto. Né rilevava la circostanza secondo cui l’imputato era stato titolare di un negozio di autoricambi posto che era tenuto a smaltire i rifiuti provenienti da tali attività in modo conforme alla normativa vigente, non potendo accatastare tale materiale negli spazi condominiali. Del resto l’imputato non aveva provato che gli pneumatici fossero stati destinati al reimpiego.
Quanto ai reati dei capi c) e d), i Giudici hanno ritenuto, sulla base della prova logica, che era stato proprio l’imputato a rimuovere i sigilli, perché unico soggetto interessato.
In ordine al reato del capo e), hanno osservato che il deposito del materiale era stato realizzato occupando arbitrariamente delle aree del complesso residenziale dello IACP. Con la sua condotta l’imputato aveva di fatto espropriato il legittimo proprietario di una porzione rilevante dell’area, destinandola a suo uso personale ed esclusivo, impedendo quindi a tutti gli altri soggetti di poterne godere.
Con riferimento al reato del capo f), hanno ritenuto che la frase pronunciata aveva integrato la minaccia poiché dotata di forza intimidatoria avuto riguardo alla circostanza che l’imputato viveva nello stesso condominio della donna.
Ritiene il Collegio che la Corte d’appello abbia quindi reso una motivazione logica e razionale in tutte le sue parti.
(omissis)
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.